Inchiesta

Le spiagge siciliane che stanno sparendo

Quanti di noi, tornati dopo anni su un litorale ci siamo accorti che la spiaggia tanto amata non è più la stessa? Purtroppo siamo davanti a un fenomeno naturale che sta corrodendo lentamente tutti i litorali più belli d’Italia e con essi quel turismo che viene attratto da questi luoghi pubblicizzati su depliant ormai non più veritieri come quello delle spiagge bianche di Pomice a Lipari, che non esistono più da molti anni. La Sicilia non fa eccezione in questo fenomeno distruttivo dalle tante concause che vanno da fattori geologici ai cambiamenti climatici, all’innalzamento dei mari sino alla dannosissima mano dell’uomo. Non c’è dubbio che in molte di queste erosioni l’uomo ci abbia messo lo zampino, con interventi infrastrutturali marini non studiati a dovere, che hanno alla fine contribuito e accelerato i fenomeni idrogeologici e di scomparsa degli arenili.

MESSINA – “Bisognerebbe permettere ai privati di effettuare ripascimenti di piccoli tratti di costa e smetterla con opere faraoniche che costano tantissimo e che poi non producono nulla, se non altri danni”. Lo dice uno dei massimi esperti e conoscitori dei fenomeni erosivi costieri della Sicilia, Giovanni Randazzo, professore di Geologia ambientale all’Università di Messina.

Professore può spiegarci meglio il concetto?
“In Sicilia abbiamo un rapporto diretto tra causa ed effetto tra l’artificializzazione delle coste e la mancanza di sedimenti che non arrivano più come prima sino a mare. Ad esempio il fiume Simeto registra ormai solo delle piene che non permettono di avere grossi afflussi di sedimenti. L’intervento che andrebbe fatto sarebbe quello di spostare i sedimenti della spiaggia sommersa lungo la spiaggia emersa e fare questo lavoro più o meno ciclicamente per avere anche un uso turistico della zona. Ecco partendo da questo, ad esempio, ad Ischia si sta portando avanti un intervento di un privato gestore di un lido per consentire di ripascere la spiaggia prelevando i sedimenti direttamente dal tratto di litorale interessato. Questi piccoli interventi sono utili perché innanzitutto costano molto poco e per questo possono essere ripetuti più volte nel corso degli anni. Se al contrario realizzo un intervento pubblico da 5 milioni e il mare poi se lo porta via dopo 3 anni ho perso tanti soldi e non ho risolto il problema”.

Quindi secondo lei bisognerebbe permettere ai privati di potere intervenire?
“Esattanmente. Dobbiamo uscire dalla logica dei mega progetti che non siamo in grado di gestire perché tanto per restare in ambito di barriere frangiflutti e pennelli questi spesso innescano altri processi erosivi nelle vicinanze. Quello che non bisognerebbe più fare è di tentare di rendere un elemento dinamico come le spiagge in un’area rigida. E’ sono una pura follia perché il mare distruggerà sempre tutto e il mare troverà il suo spazio. In questo momento ritengo che ripascimenti potrebbero essere anche limitati per poterli ripetere nel tempo e per quanto riguarda le grandi opere queste devono vere alle spalle accusati studi”.

Professore ma se un cittadino volesse difendere la propria spiaggia prima di tutto dovrebbe fare i conti con la burocrazia e le leggi…
“Allora dobbiamo creare resilienza e si può crearla in due modi: o togliendo quello che è stato costruito, questione quasi impossibile, oppure creando nuove spiagge con sistemi che permettano ai sedimenti di circolare nel modo più naturale possibile. Ecco i piccoli interventi sono una soluzione e anche un gruppo di privati potrebbe dare il suo apporto. è bene chiarire che quando gli interventi sono piccoli, e per piccoli intendo il ripascimento di 20 metri cubi, io posso farli con la semplice autorizzazione del Comune. C’è una legge ad hoc che già viene utilizzata in alcune regioni della penisola, come il Lazio, la Romagna e la Campania.

Certo benissimo piccoli interventi. E con quelli grandi?
“Bisogna attivarsi attentamente e gli studi devono essere molto meticolosi perché altrimenti non si fa altro che spostare le aree erose. Basta collegarsi su Google heart è fissare l’obiettivo sul ragusano, zona Scoglitti, oppure a Siculiana nell’agrigentino per vedere che i porti generalmente creano proprio questa erosione”.

Ma i porti servono…
“Certo, secondo me i porti vanno fatti, ma vanno realizzati con una certa oculatezza e un meticoloso studio. E soprattutto bisogna farli poi gestendoli. Su questo punto c’è un esempio lampante. Ad est del porto di S. Agata di Militello si nota un triangolo enorme di sedimenti accumulati che nessuno ha mai spostato, ma se si guarda dall’altra parte vedrà che il lungomare del paese si è drasticamente ridotto. La spiaggia di S. Agata che era una bellissima area sabbiosa oggi è diventata una scogliera. Ma l’erosione va anche oltre. Tutto il sistema sino a Capo D’Orlando è stato mandato in erosione da questa grande opera marittima.

E alle Eolie che si può fare. Anche lì molte spiagge non esistono più?
“Per quanto riguarda quelle isole siamo davanti a un caso a parte. L’apporto dei sedimenti di monte in quelle aree è molto limitato e i corsi d’acqua sono stati in qualche modo artificializzati. Il problema è legato spesso alle costruzioni realizzate negli anni. Ad esempio nell’area di Portinenti che adesso si intende ripascere ci sono alcune costruzioni che certamente hanno contribuito a modificare la spiaggia. E’ chiaro che il mare fondamentalmente tende a erodere e l’abbassamento delle Eolie di alcuni millimetri l’anno non aiuta. Quindi bisognerebbe ragionare punto per punto, spiaggia per spiaggia, attraverso progettazioni serie collegate a una ricerca, perché purtroppo pannelli o barriere o ripascimenti tampone non hanno mai funzionato”.