di Oriana Sipala
È il 28 novembre 2019. Un tartaruga caretta caretta viene trovata morta, con lo stomaco pieno di plastica, sul litorale di Vasto, in Abruzzo. Pochi mesi prima, a Cefalù, nel maggio dello stesso anno, la vittima è un capodoglio. Anche per questo cetaceo la stessa diagnosi: morto di plastica, troppa plastica. E questi sono soltanto due dei tanti casi che ogni giorno accadano nei nostri mari e arrivano fino alle nostre spiagge. Paradisi di acque che una volta potevano dirsi cristalline, ma che oggi sono diventate vere e proprie discariche di plastica. A confermarlo è un monitoraggio di Legambiente, Beach Litter 2020, che ha preso in considerazione solo le coste e ha censito ben 28.137 rifiuti in un totale di 189 mila metri quadri (654 ogni cento metri). Le spiagge controllate in tutto il Paese sono state 43, di cui quattro siciliane: quella di Romagnolo a Palermo, Marina di Priolo in provincia di Siracusa, Lido Cannatello nell’agrigentino, e Micenci nel ragusano.
In particolare, a predominare tra le diverse tipologie di rifiuti è, appunto, la plastica, che rappresenta l’80% del totale degli scarti rinvenuti in queste aree. Seguono il vetro e la ceramica (10%), il metallo (3%), la carta e il cartone (2%), materiali in gomma (2%), legno lavorato (1%). Il restante 2% è costituito da altri materiali. Tra i polimeri artificiali prevalgono frammenti di plastica e polistirolo, con dimensioni comprese tra 2,5 e 50 cm.
Moltissimi i mozziconi di sigaretta disseminati lungo i litorali, ma anche tappi e coperchi per bevande. Vetro e ceramica si ritrovano soprattutto in forma di frammenti e di materiale da costruzione come tegole, mattonelle, calcinacci. Il metallo è rappresentato soprattutto da lattine, tappi e linguette, mentre carta e cartone si ritrovano in frammenti, ma in misura importante anche come pacchetti di sigarette. E in tempi di coronavirus, purtroppo, si iniziano a rinvenire nelle spiagge anche rifiuti legati all’emergenza sanitaria in corso. In una spiaggia su tre, tra quelle monitorate, sono stati ritrovati guanti usa e getta (56,8%), mascherine (34,1%) e altri oggetti sanitari (9,1%).
Risulta molto allarmante, inoltre, l’elevata quantità, in alcuni casi addirittura incalcolabile, di materiale da costruzione rinvenuta in alcune spiagge, come quella del Baraccone a Bari, del Caterpillar a Salerno e di Romagnolo a Palermo. Spiagge che sono diventate vere e proprie discariche abusive. Questo è il triste risultato di un incrocio di fattori: dall’incuria e la maleducazione dei cittadini, al ritardo del governo nel recepire le direttive europee, fino alla cattiva gestione dei rifiuti sulla terraferma che, attraverso corsi d’acqua e scarichi, arrivano in mare e sui litorali. Contestualmente alla diffusione di questi dati, Legambiente ha infatti lanciato un’appello al Senato, affinchè recepisca la direttiva Ue 2019/904 sulla plastica monouso.
Quest’ultima, detta anche Sup (Single Use Plastics), propone che il divieto di utilizzo, previsto per il 2021, dei prodotti per i quali esistono alternative sostenibili (posate, piatti, bastoncini cotonati, cannucce, mescolatori per bevande e aste dei palloncini) venga esteso anche ai prodotti di plastica oxodegradabile e ai contenitori per cibo da asporto in polistirene espanso. Per i prodotti monouso per cui, invece, non ci sono alternative, gli Stati membri dovranno mettere a punto misure per ridurne significativamente l’utilizzo, mentre per altri sono stati definiti obiettivi di riciclo, raccolta e revisione della progettazione del prodotto. Una direttiva importantissima, che ridurrebbe significativamente il problema dell’inquinamento nel nostro Mar Mediterraneo che, pur costituendo solo l’1% della superficie di mari e oceani di tutto il pianeta, è anche uno dei 25 hot spot della biodiversità mondiale, ed è, purtroppo, la sesta area di accumulo dei rifiuti al mondo.
“Quasi la metà dei rifiuti monitorati riguarda proprio i prodotti al centro della direttiva europea sulla plastica monouso – commenta infatti Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – e anche alla luce di questi risultati l’Italia deve recepirla prima della scadenza del luglio 2021”.
“Alla luce dell’ipotesi di varare una tassa europea sulla plastica per cofinanziare il Recovery Fund – continua Zampetti -, ribadiamo la nostra richiesta di non prorogare ulteriormente, oltre l’1 gennaio 2021, l’avvio della plastic tax varata con la legge di bilancio a dicembre. Si deve poi arrivare, al più presto, all’approvazione della legge SalvaMare che consentirebbe ai pescatori di riportare a terra i rifiuti pescati accidentalmente: il disegno di legge, approvato a ottobre alla Camera, è completamente fermo al Senato, in Commissione ambiente, sottraendo tempo prezioso al recupero dei rifiuti affondati, il 70% di quelli che finiscono in mare, con danni alla biodiversità e all’economia della pesca”.
A denunciare la drammatica situazione vi sono anche altre associazioni che da anni lottano contro questo cancro ambientale. Dal Wwf sappiamo, per esempio, che ogni giorno finiscono nel Mar Mediterraneo circa 30 mila bottiglie di plastica: l’equivalente di 33.800 bottiglie al minuto. Una relazione della Commissione europea, con dati 2017, quantifica in 250 miliardi le micro particelle di plastica che galleggiano nel Mediterraneo. Secondo la relazione, è proprio la plastica ad avere il più elevato impatto dannoso sull’ambiente marino, coinvolgendo la fauna marina che ha solo il 20% di probabilità di salvarsi quando viene intrappolata.
Numeri che destano grande preoccupazione, se si considera che, “il Mar Mediterraneo – come si legge sul sito del Wwf – è un bacino quasi chiuso dove le correnti fanno tornare sulle coste l’80% dei rifiuti di plastica, con il risultato che per ogni chilometro di litorale, se ne accumulano oltre 5 kg al giorno”. L’inquinamento peggiore da plastica – si legge ancora sul sito – è quello invisibile: la microplastica. Il mare nostrum ha soltanto l’1% delle acque mondiali, ma contiene il 7% della microplastica marina”.
CATANIA – Che le microplastiche siano il problema principale dell’inquinamento da plastica ce lo conferma anche una recente ricerca condotta dal Laboratorio di igiene ambientale e degli alimenti dell’Università di Catania, diretta dalla professoressa Margherita Ferrante e pubblicata sulla rivista di settore Environmental Research. Tale studio rileva la presenza di microplastiche negli ortaggi che imbandiscono le nostre tavole e che, quindi, finiamo per ingerire. In particolare, i dati mostrano una contaminazione variabile, con dimensioni medie delle microplastiche che vanno da 1,51 a 2,52 microns, e un range quantitativo medio da 223 mila a 97.800 particelle per grammo di vegetale rispettivamente in frutta e verdura.
“Il gruppo di lavoro – spiegano la Ferrante e la ricercatrice Gea Oliveri Conti – sta, inoltre, ampliando gli alimenti investigati. È in fase di elaborazione un ulteriore articolo sui dati derivanti dai filetti eduli di pesce”. Dunque si attendono i risultati relativi alla presenza di microplastiche nei prodotti ittici, ma la risposta è abbastanza prevedibile, visto che non ci sono ormai dubbi sulla presenza di micro particelle di plastica in tutti i mari del mondo, compreso il Mediterraneo.
Lo scorso 16 luglio, per esempio, sono stati diffusi i risultati di uno studio condotto da Greenpeace, in collaborazione con l’Università delle Marche e con l’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino (Cnr-Ias) di Genova. I risultati mostrano che nel tratto di mare investigato, ovvero il Mar Tirreno centrale, la concentrazione di microplastiche è altissima, con picchi nei pressi dell’isola di Capraia, in cui si parla di oltre 300 mila particelle di microplastica per km quadrato. Valori di concentrazione elevati sono stati registrati anche nel porto di Olbia e alla foce del Tevere, con oltre 250 mila particelle per km quadrato. Secondo un altro studio, pubblicato nel Marine Pollution Bulletin, oltre la metà delle sardine (58%) e delle acciughe (60%) del Mediterraneo occidentale presentano microplastica nel loro intestino.
Tutto ciò comporta danni ingenti sia per la salute che per l’economia. La Blue Economy, infatti, subirebbe in Italia perdite per ben 67 milioni di euro l’anno proprio a causa dell’inquinamento da plastica. Al danno si aggiunge la beffa, visto che i pescatori non possono recuperare rifiuti in mare e contribuire, così, a un ridimensionamento del problema, poiché rischierebbero sanzioni per trasposto illecito di rifiuti. Anche per questo risulta urgente l’approvazione della legge SalvaMare, in cui si ribalta l’assurdo divieto.
ROMA - Nella lotta contro la plastica, giocano un ruolo importante anche la raccolta differenziata e il riciclo. Secondo gli ultimi dati di Corepla (Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica), nel 2019 sono state oltre 1.370.000 le tonnellate di plastica raccolte in modo differenziato in Italia, ovvero il 13% in più rispetto al 2018. “Un risultato mai raggiunto prima – ha dichiarato il presidente di Corepla Antonello Ciotti – per gli oltre 7.000 Comuni che hanno avviato il servizio di raccolta. Con una media di circa 23 kg per abitante, il sistema italiano del riciclo degli imballaggi in plastica è tra i primi in Europa”.
In particolare, in Sicilia c’è stato un aumento del 53,9%. Si è infatti passati dalle 59 mila tonnellate di plastica del 2018 (11,7 kg per abitante) alle quasi 100 mila tonnellate del 2019 (18,1 kg per abitante). Dopo il Molise e la Basilicata, la nostra Isola è la terza regione in cui si registra l’aumento maggiore. Numeri importanti, che parlano di grandi passi avanti fatti nella gestione dei rifiuti in Sicilia, anche se una mossa ancora più efficace, da parte dei cittadini, sarebbe quella di ridurre al massimo il consumo di prodotti in plastica, fino ad approssimarlo allo zero. Rifiutare i sacchetti di plastica nei negozi e supermercati, usare bottiglie riutilizzabili, ricorrere alla cosmetica solida e naturale (senza additivi che contengano microplastiche) sono solo alcune delle abitudini che il singolo cittadino può adottare prima di arrivare a produrre 18 chili di rifiuti plastici l’anno.
E parliamo solo dei numeri forniti da Corepla. Quei chili di plastica prodotti da ciascuno sono verosimilmente molti di più. Secondo le stime del Wwf, infatti, ogni italiano produce in media un chilo di rifiuti plastici ogni 5 giorni. Più in generale, sempre secondo il Wwf, l’Italia produce 4,5 milioni di tonnellate di rifiuti plastici ogni anno, di cui 497 mila (l’11%) sono dispersi in natura, mentre 1,4 milioni sono conferiti in discarica, 1,5 milioni inceneriti e 1,2 milioni riciclati.