PALERMO – Di dispersione scolastica e lavoro minorile ce ne siamo occupati mercoledì scorso nell’inchiesta pubblicata sul nostro giornale. A fronte dei dati statistici non confortanti, però, mancano i risultati concreti, quei risultati che si possono ottenere solo se le sinergie di prevenzione e contrasto hanno un obiettivo finale comune, quello di ripristinare una scala di valori che metta al primo posto il ruolo centrale della scuola. La carenza di mezzi a disposizione di chi è preposto a condurre, mano nelle mano, i giovani di questo paese è evidente ma è altrettanto evidente che la politica troppo spesso trascura il diritto allo studio e i presìdi che, sul territorio, possono garantirlo.
Il lavoro minorile non è suddividibile in peccati veniali o gravi, soprattutto quando il peccato originale continua a essere quello di considerare tutto ciò utile perché, come diceva Victor Hugo, “dove non ci sono prospettive, non ci sono ambizioni; l’ignorante è in una botte benefica che, sopprimendo lo sguardo, sopprime le brame. Di qui l’innocenza. Chi legge pensa, chi pensa ragiona. Non ragionare è un dovere; è anche una fortuna. Queste sono verità incontestabili. Su cui si regge la società”.
Il QdS ne ha parlato con Flora Randazzo, già Giudice nel medesimo Tribunale, oggi è Presidente facente funzioni del Tribunale per i minorenni di Palermo.
Lavoro minorile in Sicilia. Siamo in assenza di una capacità di controllo?
“Penso che la mancanza di controlli o, comunque, di un formale monitoraggio, si ascrive a una problematica più vasta, quella del ‘vivi e lascia vivere’. A mio giudizio la realtà del lavoro minorile in Sicilia, ma anche più generalmente nel sud Italia, è ampissima e si tratta di lavoro in nero. In realtà se si apre quel coperchio s’impatta in problemi ancora più grandi”.
Perché non lo si scoperchia, quindi?
“Carenza di mezzi, di organizzazione, di un pensiero. Alla base ritengo che ci sia questo. Una carenza di possibilità di analizzarlo e contrastarlo. Ipotizzare di escludere un nucleo familiare dal Reddito di Cittadinanza nel caso in cui i figli non siano mandati a scuola, potrebbe essere una strada perseguibile ma, in realtà, appena i servizi sociali dovessero intercettare situazioni come queste e, a queste famiglie, fosse tolto il RdC, ci si troverebbe a costringere a uno stato di abbandono queste famiglie, peggiorando la loro situazione. Diversi nuclei familiari si reggono sulla famosa pensione del nonno invalido. La realtà dei ragazzini che vanno a raccogliere il ferro o il rame, o che lavorano in nero all’interno di esercizi commerciali, è una realtà nota”.
Ne abbiamo contezza?
“Solo in via mediata. La conosciamo non perché interveniamo sul lavoro minorile ma perché agiamo sui ragazzi, soprattutto quelli dei nuclei più disagiati, che nel ramo del Penale sono seguiti dagli uffici del Servizio Sociale Minorile. Solo mettendo i ragazzi che entrano nel circuito dell’area Penale alla prova, riusciamo ad avere informazioni che ci permettono capire se c’è un’area di lavoro che non può, e deve, essere coltivata”.
Nell’ambito del Civile, invece?
“La cosa è molto più complessa. Non parliamo di mancanza di volontà ma di una carenza di mezzi e strumenti da parte dei servizi sul territorio cui ci rivolgiamo. La figura dell’assistente sociale, quando c’è e ha le competenze, si deve rapportare con l’utenza. È inevitabile che, in determinate condizioni, alcune informazioni non sono trasmesse, soprattutto per evitare di aprire problematiche ancora maggiori, ad esempio nel caso in cui il minore sia entrato nella sfera del lavoro fornito dalla criminalità organizzata. Entriamo, evidentemente, in una zona grigia nei confronti della quale, nel tempo, siamo stati troppo indulgenti. In fin dei conti fare le consegne per il fornaio non è un fatto grave. Ma la stessa indulgenza, purtroppo, la troviamo anche nei confronti dei piccoli lavori che i minori svolgono, appunto, per la criminalità organizzata. Inoltre, alla base, ritengo che sia un altro problema. Diverse famiglie vivono in luoghi che è impossibile chiamare casa, luoghi che non danno il diritto all’ottenimento della residenza. Questo gli impedisci, fondamentalmente, di poter usufruire di diversi diritti, ad esempio quello del voto e quello della percezione del RdC”.
Perché non siamo riusciti a far scattare l’allarme sociale? Qui ci scontriamo con la povertà culturale che, nel Sud, è altissima e questo porta a non capire la differenza.
“Ritengo che, a livello istituzionale, non si riesca a incidere. Può venirci in aiuto il volontariato, che dovrebbe poter implementare un sistema d’intervento adeguato e, soprattutto, dobbiamo puntare sulla scuola. Si tratta di una realtà in cui si possono costruire aspettative nelle giovani donne e nei giovani uomini. La cultura è quella che può dare l’indicazione della strada da percorrere. Quando incontriamo ragazzi, perché transitano nell’area Penale a causa di piccoli furti o di altri piccoli reati simili, è grazie all’aiuto dell’USSM e di progetti educativi che riusciamo a far nascere interessi e creare stimoli”.
Lei, in questo Tribunale, è stata per anni un Giudice. Si è mai resa conto che, in alcune occasioni, ha dovuto alzare le braccia perché gli strumenti a sua disposizione erano terminati e non poteva andare oltre?
“Parlando nello specifico del Minorile, non ritengo che ci siano lacune legislative. Le norme ci sono e siamo in grado d’interpretarle. Mancano, piuttosto, gli strumenti a livello amministrativo e organizzativo del territorio, quelli che consentono di intervenire a livello operativo. Si potrebbe ipotizzare che il Giudice, stante che alcuni poteri sono competenza del Pubblico Ministero, potesse avere alcuni poteri di direzione. Mi spiego meglio. In aggiunta alle disposizioni che il giudice impartisce al servizio sociosanitario, sarebbe utile consentirgli di servirsi anche degli organi di polizia giudiziaria che invece operano in base alle direttive del pubblico ministero, in modo da rendere più efficace l’esecuzione di determinate disposizioni del tribunale. Anche le norme entrate in vigore con la riforma Cartabia non sono d’aiuto. Cosa mi manca? Questa riforma del diritto dei minori, della famiglia e delle persone, che ha imposto un determinato rito al fine della salvaguardia del contraddittorio e diritti delle parti, significa che molte situazioni non possono essere più trattate con celerità. Una mia recente direttiva, rivolta ai Sindaci e ai Servizi Sociali, ha lo scopo di sollecitarli a potenziare i loro servizi al fine di poter intervenire là dove noi non possiamo. Questa riforma non è stata accompagnata da un serio intervento legislativo sui servizi presenti sul territorio cui non sono stati dati mezzi, operatori, formazione e indirizzi univoci. Questa riforma ha aumentato il nostro lavoro, ma siamo in grado di organizzarci, però quando le famiglie richiederanno, per i loro bambini che non possono andare a scuola, un semi-convitto o un servizio educativo domiciliare noi saremo disarmati. In passato lo facevamo, seppur in forma di supplenza, ma, proprio sulla base di questa riforma, per noi non sarà più possibile intervenire. Il rischio è che molti bambini non andranno più a scuola”.