Inchiesta

L’Italia “costretta” a ritornare al carbone. Un’alternativa meno impattante? I rifiuti

PALERMO – Centrali a combustibili fossili a pieno regime, centrali a fonti rinnovabili impantanate nella burocrazia, impianti di termovalorizzazione dei rifiuti bloccati da surreali lotte ideologiche tra partiti. È il paradosso tutto italiano che allontana sempre più il Paese non solo da una reale transizione ecologica ma anche da un’autonomia energetica che, in questo momento storico caratterizzato da guerre finanziarie e tradizionali, è necessaria più che mai.

CARBONE AVANTI TUTTA

Di fronte all’aumento del prezzo del gas e al rischio di rimanere dipendenti dalla Russia la transizione energetica può di fatto attendere. È chiaro analizzando il Piano nazionale di contenimento dei costi del gas pubblicato dal ministero della Transizione ecologica ad inizio settembre. L’atto di indirizzo consente alle centrali termoelettriche di marciare a tutta potenza. Con un incremento che dovrebbe aumentare di un 20-25% le stime di produzione di energia dalle grandi centrali a carbone e a olio, già attese a una produzione più che doppia rispetto al 2021.

Questa nuova misura, che riprende le previsioni del decreto 14 del 25 febbraio, consente di massimizzare la produzione degli impianti termoelettrici di potenza superiore a 300 megawatt. Impianti ben definiti in un breve elenco all’interno del Piano. Si tratta di sei centrali a carbone e una a olio. Quelle a carbone sono in quattro casi dell’Enel (a Fusina, Brindisi, Torrevaldaliga e Portovesme), una di Ep Produzione a Fiumesanto e una di A2a a Monfalcone. Sempre A2a possiede… CONTINUA LA LETTURA. QUESTO CONTENUTO È RISERVATO AGLI ABBONATI

CONTENUTO RISERVATO AGLI ABBONATI
ABBONATI PER CONTINUARE LA LETTURA