Cronaca

Tra amicizia e mafia, i Bonafede uomini (e donne) “di fiducia” dei Messina Denaro

Emanuele Bonafede non è solo il fratello di Andrea Bonafede, arrestato nelle scorse settimane con l’accusa di aver fatto avere al capomafia le prescrizioni sanitarie compilate dal medico Alfonso Tumbarello, finito in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, ma è cugino dell’altro Andrea Bonafede, il geometra di Campobello accusato di aver prestato l’identità a Messina Denaro per consentirgli di sottoporsi alle terapie oncologiche oltre che essere nipote del boss di Campobello Leonardo Bonafede.

Parentele di rango, quindi per Emanuele Bonafede, arrestato assieme alla moglie Lorenza Ninfa Lanceri in conformità all’ordinanza emessa dal gip Alfredo Montalto.

Bonafede e Messina Denaro, storia di un lungo rapporto di fiducia e amicizia

Leonardo Bonafede, morto il 22 novembre 2020, è stato indicato da alcuni collaboratori di giustizia quali Pietro Bono, Antonino Patti, Pietro Scavuzzo, Rosario Spatola e Vincenzo Sinacori come il “reggente” della famiglia, successore di Nunzio Spezia, boss a capo della famiglia di Campobello di Mazara fino alla sua morte.

Riconosciuto colpevole del reato di associazione di tipo mafioso con la recidiva e specifica aggravante di aver svolto il ruolo di promotore, Leonardo Bonafede, classe 1932, è morto nel suo letto, ai domiciliari per motivi di salute.

Era il 2011 quando, un’operazione dei Ros, coordinata dal procuratore aggiunto della Dda Teresa Principato e dai sostituti Marzia Sabella e Pierangelo Padova, ha anche fatto luce sui fiancheggiatori eccellenti dei Messina Denaro. In quell’occasione scattarono le manette per 11 persone, tutte ritenute a vario titolo vicine al boss Matteo. Oltre a capimafia del calibro di Leonardo Bonafede, Francesco Luppino, Cataldo La Rosa e Simone Mangiaracina finì in manette il sindaco di Campobello di Mazara, vera e propria roccaforte di Messina Denaro.

Leonardo Bonafede e Francesco Luppino sono stati ritenuti elementi di vertice della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara e, probabilmente, gli uomini di cui Matteo Messina Denaro si fidava maggiormente. Avrebbero gestito non solo la sua latitanza ma controllato gli affari illeciti nel Trapanese, mettendo le mani su varie attività economiche e su fondi regionali.

Nel corso degli anni gli inquirenti hanno tracciato il suo ruolo nel settore oleario anche sequestrando diverse società intestate a prestanome, ma riconducibili al suo sistema. Nel 2010 gli furono sequestrati alcuni beni, che in parte, nel 2012, furono restituiti alla figlia Laura.

Sarebbe stato Leonardo Bonafede a “battezzare” Epifanio Agate ritenuto dagli investigatori il dominus delle società “My Land” e “Fishmar” finite sotto sequestro nel 2016 che avrebbe imposto “con violenza e minaccia” la sua linea ai soci Francesco Mangiaracina, cognato del pentito Sinacori, e alla moglie Natalya Ostashko. Di Epifanio Agate aveva già parlato nel 1996 proprio il pentito Vincenzo Sinacori, e negli anni Novanta fu condannato per favoreggiamento aggravato.