di Antonio Leo e Rosario Battiato
Quella che a Catania è semplicemente “munnizza”, a Bolzano è una risorsa che porta calore a 3.500 abitazioni. Le due città, distanti circa 1.400 km, non sembrano appartenere neanche allo stesso Paese, per svariate ragioni a dire la verità, ma anche se guardate con la particolarissima “lente” della gestione dei rifiuti. Nel capoluogo altoatesino il termovalorizzatore gestito dalla “Eco center” converte il calore scaturito dalla combustione della spazzatura in vapore, producendo così energia termica ed elettrica che, con il futuro ampliamento della rete, arriverà a riscaldare 100 mila abitazioni. Un impianto che tratta ogni anno 130 mila tonnellate di spazzatura, proveniente da 116 comuni, dove in media la raccolta differenziata si attesta ben oltre quel 65% che l’Ue ha fissato come target minimo e indispensabile. Il costo della Tari? Secondo l’ultima rilevazione dell’Osservatorio “Prezzi e tariffe” di Cittadinanzattiva in media incide per solo 186 euro a famiglia, di fatto una delle bollette più economiche d’Italia.
E l’inquinamento? Sul sito di Eco Center vengono pubblicati report quotidiani sul monitoraggio delle emissioni. Per esempio i famigerati “NOx”, gli ossidi di azoto, a causa dei quali l’Italia è sottoposta a procedura di infrazione Ue, in media sono stati dichiarati (tra il 19 ottobre e il 9 novembre 2020) intorno ai 30 mg/Nm3, meno di un quarto rispetto al valore limite consentito di 200 mg/Nm3.
Analogamente in un’altra regione italiana, ben più grande della citata Provincia autonoma, ci sono addirittura otto termovalorizzatori che bruciano ogni anno quasi 700 mila tonnellate di rifiuti (più o meno il fabbisogno siciliano). Stiamo parlando dell’Emilia-Romagna, dove la spazzatura “produce” elettricità per ben 300 mila famiglie.
“Dall’altra parte del mondo”, c’è la Città dell’Elefante. Qui la differenziata supera appena il 10% del totale e ogni anno i cittadini si vedono recapitare nella buca della posta una stangata da oltre 500 euro (la media siciliana è di circa 400 euro). Negli ultimi anni si è tentato, invano, di invertire la tendenza con affidamenti provvisori per la raccolta e lo smaltimento della spazzatura. Una sorta di “gestione straordinaria permanente”, la si potrebbe definire. Sì, perché la gara per estendere il servizio “porta a porta” è più volte andata deserta, sia con la precedente amministrazione che con quella attualmente in carica. Ora si sta tentando con un nuovo bando (dovrebbe essere pubblicato entro il mese di novembre) che divide Catania in quattro lotti. Nel frattempo, si fa un enorme ricorso alla discarica. Addirittura recentemente vi finiscono persino i rifiuti ingombranti (divani, sedie, elettrodomestici e via discorrendo) perché il locale centro di smaltimento è saturo, con un ulteriore incremento dei costi. A carico di chi? Ovviamente della comunità catanese.
Una questione, quella della saturazione degli impianti, che accomuna tutte e nove le province siciliane, appese alle poche discariche private disseminate nell’Isola, più volte finite nel mirino di magistratura e Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Proprio ieri si è celebrata l’udienza preliminare sulla richiesta di rinvio a giudizio di Antonino e Salvatore Leonardi, titolari della discarica “Sicula Trasporti”, che è in amministrazione giudiziaria, arrestati lo scorso giugno dalla guardia di finanza di Catania nell’ambito dell’operazione ‘Mazzetta Sicula’, e di altri 10 indagati. Secondo l’accusa, dalle indagini dello Scico delle Fiamme gialle è emerso “un perdurante e sistematico illecito smaltimento dei rifiuti solidi urbani provenienti da oltre 200 Comuni siciliani” e una gestione della discarica “orientata all’esclusivo perseguimento di utili attraverso il mantenimento delle convenzioni con gli Enti locali pur non essendo gli impianti nelle condizioni di poter più adempiere alle prescrizioni fissate dalle autorizzazioni amministrative”.
Senza un’impiantistica alternativa, però, l’ampliamento delle discariche esistenti resta l’unica “via” per evitare che nelle città siciliane si formino enormi montagne di spazzatura. Non è fantascienza, ma una realtà attualissima: per la Commissione Ecomafie resta meno di un anno e mezzo di autonomia alla discarica “Valanghe di inverno”, sita a cavallo tra i comuni catanesi di Motta Sant’Anastasia e Misterbianco, che oggi accoglie anche l’80% dei rifiuti prodotti a Palermo. “Visto che il conferimento quotidiano supera le 1.000 tonnellate al giorno – ha avvertito il vicepresidente della Commissione Luca Briziarelli, dopo un recente sopralluogo – appare indispensabile, da un lato intervenire sulla capacità e l’efficienza degli impianti e, dall’altro, completare la realizzazione della settima vasca di Bellolampo”.
Un progetto quest’ultimo che è fortemente in ritardo, come è emerso anche dalle parole del prefetto di Palermo, Giuseppe Forlani, audito dalla stessa Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti lo scorso 27 ottobre. “Il tema dell’abbancamento in discarica – si legge nel resoconto stenografico dell’audizione – è legato alla mancata approvazione del progetto della settima vasca e all’approvazione di soluzioni temporanee di emergenza”.
E così decine e decine di camion fanno spola tra il Capoluogo e la provincia etnea, creando un ulteriore danno ambientale, ovvero le emissioni inquinanti prodotte da questo via vai quotidiano di mezzi pesanti. Una recente indagine di Utilitalia ha calcolato i costi che il Mezzogiorno paga per questo “turismo” della spazzatura reso inevitabile dalla mancanza di impianti. Nel 2018 dalle regioni del Sud sono partiti 25 mila Tir per raggiungere anche i termovalorizzatori del Nord (paghiamo maggiori costi in bolletta per esportare quella che altrove diventa energia!) e altri 10mila si sono mossi all’interno dello stesso meridione: ciò si è tradotto in 22 milioni di chilometri percorsi con l’emissione di 14 mila tonnellate di anidride carbonica.
Una scia di veleni che la nostra regione, almeno fino ad ora, è riuscita a confinare al proprio interno. La spazzatura isolana, infatti, non varcherebbe lo Stretto: “La Sicilia – si legge in un documento fornitoci da Utilitalia – appare in equilibrio apparente a causa della mancanza di impianti dedicati alla frazione organica, di inceneritori, per le basse percentuali di raccolta differenziata e per il massiccio utilizzo dello smaltimento in discarica”. Un equilibrio non solo apparente, ma molto precario.
Considerando due tipologie di impianti – digestione anaerobica con capacità di trattamento pari a 100 mila tonnellate/anno e impianti di incenerimento con recupero di energia con capacità di trattamento pari a 500 mila tonnellate all’anno –, è stato possibile stimare, grazie all’analisi compiuta da Utilitalia, i pezzi mancanti al sistema di gestione nazionale e siciliano. Per quanto riguarda gli impianti di digestione anaerobica, è stata stimata una necessità di costruzione pari a 32 unità complessive. Di questi, 12 al Centro, 14 al Sud peninsulare e 6 in Sicilia. Nell’Isola, in particolare, il fabbisogno è registrato in 568 mila tonnellate, che vale un terzo di tutto il Sud peninsulare (1,4 milioni), e circa la metà del Centro (1,2 milioni). Sulla presenza degli impianti di valorizzazione energetica dei rifiuti, in Sicilia la quota mancante ammonta a 515 mila tonnellate e servirebbe, a questo proposito, almeno un impianto. La quota siciliana vale sei volte quella dell’altra isola, la Sardegna (85 mila), e si distanzia di poco dal Sud peninsulare (725 mila tonnellate).
La Sicilia potrebbe esplodere a causa della saturazione delle discariche che nel corso degli ultimi anni hanno dovuto contenere un carico pari a circa il 65% (ma che era arrivato fino al 90% diversi anni fa) del totale dei rifiuti urbani prodotti nell’Isola, anche se gli ultimi dati dell’Ispra risultano in miglioramento. A fronte di diversi appelli arrivati nel corso degli anni, in merito alla ridotta autonomia delle discariche isolane e al rischio di crollo del sistema per mancanza di spazio di interramento dei rifiuti, proprio nelle scorse settimane la Commissione Ecomafie del Parlamento nazionale ha annunciato appena altri 18 mesi di vita, cioè circa un anno e mezzo, per la discarica di Motta di Sant’Anastasia, che potrebbe saturarsi considerando appunto l’attuale ritmo di conferimento. Il sito catanese ospita, tra le altre cose, anche rifiuti di altri comuni siciliani, inclusi alcuni del palermitano.
Ci sono più di quaranta punti percentuali di differenza tra le richieste comunitarie per il 2035 (65% di riciclo e 10% di smaltimento in discarica) e i numeri siciliani diffusi da Utilitalia, la federazione che riunisce le Aziende operanti nei servizi pubblici dell’acqua, dell’ambiente, dell’Energia elettrica e del gas. I passi in avanti compiuti dal governo Musumeci sul fronte della differenziata, cresciuta in maniera evidente negli ultimi anni, non sono ancora stati sufficienti a lanciare la filiera del riciclo e a ridurre il ruolo preponderante delle discariche.
GLI OBIETTIVI UE
Ad accendere i riflettori sui prossimi target comunitari è stata anche Fise Assoambiente (Associazione delle imprese di igiene urbana, riciclo, recupero e smaltimento di rifiuti urbani e speciali ed attività di bonifica) che, in una nota stampa, ha valutato come “nei prossimi 15 anni il nostro Paese è chiamato a raggiungere gli sfidanti obiettivi europei che l’avvento dell’Economia circolare pone, con la riduzione al 10% dello smaltimento in discarica dei rifiuti urbani (oggi siamo al 22%) e il raggiungimento di un target di riciclo del 65% (oggi siamo al 45%). Senza dimenticare, il ruolo imprescindibile riservato alla termovalorizzazione per la chiusura del ciclo di gestione (il restante 25%)”.
SICILIA ULTIMA ANCHE PER RICICLO
È di poco superiore al 20% la quota di rifiuti urbani avviati a riciclo in Sicilia. Il resto finisce a smaltimento – settore che contempla i rifiuti urbani avviati direttamente in discarica e i rifiuti speciali in uscita dagli impianti Tmb (trattamento meccanico-biologico) – mentre, com’è noto, non è praticato il recupero di energia. Lo rivela una ricerca di Utilitalia (imprese acqua, ambiente, energia) che ha sviluppato le differenti modalità di gestione attivate in Italia.
Il bilancio per la Sicilia è nerissimo: sono lontanissimi gli obiettivi europei al 2035 previsti per i rifiuti urbani: 65% di riciclo e 10% di smaltimento in discarica. Il risultato è assai differente nel resto d’Italia che invece risulta essere assai più in linea con quelle che sono le richieste comunitarie dei prossimi quindici anni.
I numeri, infatti, dicono che nel Paese la quota del riciclo, che risulta fondamentale per saggiare la qualità di un sistema di gestione dei rifiuti, sfiora il 50%, con punte del 55% nel Nord. Il sistema più avanzato, che risulta essere appunto quello settentrionale, ha praticamente ridotto lo smaltimento a poco più del 10%, mentre il resto della gestione (circa il 30%) è affidato al recupero di energia. “Il nord – specificano i tecnici di Utilitalia – presenta percentuali di smaltimento molto vicine all’obiettivo fissato dalle direttive sull’economica circolare” mentre “in Sicilia non è praticato il recupero energetico e notevole è il ricorso allo smaltimento”.