Il 21, 22 e 23 febbraio è uscito al cinema e dal 4 marzo è anche su Netflix “Il filo invisibile”, film di Marco Simon Puccioni, prodotto da Viola Prestieri e Valeria Golino e con Filippo Timi, Francesco Scianna, Francesco Gheghi e Valentina Cervi.
Leone ha sedici anni e ha due papà Paolo e Simone. Nato in California dove è stato partorito da Tilly (la sua Dede come la chiama lui) il ragazzo è cresciuto in Italia. Leone è consapevole sia dei pregiudizi e delle chiacchiere sull’essere figlio di una coppia omosessuale sia delle contraddizioni e delle disarmonie della legislazione italiana.
Al ventesimo anniversario d’amore di Paolo e Simone, Leone vede cedere la solidità della sua famiglia, mentre sta vivendo la sua prima storia d’amore.
L’equilibrio familiare viene meno a causa di un’infedeltà. Leone si ritrova a dover ridisegnare una nuova stabilità non senza liti, confusione e verità mai immaginate. Alla fine tutto ritrova un senso grazie a quel filo invisibile.
“Il filo invisibile” è un film che affronta un tema molto attuale su cui da anni il legislatore italiano tentenna e vacilla. Si parla, infatti, di omogenitorialità e mancati riconoscimenti sul certificato di nascita.
“Cerco di raccontare le storie che mi interessano e che credo rilevanti. Ringrazio Netflix perchè ha accolto questo copione con entusiasmo dandomi una certa libertà artistica” ha spiegato il regista Puccioni in conferenza stampa.
Interessante è la scelta adottata dal regista di aprire il film proprio con Leone che per un compito scolastico decide di parlare dei diritti LGBT con un video sulla sua famiglia.
Nel video, Leone racconta la sua quotidianità e i vari step che ha dovuto affrontare e, allo stesso tempo, rende consapevole lo spettatore delle dinamiche e dei possibili scenari che lo aspetteranno.
Simone e Paolo sono due genitori come tanti altri. Hanno una bella casa, un lavoro che più o meno li soddisfa e una storia d’amore lunga vent’anni, solo all’apparenza idilliaca. La loro è una famiglia simile a tante altre che sottoposta alla lente d’ingrandimento dell’occhio sociale viene etichettata come “anormale”.
Per i due il figlio Leone è il centro di tutto. È la persona più importante da amare e da salvaguardare. Quando il legame sentimentale tra i due finisce, tra Simone e Paolo è il tempo della rabbia. Ripicche, urla, e incomunicabilità che rompono quell’equilibrio ben conosciuto da Leone.
Il ragazzo si trova inerme di fronte a quanto vivono i due papà, ma cerca di non privarsi delle prime emozioni.
Proprio quando, infatti, i genitori si lasciano, Leone scopre l’amore e si vive intensamente ogni aspetto.
Il vero e grande antagonista di Leone sembra proprio essere la legge italiana che spesso viene richiamata nel film tra incontri con l’avvocato e riferimenti nei vari dialoghi.
Il film, però, non punta il dito ma diventa un generatore di domande per lo spettatore e una rappresentazione oggettiva e realistica della realtà di molte coppie italiane, in bilico tra il voler diventare genitori e la legge italiana e l’essere genitori ma in costante lotta per ottenere a livello legale ciò che già sono tutti i giorni.
Il regista centra più obiettivi con “Il filo invisibile”. Non c’è solo il racconto di un amore che si è costruito e si rappresenta attraverso Leone, ma anche lo sguardo di chi osserva questo amore tra incoraggiamenti, critiche e curiosità. Nel film, infatti, Puccioni svela trame e sfumature della coppia, ma nel frattempo non manca mai di inserire gli sguardi e le opinioni degli altri su ciò che i protagonisti vivono. Vi è la scena della madre dei compagni di classe che parla di cosa è normale, vi è un paziente in ospedale che ascolta con curiosità e stupore cosa dicono e vi è la zia premurosa e attenta a riempire d’affetto i dubbi del nipote.
Inoltre, Puccioni prova a dare una narrazione completa dovendo rifarsi a dei luoghi comuni ma più che mai verosimili. Ad esempio: Leone viene creduto omosessuale solo perchè figlio di genitori che lo sono.
Grandi interpreti dell’esigenza narrativa del regista sono stati Filippo Timi, Francesco Scianna e Francesco Gheghi che hanno saputo ben districarsi con i loro personaggi bilanciando emozioni, dramma e stupore con autenticità.
Insomma, una narrazione senza ombre o chiaroscuri con l’intenzione di dare voce all’unica cosa che conta quando si parla di genitorialità ossia l’amore.
“Per me il film è una lettera d’amore a tutti i ragazzi. Io sono il primo che vive a servizio dell’amore. Sono innamorato di tutte le persone che conosco e vivrei per loro. Credo tanto nell’amore e non smetterò mai di crederci – dichiara Francesco Gheghi alias Leone nel film – Questo è il messaggio del film. Io non credo alla parola normale. Credo che questa sia la storia di una famiglia che ha il coraggio di non avere paura”.
Francesco Scianna ha aggiunto: “L’amore vince quando è pieno di errori e si accettano le debolezze”.
È solo l’amore quel filo invisibile che sa unire, riconciliare e dare un senso all’esistenza.
È nel segno dell’amore che si diventa genitori oltre un certificato di nascita, la biologia e le incomprensioni coniugali. E non si tratta di retorica, ma dell’unico vero sentimento capace di annientare pregiudizi e di far smettere di chiedersi cosa o chi è normale e cosa o chi non lo è.
Sandy Sciuto