Le elezioni che si sono tenute in Inghilterra, Francia e Iran nella prima settimana di luglio ci restituiscono il vero senso dell’espressione popolare attraverso il voto.
Dopo 14 anni, i conservatori britannici hanno perso il potere e a Dowing Street si è insediato un primo ministro laburista. In Francia il secondo turno delle legislative ha prodotto un Parlamento diviso in tre componenti, con due grandi forze estremiste, tanto a destra quanto a sinistra. In Iran il candidato riformista Masoud Pezeshkian è stato eletto presidente battendo l’ultraconservatore Saeed Jalili.
La popolazione dei tre Paesi ammonta a 224 milioni, di cui 160 milioni con diritto di voto, il 54% dei quali, complessivamente 87 milioni elettori, si sono recati alle urne. Due storiche e consolidate democrazie e una dittatura, con sistemi e per motivi diversi hanno dato la parola al popolo, che ha fatto sentire la propria voce. Il sistema uninominale a un turno inglese ha permesso una sovra rappresentazione dei laburisti, mentre quello a doppio turno francese una sottorappresentazione della destra. In Iran invece i candidati alla presidenza sono stati scelti dal Consiglio dei Guardiani, ammettendo solo quelli graditi al regime.
Con tutti i limiti e le distorsioni in tutti e tre i Paesi, anche se per motivi diversi, il corpo elettorale ha mandato una chiara richiesta di cambiamento. È questo l’aspetto più importante dell’esercizio del voto che deve essere raccolto dalle élite che rappresentano la volontà popolare. Si può concordare o dissentire su quel che dicono, ma i popoli hanno una voce, e parlano. Lo fanno con le elezioni o le rivoluzioni, ma non c’è sistema istituzionale o dittatura che possa sopravvivere senza consenso.
Da questa volontà nascono i Governi che imprimono la linea politica che gli apparati statali e la burocrazia trasformano in azioni, avendo cura di moderare gli scossoni provocati dai cambiamenti. Ciò che non possono fare è restare sordi alle istanze dei cittadini.