Messina

Incendio Mazzarà Sant’Andrea, attivisti contro l’Arpa: “Dati lacunosi e informazione scorretta”

“L’informazione che viene veicolata alle autorità e alla popolazione non è corretta ed è affetta da una inopportuna sottovalutazione delle reali condizioni ambientali”. Non ci girano attorno gli attivisti dell’Osservatorio permanente per i disastri ambientali nel commentare i dati diffusi nei giorni scorsi dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa) sulle conseguenze dell’incendio che a giugno è divampato all’interno della discarica messinese di Mazzarà Sant’Andrea.

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Le analisi dei tecnici regionali aveva fornito delle prime rassicurazioni sulle condizioni dell’atmosfera e nello specifico sui rischi che le sostanze prodotte dalla combustione dei rifiuti potessero ricadere sui terreni, inquinarli ed entrare nel ciclo biologico. Per l’Osservatorio, però, la situazione è tutt’altro che rasserenante. Una differenza di vedute che già l’anno scorso si era manifestata in occasione del rogo che per più giorni aveva interessato la discarica.

Critiche su metodologie e strumentazione

“Le notizie stampa enfatizzanti la bassa o scarsa presenza dei Cov (composti organici volatili, ndr), oltre a cozzare con le evidenze visive ed olfattive dell’evento in corso, risentono indubbiamente del fatto che la relazione non mette in risalto le criticità, anzi, neppure ne fa cenno”. In una nota di due pagine, gli attivisti – tra i quali Gioacchino Genchi, chimico ed ex dirigente in servizio alla Regione Siciliana – puntano il dito sulle modalità con cui Arpa ha effettuato i campionamenti dell’aria a Mazzarà Sant’Andrea, ma anche su come i dati raccolti sono stati divulgati al pubblico. Trattandosi di temi molto tecnici, secondo l’Osservatorio l’inadeguata rappresentazione degli stessi ha determinato che gli organi di informazione abbiano contribuito a rilanciare un clima di serenità che invece non dovrebbe esserci.

La prima criticità, per gli attivisti, starebbe nei campionamenti istantanei effettuati con i cosiddetti canister. “L’Agenzia riporta che sono stati effettuati in un’area sottostante la nube di fumo e che le condizioni meteo hanno permesso una diffusione della nube verso l’alto – si legge nella nota –. Appare fin troppo ovvio che i canister hanno campionato una frazione poco o nulla significativa degli inquinanti originati dal rogo, in quanto è chiaro che non sono stati posizionati in modo opportuno, per non dire errato, come, invece, l’evidenza della situazione in corso e l’esperienza professionale avrebbero dovuto suggerire al personale intervenuto”. Da ciò ne sarebbe derivata una conclusione alterata rispetto al reale stato delle cose: “L’unica conclusione che l’Agenzia trae dai due risultati è che il campione a maggiore distanza presenta minori concentrazioni di Cov, ovverosia una considerazione scontata persino per i non addetti ai lavori”.

Per l’Osservatorio, a inficiare i dati raccolti da Arpa sarebbe stato il modo in cui sono stati effettuate le misurazioni tramite i campionatori ad alto volume. Strumenti utilizzati per verificare le concentrazioni di diossine. “L’Agenzia riporta che sono stati prelevati sette campioni d’aria con un campionatore ad alto volume per la determinazione di Pcdd (diossine) e Pcdf (furani) – continua la nota – Ebbene, a prescindere dal numero di campionatori impiegati, che, peraltro, è un dato che resta incomprensibile, ciò che lascia più che perplessi è il sistema metodologico di campionamento impiegato. Il mancato campionamento in contemporanea delle postazioni prescelte fa ritenere che l’Agenzia o non dispone di un numero di campionatori di volta in volta adeguato alla vastità degli eventi, o giudica corretto – non se ne comprende, né viene esplicitata, la logica analitica – campionare le varie postazioni in giornate differenti le une dalle altre, il che significa, però, in condizioni meteo ed ambientali possibilmente diverse. La conseguenza è che vengono acquisiti risultati che non sono comparabili tra loro e di scarsa significatività”.

Dati 37 volte superiori al limite

Nonostante ciò ad allarmare gli attivisti è l’informazione diffusa riguardante i livelli di diossine. Il dato assoluto registrato è di 10.989 fg/m3 di Te (unità di misura da leggere come femtogrammi per metro cubo di equivalenti tossici, ndr). “Sembra singolare che la relazione concluda limitandosi a dire, con molta semplicità e laconicità, che si tratta di valore superiore a quello di 300 stimato per aree con fonti emissive, senza enfatizzare nella maniera opportuna, invece, che si tratta di valore di 37 volte maggiore di quel limite di 300 e ben 110 volte di quello di aree normali”, sottolineano dall’Osservatorio permanente per i disastri ambientali. Le critiche riguardano anche la ristrettezza della tipologia di dati messi a disposizione della cittadinanza: “Va da sé che in condizioni di concentrazioni così elevate di diossine – prosegue la nota – c’è da aspettarsi che siano di altrettanto elevate entità quelle di altri inquinanti che si producono in incendi di tipologie similari. Resta non spiegato il motivo per cui non figurano risultati, almeno secondo i dati resi noti al 4 luglio, relativi agli idrocarburi policiclici aromatici, una classe di composti altamente tossici e alcuni dei quali con azione cancerogena”. L’ultimo appunto riguarda il rischio che le diossine entrino nel ciclo biologico. “La relazione nulla dice a proposito di eventuali campionamenti e analisi delle ricadute di inquinanti al suolo, né, tantomeno, si hanno notizie di indagini sui prodotti della filiera alimentare delle aree limitrofe ed interessate dall’incendio. Rimaniamo – conclude la nota – in attesa dei risultati definitivi dell’Arpa”.