CATANIA – Fabio Capello, Carlo Cottarelli e Paolo Borzacchiello protagonisti della seconda edizione del Sicily Business Forum, il più grande evento dedicato al mondo delle imprese del Sud Italia. Sostenibilità, leadership, sviluppo e innovazione le parole chiave degli interventi degli speaker e delle tavole rotonde, moderati dalla giornalista e conduttrice Safiria Leccese.
“Il Centro studi degli enti locali fa sapere che solo il 5% delle reti veloci sia stata realizzata in Sicilia”, ha detto la conduttrice, spiegando la necessità di iniziative come il Sicily Business Forum che favoriscano il networking tra imprenditori, soprattutto in un momento storico caratterizzato da una molteplicità di crisi che interagiscono e si rafforzano vicendevolmente. La certezza di Plurimpresa – che ha organizzato l’evento in collaborazione con Performance Strategies – è che gli esempi dei leader che hanno fatto la storia, i dati delle ricerche degli enti di settore, le esperienze dei tecnici e la creatività dei visionari che sperimentano nuovi modelli di business possano contribuire al rapido sviluppo dell’Isola.
Il QdS ha seguito il panel con Carlo Cottarelli, celebre economista, senatore della Repubblica fino al 2023, che ha rivestito incarichi di primo piano come quello per la revisione della spesa pubblica in Italia e di Direttore del Dipartimento Affari Fiscali del Fondo Monetario Internazionale, ha analizzato la questione economica italiana, intercettando tanto le cause del debito pubblico e dell’aumento dei prezzi sulle materie prime, quanto i possibili scenari futuri. “L’Italia ha vissuto nel peggior modo possibile i vent’anni antecedenti al Covid. Per l’entrata nell’Euro? No, semplicemente perché se aderisci alla moneta unica, devi renderti conto di dover cambiare certi comportamenti – ha spiegato Cottarelli –. Avremmo dovuto mantenere un tasso d’inflazione in linea con quello della Germania, invece abbiamo adottato politiche di bilancio eccessivamente espansive. Abbiamo aumentato la spesa pubblica, facendo lievitare i costi di produzione che abbiamo pagato in termini di produttività e capacità di esportazione”.
Nel 2008 il primo crollo. “In quell’anno ci siamo trovati in una posizione particolarmente debole perché non riuscivamo a esportare, ma avevamo un debito pubblico alto, nonostante gli interessi bassi. Contrariamente alle performance del Belgio, capace di ridurre il debito del 50% rispetto al Pil dal ‘93 al 2007 – ha continuato –. Abbiamo persino rischiato di uscire dall’euro, diventando l’obiettivo della speculazione che, violentemente, si è riversata su di noi con un aumento esponenziale dello spread”. Il peggio non si sarebbe verificato ai tempi del Covid, bensì tra il 2011 e il 2012: “La terza crisi fu ancora più forte, causando la caduta del reddito, degli investimenti e della produttività – ha fatto sapere –. Con il Piano di ripresa del 2012 di Mario Draghi siamo riusciti a far scendere il tasso d’interesse a far sì che dal 2017 al 2019 si ripartisse, seppure a rilento. Nessuno avrebbe immaginato di certo il Covid, nel 2020”.
Con il nuovo attacco speculativo a seguito del Covid, nel 2020, lo spread e il tasso d’interesse salirono alle stelle. Ma un cambio di passo della Bce ci avrebbe salvati dalla crisi. “Sono arrivati centinaia di miliardi, con il programma massiccio sui titoli di Stato – ha fatto sapere Cottarelli –. Basti pensare che nel 2019 il deficit pubblico ammontasse a 26 miliardi e, nel 2020, addirittura a 160 miliardi. Tuttavia, ne abbiamo ricevuti ben 195. Nel 2021, è successa la stessa cosa, tanto che lo Stato italiano ha potuto rimborsare parte del suo debito nei confronti del privato”.
I timori sullo scarso potere d’acquisto, sul difetto di domanda e, di conseguenza, sulla ripartenza della produzione avrebbero indotto in parziale errore classe dirigente e banche. Con l’avvio di politiche eccessivamente espansive, mirate a mettere “soldi in tasca” alla gente per indurla a spendere, attraverso bonus, cashback e altri incentivi, si avrebbe generato un effetto boomerang: “Siamo usciti dalla crisi, ma è tornata l’inflazione – ha sottolineato –. Non per effetto della crisi in Ucraina, visto che i prezzi erano in aumento già nella primavera del 2021, ma dell’eccesso di domanda rispetto all’offerta, dovuto proprio alle politiche espansive. Se tutte le banche del mondo le mettono in atto, spingendo la domanda verso l’alto, è normale che i prezzi delle materie prime aumentino. Lo abbiamo visto con le caldaie, che hanno aumentato il loro prezzo a dismisura per effetto del bonus 110%, e con l’allungamento delle liste d’attesa per la consegna di beni secondari, come i pc”.
Adesso si starebbero gradualmente riassorbendo i “soldi stampati”, con l’aumento dei tassi d’interesse e con un importante freno sulla produzione. Alla fine del processo, l’inflazione sarebbe sconfitta in area Ue. Ma incombe il rischio di una recessione: “La Bce deve ridurre i tassi d’interesse presto. Lagarde ha già annunciato un possibile taglio a giugno, ma sarebbe preferibile farlo già da aprile – aggiunge –. Il vero motivo per cui non lo si fa ancora è che le colombe, sostenitrici dell’abbassamento dei tassi d’interesse, abbiano perso credibilità”. Le prospettive nel medio e lungo termine per l’Italia non sarebbero rosee. “Dipendono dalla capacità produttiva del Paese, che a sua volta dipende dal processo tecnico, dalla forza lavoro, dalle macchine e dal capitale che può essere investito – ha spiegato l’ex senatore –. Ma la nostra forza lavoro serve poco per motivi demografici e il Pnrr, che dovrebbe intervenire sul capitale pubblico, privato e umano, mostra delle criticità. Servirebbe intanto una Pa che sappia usare i soldi. Sul capitale privato, i fondi si rivolgono principalmente all’innovazione tecnologica, ma servirebbero riforme atte a far diventare l’Italia un Paese in cui fare impresa sia facile, riducendo tasse e burocrazia, rendendo la giustizia più veloce e predisponendo una riforma della concorrenza, oltre che attenzionando l’istruzione”.
Rendere il Pnrr utile alla crescita del Paese sarebbe difficile, secondo Cottarelli, in assenza di un’attenta valutazione su quali progetti siano funzionali allo scopo e quali no. E poi ci sarebbe la questione delle difficoltà del rispetto dei termini: “Ogni sei mesi l’Ue eroga parte delle quote, se si rispetta una certa lista di cose da fare – ha detto –. Fino ad ora è andato tutto bene, ma muovendoci così lentamente sarà difficile dimostrare la realizzazione delle opere nei tempi previsti per ricevere i fondi”. Piuttosto che interrogarsi sulla legittimità della scelta di far parte dell’Ue, dunque, occorrerebbe chiedersi se l’Italia in assenza dei fondi europei sia in grado di farcela da sola. “Siamo capaci di crescere senza i soldi Ue e senza la Bce soltanto in assenza di shock economici – precisa Cottarelli –. Questo ci indebolisce anche dal punto di vista politico. Senza shock, se accompagnati dalle giuste riforme, l’Italia può crescere dell’1-2% l’anno”.
La crescita sarebbe l’antidoto per la riduzione del debito pubblico. “I soldi dell’Ue saranno in parte a debito – conclude –. Ma se facciamo crescere il Pil e, di conseguenza, le entrate dello Stato, possiamo ridurre il suo rapporto con il debito. Lo ha già fatto il Portogallo dal 2016. Noi invece non ne siamo stati capaci, perché non usiamo la crescita per ridurre il debito”.
Professore, lei ha parlato di opere utili ma non ai fini della crescita. Il Ponte sullo Stretto è una di queste?
“Non ho mai studiato in dettaglio la cosa, se ascolto le persone di cui mi fido, dipende da come viene realizzata l’opera. Per me la priorità però è un’altra: migliorare la viabilità interna della Sicilia. Perché attualmente la velocità a cui si sposta da un capoluogo all’altro in Sicilia è di 26 km/h”.
Il costo del lavoro è diventato un serio problema per chi fa impresa. Tra oneri fiscali e sociali si arriva mediamente al 60%. A questi bisogna aggiungere i costi di produzione, che molti commercialisti consigliano di non dedurre al 100% per evitare accertamenti fiscali. Come alleggerire il carico su imprenditori e professionisti?
“Se si vuole ridurre il cuneo fiscale, e in parte lo si è già ridotto, ci sono due soluzioni: recuperare l’evasione fiscale, e allora tagliare le aliquote di tassazione, così com’è stato fatto; ridurre la spesa rispetto al Pil. Non devi tagliare la spesa, in realtà, la fai crescere meno del Pil. Questa seconda soluzione non siamo riusciti a metterla in atto negli ultimi 10 anni, in cui il rapporto tra spesa primaria – al netto degli interessi – e spesa corrente –senza gli investimenti – è rimasta più o meno al livello di 10 anni fa”.
Gli stravolgimenti politici in Europa in senso sovranista e i venti di guerra che si respirano in questi giorni, come condizioneranno il mercato, le imprese, il mondo del lavoro?
“Bisogna vedere cosa succede. Un conto sono i venti di guerra, un conto sono le guerre. Il problema è quello. Dal punto di vista europeo, penso che sia essenziale rendersi conto che o l’Europa parla con una voce unica, oppure non conta niente nel mondo, diventa irrilevante. Questo è il motivo per cui noi dovremmo avere come tendenza di prospettiva gli Stati Uniti d’Europa”.