PALERMO – C’è anche la Sicilia Nord-Occidentale tra le zone considerate a “rischio sociale elevato con tempi di ritorno intermedi” delle frane. L’area isolana è in compagnia di Alpi Nord-Occidentali, in Liguria, nella zona di transizione Alpi-Appennini, in Calabria, mentre risultano “tempi di ritorno bassi” per le Alpi centrali, del nord-est, occidentali e in Campania. Lo rivela uno studio dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Cnr, pubblicato da Earth-Science Reviews.
LO STUDIO
Il lavoro dei ricercatori parte da un database immenso: lo studio prende in considerazione i dati di 1.017 frane fatali avvenute tra il 1861 e il 2015 e “propone un approccio innovativo – si legge nella nota diffusa sul sito ufficiale del Cnr – per quantificare in termini probabilistici distribuzione spazio-temporale, tempo di ritorno e impatto atteso sulla popolazione di questi eventi calamitosi”. Un approccio di questo genere consente di “valutare in termini probabilistici la distribuzione spaziale e temporale del rischio utilizzando i dati di intensità e frequenza di oltre mille frane con vittime, avvenute dall’unità d’Italia a oggi”.
GLI OBIETTIVI
I risultati raggiunti dallo studio non servono solo a “migliorare la zonazione del rischio a scala sinottica” perché per “la prima volta permettono una valutazione del tempo di ritorno delle frane fatali e dell’impatto atteso sulla popolazione”. Per Mauro Rossi, ricercatore Cnr-Irpi e ideatore dello studio, “l’approccio innovativo proposto utilizza dati storici relativi a un dettagliato catalogo per eventi dei quali sono disponibili informazioni accurate, sulla localizzazione e sul numero delle vittime, in base al quale si è quantificata la magnitudo dell’evento franoso”. Tramite l’analisi di oltre un migliaio di frane, è “stata applicata una distribuzione di probabilità per modellare il rischio sociale e stimare, per la prima volta, il tempo di ritorno delle frane in funzione dell’impatto atteso sulla popolazione”.
COME FUNZIONA IL RISCHIO
L’analisi probabilistica ha permesso di evidenziare un’Italia molto diversa in rapporto al rischio sociale da frana, in quanto dipende da tre parametri: “L’evento con il più alto numero di vittime registrato (F), il numero totale di frane con vittime (E) e l’esponente della distribuzione di probabilità adottata (s), cioè la proporzione tra frane con bassa e alta magnitudo”, ha spiegato Rossi che poi ha aggiunto: “le tre variabili sono state calcolate su una griglia con celle di 10 km di lato per consentire una valutazione regolare ed uniforme del rischio sociale sull’intero territorio nazionale”. Da questo punto di vista, la memoria corre all’area del messinese che, negli ultimi anni, è stata al centro di tragici episodi di frana.
I TEMPI DI RITORNO
I tempi di ritorno sono risultati bassi, quindi inferiori ai 30 anni, per diverse aree del Paese, tempi intermedi invece anche in Sicilia. Secondo Fausto Guzzetti, direttore del Cnr-Irpi, i risultati di questa ricerca, tra le altre cose, promuovono “l’efficacia dei sistemi di allertamento nazionale e regionali”, spingendo dunque “a progettare e implementare strategie di comunicazione, mitigazione e adattamento”.
UN MODELLO ESPORTABILE PER ALTRI RISCHI NATURALI
“Il catalogo dal quale sono state ottenute queste analisi rappresenta un’unicità italiana, sia per l’estensione temporale sia per il contenuto informativo”, ha concluso Paola Salvati del Cnr-Irpi e coautrice del lavoro, “ma il nostro approccio può essere applicato ad altre tipologie di rischi naturali e non, per i quali siano noti i dati di frequenza e di magnitudo”.