Economia

Quanto pesa l’Imu nelle tasche dei siciliani, nell’Isola una delle pressioni fiscali più alte

La Sicilia è la quarta regione italiana per costo dell’Imu, la tassa municipale sugli immobili. Questo il principale dato che emerge dall’analisi del centro studi del sindacato Uil. Il costo medio dell’Imu nei principali centri urbani siciliani è di circa 1.420 euro annui, cifra che si attesta al 7% del Pil pro-capite regionale, di poco superiore ai 20.000 euro. Dato, quest’ultimo, che posiziona la Sicilia tra le regioni con il maggior impatto fiscale in relazione al reddito medio disponibile dei cittadini.

Sono evidenti poi le differenze tra il Sud e il Nord del Paese anche per il capitolo degli immobili di lusso, con la Sicilia che consente di pagare imposte anche sei volte inferiori rispetto alle stesse ville situate in alcune province della Toscana. Ma andiamo a vedere cosa dicono i dati e quali sono le differenze tra le città siciliane redatte nel report del sindacato.

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Il Report Uil

L’analisi del Centro studi della Uil rivela che, sebbene in termini assoluti ci siano regioni con costi più elevati, in proporzione al Pil pro-capite, la Sicilia presenta una delle pressioni fiscali più alte. La Campania guida questa classifica con un costo medio di 1.830 euro, equivalente al 9% del Pil pro-capite. A seguire ci sono Sardegna (1.985 euro, 8%) e Puglia (1.600 euro, 7%). Dopo, appunto, proprio la Sicilia.

Non tutte le città siciliane sono però gravate allo stesso modo dall’imposta, che si differenzia anche per il valore degli immobili sul territorio di riferimento. In alcune città, l’Imu risulta particolarmente contenuta: Messina registra una media di 519 euro annui, Caltanissetta 549 euro, Enna 574,5 euro, Palermo 681 euro e Ragusa 682 euro. Questi dati collocano proprio le città siciliane tra le meno costose in Italia.

Anche per le proprietà di lusso, la Sicilia risulta meno costosa rispetto ad altre regioni. Caltanissetta, Ragusa e Messina sono tra le città più economiche d’Italia per questa categoria, con costi rispettivamente di 1.315 euro, 1.083 euro e 1.018 euro. Al contrario, città come Grosseto, Milano e Roma presentano costi molto più elevati, con Grosseto che raggiunge i 6.828 euro annui.

Le differenze in Sicilia

Sebbene le aliquote applicate dai Comuni siano al massimo consentito, ovvero al 10,6 per mille in tutti i capoluoghi di provincia siciliani, l’imposta municipale unica (Imu) in Sicilia è – come abbiamo visto – in media tra le meno care d’Italia. In base ai dati contenuti in un altro report realizzato sempre dalla Uil ed estratti dal Rapporto IMU 2022, è possibile mostrare le differenze che intercorrono anche tra le singole province dell’Isola.

Siracusa risulta essere la provincia più cara della Sicilia per questo tipo di tassa con oltre 1220 euro annui. A seguire le province di Catania e Ragusa, rispettivamente con 1115 e 1080 euro pro capite. Poi Agrigento, con 955 euro, e Trapani, con 816 euro. Ancora più giù troviamo Palermo ed Enna, dove l’Imu costa 745 e 738 euro. Messina e Caltanissetta sono invece le province siciliane nelle quali si paga di meno con 709 e 700 euro.

Le modalità di calcolo dell’Imu

Il calcolo dell’Imu varia in base alle decisioni dei singoli Comuni, che stabiliscono aliquote e detrazioni. Questo meccanismo comporta una forte variabilità del carico fiscale tra diverse aree dell’Italia. Il saldo finale, previsto per il 16 dicembre 2024, potrebbe includere ulteriori aggiustamenti determinati dalle nuove aliquote deliberate dai Comuni, influenzando ulteriormente la pressione fiscale locale.

Il confronto con le altre regioni

Se confrontiamo il costo medio annuo dell’Imu, emerge una chiara differenza geografica. Al Sud e nelle Isole, il costo medio è di 982 euro e 829 euro rispettivamente, contro i 1.027 euro del Nord Ovest, i 1.060 euro del Nord Est e i 1.144 euro del Centro. Queste differenze sono indicative dei differenti valori immobiliari presenti nelle diverse aree del Paese.

Secondo la Uil, è necessaria una riforma strutturale del catasto per garantire una tassazione immobiliare più equa. La riforma chiesta a gran voce dal sindacato potrebbe correggere gli attuali squilibri, garantendo che il prelievo fiscale sia proporzionato al valore reale degli immobili e alla capacità contributiva dei cittadini.