Mentre non si risparmiano i consigli sul “digital detox” con percorsi tagliati su misura per ogni esigenza, dove la “disconnessione” è un imperativo categorico, dall’altra parte l’Istat ha rilevato che nel 2022 quasi un turista su 10 ha lavorato dal luogo di vacanza.
Nel frattempo le vacanze con destinazioni detox da tecnologia puntano su mete che spaziano dagli alloggi in campeggio, ai soggiorni rurali in strutture totalmente immerse nella natura, fino all’iniziativa lanciata qualche anno fa dall’Associazione ospitalità religiosa italiana, che con il motto “Spegni tutto e accendi te stesso” invita a vivere pienamente i benefici di una vacanza detox tra conventi e monasteri, dove gli ospiti all’arrivo nelle strutture abbandonano cellulari, tablet, pc, viodecamere etc… vedendo oscurati anche radio, Tv e Internet.
Il rovescio della medaglia di questa tendenza lo offre l’Istituto nazionale di Statistica, che all’interno del report dal titolo “Viaggi e vacanze in Italia e all’estero – anno 2023”, ha esaminato per la prima volta i dati relativi alla popolazione residente in Italia che va in vacanza e, contemporaneamente, lavora. E dunque, quanti sono gli holiday workers e quali professioni svolgono?
L’ampia diffusione del lavoro da remoto in questi anni, fenomeno che ha subito una profonda accelerazione soprattutto a seguito della pandemia da Covid-19, ha permesso ad una platea più vasta di lavoratori e professionisti di “combinare” due elementi normalmente contrastanti, la vacanza da un lato e il lavoro dall’altro. Questo, via via, ha alimentato un fenomeno definibile come “workation” o “holiday working”.
Di cosa si tratta? In altre parole è la possibilità di svolgere il proprio lavoro dal luogo di vacanza, unendo il lavoro al piacere di viaggiare. Prima della pandemia, tale fenomeno era limitato ad alcune tipologie di liberi professionisti e lavoratori della conoscenza; l’accelerazione dell’adozione del lavoro a distanza lo ha reso accessibile a un pubblico più ampio diventando una possibile nuova tendenza nel settore del turismo.
Secondo il report nel 2022, il 9,7 per cento dei vacanzieri occupati hanno lavorato dal luogo di vacanza in una qualsiasi modalità di lavoro da remoto (telelavoro, smartworking o lavoro agile). Il fenomeno, ossia lavorare in vacanza, è maggiore tra i turisti occupati maschi (10,4 per cento) rispetto alle donne (8,8 per cento) e tra i residenti nelle regioni del Nord-ovest (12,1 per cento, contro il 5,5 per cento del Mezzogiorno). Inoltre la quota di “holiday workers” è oltre tre volte maggiore tra coloro in possesso di laurea o titolo superiore (18,5 per cento) rispetto a chi ha titoli di studio più bassi.
L’incidenza dell’holiday working tra i lavoratori autonomi (16,5 per cento) è più del doppio di quella dei lavoratori alle dipendenze (7,7 per cento). Tra questi ultimi, il fenomeno riguarda in misura maggiore i dirigenti (37,2 per cento) e, tra gli autonomi, gli imprenditori (37 per cento). Sono gli occupati nei settori “Servizi di informazione e comunicazione” (30,5 per cento) e “Attività finanziarie e assicurative” (22,8 per cento) a dichiarare più frequentemente di aver lavorato dal luogo di vacanza: si tratta soprattutto di professioni appartenenti al primo grande gruppo professionale “Legislatori, dirigenti e imprenditori” (33 per cento) e al secondo “Professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione” (16,5 per cento). Sarà vera vacanza? Ai posteri l’ardua sentenza.
F.F.