Inchiesta

Formazione e lavoro come due rette parallele, il 25% dei profili richiesti introvabile in Sicilia

Cercasi artigiani, addetti alla ristorazione e alle pulizie, ed ancora chi consegna merci e chi sappia utilizzare i mezzi pesanti adibiti al movimento terra. Tutte occasioni che il mercato del lavoro offre secondo l’ultima indagine effettuata dal sistema informatico Excelsior di Unioncamere in collaborazione con Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro vigilata dal ministero del Lavoro. Ma quel che viene fuori è che la Sicilia, ancora una volta è impreparata alle nuove sfide del mercato del lavoro. E quel che è peggio è che neanche chi ha gli strumenti per migliorare questa condizione, quindi parliamo della Regione, riesce a garantire un miglioramento della situazione. Mentre tutto stagna la Sicilia continua a morire e i tantissimi giovani vanno via da questa terra in cerca di quella fortuna che, in realtà, potrebbero tranquillamente trovare anche qua.

Mentre Unioncamere e Anpal certificano ciò che serve veramente al mercato del lavoro, il governo regionale dopo tre anni è tornato a ridare vita ai cosiddetti corsi tradizionali. Si parla di 136 milioni di euro, circa 1.100 corsi finanziati con il risultato di essere ancora distanti da quello che vuole il mercato del lavoro.

Chi pensava che i tre anni di stop, fatti di ricorsi e controricorsi degli enti rimasti fuori dai finanziamenti da quando è stata stretta la borsa, potessero riuscire a creare un sistema più snello, efficiente e soprattutto efficace è rimasto sicuramente deluso. Unica magrissima consolazione il fatto che rispetto alle altre edizioni dei corsi tradizionali si è speso molto meno ma anche molto male.

Il sistema Excelsior attesta che nel settembre scorso in Sicilia si dovevano concretizzare 19.660 assunzioni e le professioni più ricercate erano soprattutto artigiani e addetti con vari ruoli nell’ambito delle costruzioni (altro che edilizia in crisi a guardare i numeri), si scopre che in questo momento nell’edizione dei corsi appena finanziati (e in parte ancora in corso) c’è di tutto tranne quello che le imprese chiedono. Spuntano fuori 79 corsi operatori del benessere e altri 5 di estetista, un record di cui non si ha traccia di carenze di figure nel mercato del lavoro; di contro c’è un solo corso per addetto alla falegnameria, appena 3 nel settore dell’edilizia, non c’è traccia invece nell’ambito dell’idraulica e della nautica e, sorpresa delle sorprese, dei 3 corsi di operatore per l’abbigliamento presentato nessuno è stato alla fine finanziato.

Il risultato appare scontato: in Sicilia, dove tanto si piange per la mancanza di lavoro, non ci sono le figure professionali ricercate e dunque le imprese finiscono per non assumere. Sempre Anpal e Unioncamere hanno evidenziato che a settembre molti posti di lavoro sono rimasti vuoti proprio per la carenza di candidati. Per l’esattezza si attesta una carenza del 24,8% di potenziali lavoratori: addirittura nel 12,6% dei casi manca del tutto il candidato, vale a dire che rispetto alla richiesta l’impresa non ha trovato chi abbia i requisiti. Poi vi è anche quasi un 11% di candidati che hanno una preparazione inadeguata, quindi non assumibili per le esigenze dell’azienda.

Analizzando i dati per provincia ci si rende conto che il maggior numero di assunzioni vengono fatte da Palermo e Catania, che insieme assorbono circa 10 mila unità. Nel capoluogo siciliano si supera la media della carenza di personale richiesto, arrivando al 26,7%; ma è sicuramente Siracusa che ha il dato più anomalo, che testimonia che al peggio non c’è mai fine: qui vi è il record di figure professionali carenti e si arriva a quota 31,3%, ciò significa che da queste parti addirittura quasi una persona su tre richiesta dalle imprese non si riesce a trovare con il profilo adeguato.

In tutto questo a fare ancora più male c’è un altro dato significativo che è stato reso noto da una ricerca dell’Unicef Italia. La Sicilia detiene il record di Neet (Not in education, employment or training), vale a dire di giovani che non studiano, non lavorano e non seguono nessun percorso di formazione. Nell’Isola se ne contano il 38,6% della popolazione compresa tra i 15 ed i 29 anni.

Formazione ostaggio dei formatori non si riesce a guardare al futuro
Si continuano a realizzare corsi (poco utili) per parrucchieri ed estetisti

Il principale è sostanzialmente quello che la formazione siciliana finisce con l’essere prigioniera delle nefandezze del passato. Infatti si continua a insistere sull’Albo dei formatori e sul fatto che gli enti per realizzare i corsi debbano anzitutto fare riferimento a questo elenco di circa 8 mila persone che sono poi i dipendenti storici. Poi però nell’Avviso 2 è scritto con chiarezza che il personale docente “deve possedere competenze professionali coerenti con le materie oggetto di formazione”.

Se nel passato la formazione professionale siciliana ha fatto flop (nell’ultimo decennio spesi 2 miliardi di euro senza risultati occupazionali concreti, nda), come è possibile che si possa pensare di fondare sulle stesse persone il futuro delle attività dei corsi? Alla fine l’ente di formazione resta ostaggio del suo stesso personale che deve continuare a mantenere, come tra l’altro impone il governo regionale nel subordinare il suo finanziamento, e di conseguenza può creare solo corsi che siano coerenti con la docenza che già ha.

Come già ampiamente dimostrato con i numeri, la formazione così come impostata nei decenni scorsi non ha fatto altro che produrre il nulla più assoluto nell’Isola sfornando sempre gli stessi corsi, quelli per parrucchieri ed estetisti in primis. E non è un caso che proprio questo tipo di corsi siano ancora una volta quelli più proposti, proprio perchè il corpo docente degli enti ha queste professionalità.

Restare quindi ostaggio di un Albo non appare la scelta più azzeccata se davvero, come ha più volte proclamato questo governo regionale, si vuol cambiare l’efficacia delle attività formative e creare veri profili necessari al mondo del lavoro. Per questi docenti nessuna formazione per riqualificarsi: solo una riforma del settore potrebbe cambiare ciò che si è consolidato (erroneamente) nei decenni.

Lombardia e Veneto hanno puntato su corsi utili al lavoro

La crisi del mercato del lavoro di oggi è frutto della mancanza di adeguati profili professionali. I numeri dell’ultima annata formativa prima di quella che è in fase conclusiva – e dunque vi sono solo numeri parziali e non definitivi, confrontati tra la Sicilia e le altre regioni – sono emblematici.

A mettere a nudo questo aspetto è l’Isfol, l’istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, che in relazione all’annata 2014-2015, l’ultima quindi che si è sviluppata in Sicilia, fa emergere una realtà cruda fatta di incredibili sperperi.

Abbiamo contattato l’assessorato regionale alla Formazione che si è riservato nei prossimi giorni di pronunciarsi su questo disastro del settore. Anzitutto si parte dall’assunto che dal 2004 al 2015 sono stati spesi 2,6 miliardi di euro per circa 18 mila ore finanziate di corsi di formazione, sulla base del “rendiconto” fatto dal dipartimento regionale della Formazione. Un numero che potrebbe apparire sproporzionato ma che non riesce a dare a dare il senso del reale spreco.

È sui risultati prodotti, che chiaramente si ripercuotono nella realtà di oggi, che si realizza davvero il danno. La scadente qualità dei corsi, ed il mancato controllo della Regione, hanno portato ad effetti disastrosi: in quell’annata 2014-2015 non si formò un solo operatore dell’abbigliamento o dell’edilizia, così come nessun tecnico termoidraulico. Zero in casella anche per profili specializzati nella lavorazione del legno o di tecnici adibiti alla manutenzione di imbarcazioni da diporto. In pratica stiamo parlando dei profili dove al contrario vi è una grande ricerca di personale in Sicilia, come ha avuto modo di attestare Unioncamere attraverso le sue ricerche dell’osservatorio Excelsior. Non a caso le altre regioni hanno puntato su questi profili, come la Lombardia che ha prodotto migliaia di questi profili, e così anche l’Emilia Romagna, il Veneto e il Piemonte sono per citare le regioni che hanno investito di più.