Ambiente

Petizione per dire sì all’energia dai rifiuti e no alle discariche


FIRMA LA NOSTRA PETIZIONE PER REALIZZARE ALMENO DUE TERMOVALORIZZATORI

PALERMO – Lo scorso 4 ottobre era un venerdì, giorno della settimana scelto dagli studenti ispirati da Greta Thunberg per protestare contro i cambiamenti climatici. Quel giorno, nella Danimarca a un tiro di schioppo dalla Svezia che ha dato i natali alla 16enne ambientalista più famosa del mondo, a Copenaghen, gli sportivi si sono dati appuntamento sul tetto del termovalorizzatore Amager Bakke per “battezzare” la pista da sci artificiale appena aperta al pubblico.

L’impianto si trova a 10 minuti di auto dal centro cittadino e ogni anno trasforma in energia circa 400 mila tonnellate di rifiuti provenienti dalla capitale danese, producendo elettricità per 60 mila famiglie e riscaldamento per 120 mila. Chiamarlo inceneritore è una fake news: la struttura semmai ne ha rimpiazzato uno che entro il 2020 verrà convertito in centrale a biomasse. Un termocombustore di ultima generazione, insomma, che parla anche italiano: la pista è stata realizzata con un materiale sintetico prodotto dall’azienda bergamasca Neveplast, che permette di sciare tutto l’anno con qualsiasi temperatura e anche in assenza di neve. E non finisce qui: nei prossimi mesi verrà inaugurata la parete da arrampicata più alta del mondo (85 metri).

A circa 2.500 km di distanza, pur restando nei confini dell’Unione europea, quello stesso giorno sembrava di stare su un altro Pianeta. A Motta Sant’Anastasia, come a Lentini o a Bellolampo, si continua a nascondere la “munnizza” sotto il tappeto, dentro enormi discariche che non smettono di crescere, consumando nuove porzioni di suolo e al contempo avvelenandolo.

Quella spazzatura che a Copenaghen è una risorsa – ma senza andare lontano anche a Milano o Brescia – qui diventa un problema, anzi un’emergenza che i siciliani pagano a caro prezzo a vantaggio di pochi privati che proprio grazie alla carenza di impianti tengono “il borsino dei prezzi” e fanno la cresta sulle tasche delle amministrazioni locali e quindi dei cittadini. Per avere cosa in cambio? Un servizio che non produce nulla (energia, biocarburante, sottoasfalto, biogas per esempio) e appesta soltanto le falde acquifere e l’aria che respirano gli abitanti delle popolazioni limitrofe agli impianti.

Ne sanno qualcosa a Motta e Misterbianco, in provincia di Catania, dove il 5 ottobre – mentre, ribadiamo il concetto, altri cittadini comunitari per il secondo giorno sciavano sul termovalorizzatore con vista panoramica sulla loro città e sullo stretto di Oresund – i Comitati “No discarica” e Legambiente scendevano in strada per protestare contro l’impianto “Valanghe d’inverno, contemplando ben altro panorama: un’enorme pattumiera a cielo aperto.

“Ormai in tutte le regioni d’Italia – ha dichiarato nell’occasione il presidente siciliano dell’Associazione del Cigno, Gianfranco Zanna – si porta in discarica il 30 per cento dei rifiuti, mentre in Sicilia il 70 per cento per arricchire i pochi privati che le gestiscono. È una vergogna! Lo diciamo da anni, occorre portare avanti e rafforzare la raccolta differenziata e realizzare gli impianti, soprattutto quelli anaerobici per l’umido, in modo da potere gestire il sistema dei rifiuti in modo virtuoso. Questa discarica è alle porte di Misterbianco e Motta, avvelena l’aria e la gente non può respirare. Non solo questa, occorre chiudere tutte le discariche prima possibile”.

Siamo assolutamente d’accordo con gli ambientalisti nella premessa, ma non del tutto nella soluzione che non contempla il recupero energetico, previsto espressamente dalla direttiva comunitaria 2008/98/CE, subito dopo prevenzione e riciclo, nella gerarchia europea della gestione del rifiuto. La riduzione dei rifiuti è certamente auspicabile e sicuramente l’obiettivo “zero” è una sfida nobile e ambiziosa verso cui tendere: eppure attualmente non è realistica in una regione dove, al netto degli sforzi del Governo Musumeci, la raccolta differenziata – specie nelle grandi città come Palermo, Catania e Messina – continua a stentare. Per questo il Quotidiano di Sicilia ha deciso di lanciare a partire da domani una petizione su change.org per spingere la Regione e le Amministrazioni locali a realizzare i termocombustori di ultima generazione, che secondo studi di Ispra e Cnr ormai hanno impatti minimi sull’ambiente e secondo Fise Assoambiente addirittura più bassi di un normale bus cittadino.

Un tema rispetto al quale lo stesso assessore regionale all’Energia, Alberto Pierobon, da noi interpellato sull’argomento in una recente intervista, si è definito “agnostico”. La Regione, in poche parole, sebbene in maniera un po’ pilatesca, in quanto intende delegare la decisione di realizzare gli impianti alle società competenti localmente, di fatto sta gettando un sasso nella palude isolana, dove per la verità qualcosa sta già cambiando. Un paio di settimane fa, l’Eni ha inaugurato la nuova bioraffineria, il più innovativo impianto d’Europa che trasforma gli oli vegetali usati e quelli di frittura (provenienti per esempio dalla ristorazione), ma anche grassi animali e alghe, in biocarburanti di alta qualità. Una scelta che si inserisce perfettamente nel principio di economia circolare, per cui il rifiuto viene restituito a nuova vita diventando dunque una risorsa.

Non ci sono scappatoie: entro il 5 luglio del 2020 gli Stati membri dovranno recepire le quattro direttive del “Pacchetto economia circolare” (pubblicate sulla Gazzetta dell’Ue del 14 giugno 2018) che fissano tra gli obiettivi da raggiungere entro il 2035 il riciclo di almeno il 65% dei rifiuti urbani e lo smaltimento in discarica di solo il 10% dei rifiuti. All’Isola, visti i dati prima citati, serve un’inversione ad “U”. Il tempo c’è, ma occorre subito fare manovra.

Antonio Leo



Il dirigente regionale Cocina apre ai termovalorizzatori:
“Ne servono uno-due, pubblici e a bassissima emissione”

PALERMO – Un incendio ogni tre giorni si è registrato nelle discariche italiane nel corso degli ultimi anni. I casi non hanno riguardato solo siti abusivi ma anche rifiuti stoccati e raccolti in maniera regolare che spesso non vengono gestiti in maniera adeguata per via di attrezzature obsolete o che vengono bruciati semplicemente per fare altro spazio. Il fenomeno riguarda soprattutto il Nord del Paese, anche se la Sicilia non può dirsi immune: dai roghi che hanno riguardato alcuni impianti di smaltimento agli incendi improvvisi a Bellolampo, fino al recente incendio della discarica di via Luciano Pavarotti a Catania per giungere a quello del luglio scorso che ha riguardato una discarica autorizzata alle porte di Noto.

In mezzo a questi casi, e ce ne sarebbero molti altri, il peso che le discariche continuano ad avere in Sicilia è ben noto e pare rispondere alla logica che i rifiuti è meglio interrarli o bruciarli, purché non si utilizzino, come avviene nei Paesi che mantengono una gestione virtuosa e una percentuale di smaltimento in discarica assai vicina alla zero, per il recupero termico ed elettrico. Anche se qualcosa pare muoversi. Molto lentamente.

DISCARICHE ANCORA DETERMINANTI
La Sicilia sta facendo i compiti, ma non pare particolarmente brillante. La quantità di rifiuti conferiti in discarica continua a contrarsi eppure resta clamorosamente più elevata di quanto risulta nel resto d’Italia: nel corso del 2017 era ancora pari al 72,9% del totale dei rifiuti urbani prodotti. La crescita della differenziata isolana, che ormai veleggia verso il 40% (dati della Regione aggiornati al 2019) e risulta comunque ancora più di 10 punti percentuali al di sotto di quella nazionale, da sola in ogni caso non basterebbe. Serve accelerare sull’impiantistica e, in ogni caso, sui termovalorizzatori per la chiusura del ciclo, un passaggio determinante.

LA POSIZIONE DELLA REGIONE
Nel nuovo Piano dei rifiuti la decisione sui termovalorizzatori è di fatto demandata alle società di regolamentazione dei rifiuti. L’assessore Pierobon, intervistato di recente dal QdS, ha specificato che, in caso di richiesta, è possibile fare l’istanza e chiedere la valutazione di impatto ambientale che presuppone anche la Vas (valutazione ambientale strategica, nda). Anche se realisticamente per avere un termovalorizzatore ci vorranno circa 6-7 anni, tempi che la Sicilia non può permettersi considerando inoltre che, a parte l’emergenza che ogni tanto si ripresenta, lo spazio per interrare si sta esaurendo.

Della necessità di agire nel campo del recupero termico ed elettrico dai rifiuti è sembrato anche Salvo Cocina, dirigente regionale del dipartimento Acqua e rifiuti, che ne ha fatto riferimento in un post apparso sul proprio profilo facebook. “Il corretto ciclo dei rifiuti, come da norma europea, prevede – ha scritto – anche il recupero energetico e perciò ritengo, laicamente, che per migliorare il nostro sistema occorra puntare su crescita della Rd (oggi al 40% in Sicilia, e al 50% senza le tre grandi città, ma che deve crescere oltre il 65%); impianti di recupero pubblici del secco e dell’organico (impianti di Compostaggio e per biogas, impianti di selezione secco avanzati, sono in progettazione e costruzione tanti impianti pubblici a cura della regione in sostituzione delle SRR dei comuni inadempienti); e almeno 1-2 termovalorizzatori, TV, di proprietà e controllo rigorosamente pubblici e a bassissima emissione che eliminano l’anomalia della completa dipendenza dalle discariche”.

Questi ultimi dovrebbero limitarsi a bruciare “solo il secco non riciclabile” e quindi produrre “scorie inerti riutilizzabili e poche ceneri inquinanti da collocare in discarica”. Di certo continueranno a servire le discariche che, secondo Cocina, così come il termovalorizzatore non costituiscono la soluzione perché “prioritario è cambiare stile di vita e produrre sempre meno rifiuti” e “riciclare il più possibile”.

I TERMOVALORIZZATORI ABBASSANO I COSTI
Secondo uno studio di Fise Assombiente, basato su dati dell’Ispra, i costi di gestione totali in Sicilia ammontano a 350 euro per tonnellata, poco più della media nazionale, e 100 euro in più di Emilia-Romagna, circa 50 in più della Lombardia e del Veneto. Queste ultime sono regioni che ormai da decenni vantano un sistema che include anche la chiusura del ciclo con i termovalorizzatori e una percentuale sempre più bassa di conferimento in discarica. È il modello che si trova anche negli Paesi comunitari che sono all’avanguardia.

LA MANO DELLA MALAVITA SULLE DISCARICHE
Il modello di gestione dei rifiuti siciliani era stato perfettamente delineato nella relazione del 2016 della “commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e agli illeciti ambientali ad esse correlate” che aveva messo in luce la “presenza di un sistema di illegalità diffuso e radicato che costituisce uno dei veri ostacoli ad un’autentica risoluzione delle problematiche esistenti ormai da decenni”.

Un percorso mai chiuso e accompagnato dalle numerose indagini in corso della magistratura e, di recente, dall’avvio di un ciclo di lavoro della Commissione antimafia dell’Ars, guidata da Claudio Fava, finalizzato a indagare la gestione dei rifiuti in Sicilia a partire dall’audizione di Leoluca Orlando, dalla quale è emerso un “sistema di monopolio privato sul ciclo dei rifiuti e dai ritardi nella realizzazione degli impianti pubblici”.

Rosario Battiato