Caro Direttore,
Ormai è chiaro: il PNRR, per chiunque l’abbia letto con un minimo di cognizione di causa, è una rara accozzaglia di buoni propositi e assegnazione di prebende distribuiti sul territorio nazionale su richiesta di potentati e clienti vari. Con netta prevalenza settentrionale. Tecnicamente, è ormai accertato, si tratta di un documento privo di un’analisi pro-ante, di una definizione degli obiettivi da raggiungere, di una corretta analisi delle azioni da compiere, nell’ambito di una visione di insieme: una cosa del genere, non ha neanche il minimo requisito per considerarsi “Piano per le future generazioni dell’Europa Unita”.Ma chi ha redatto questo documento ha fatto anche di peggio dal punto di vista procedurale.
è impensabile non tenere conto del parere di (alcune?) regioni che – insieme a sindacati, associazioni, portatori di interesse, terzo settore, ecc. – non sono state minimamente interpellate prima e durante la sua stesura. Lo stesso semplice buon senso avrebbe suggerito il contrario. Dovendosi esaminare le necessità locali, i redattori del sedicente Piano avrebbero dovuto tenere conto dei precisi obblighi istituzionali sanciti non soltanto a livello europeo ma anche, e soprattutto, a livello nazionale (Sentenza della Corte Costituzionale 7/2016).
Secondo il trattato dell’Unione, le competenze si ripartiscono tra Europa, Regioni e Stato: non è ammissibile che uno Stato rediga un Piano che ignora il parere di alcune regioni. Nel bene e nel male, queste ultime sono parte organica del Comitato europeo delle Regioni. Analogamente, ai sensi della stessa Costituzione italiana, lo sviluppo e la coesione delle regioni al loro interno non sono materia statale esclusiva. Eppure, chi ha redatto il Piano, sembra proprio non averne tenuto conto, approfittando del silenzio assordante degli stessi governatori delle Regioni più trascurate. Che, guarda caso, sono proprio quelle meridionali.
Ingegnere Roberto Di Maria