Il giudice Antonino Saetta sapeva che la sua lotta contro la mafia gli sarebbe costata la vita: a distanza di quasi 35 anni dall’attentato di Cosa nostra costato la vita a lui e al figlio, vengono fuori delle lettere e degli appelli apparentemente inascoltati del magistrato alle autorità.
Ecco quanto emerso da un documento di Asud’europa, la rivista del Centro Pio La Torre, che ha pubblicato le lettere del giudice che spiegavano i suoi timori poco prima di essere ucciso.
“Antonino Saetta lo presagiva, anzi lo annunciò con oltre un anno di anticipo che la sua nomina a presidente della terza sezione penale di Palermo poteva essere pericolosissima per lui. Lo annunciò e lo scrisse, chiedendo una nuova nomina, ma la sua richiesta non venne ascoltata e anzi respinta”, si legge questo nell’articolo di Asud’europa.
Nel giugno 1987 il giudice, originario di Canicattì (AG), avrebbe scritto due lettere al presidente della Corte di Appello di Palermo Pasquale Giardina chiedendo di avere un’assegnazione diversa. Non perché avesse paura, ma perché era consapevole della pericolosità della nuova nomina per sé e per la propria famiglia. Poco più di un anno dopo, la vita di Antonino Saetta si è conclusa con un brutale assassinio sullo scorrimento veloce Canicattì-Caltanissetta. Viaggiava verso Palermo e con lui c’era il figlio Stefano, ucciso con il padre da Cosa nostra.
“Resta incomprensibile il motivo per cui il sottoscritto non viene assegnato alla III^ sezione penale ordinaria e magari come supplente alla Corte di Assise d’Appello. Il sottoscritto che proviene da Caltanissetta, ove per oltre due anni ha presieduto quella Corte di Assise d’Appello che, tra gli altri, ha trattato il ben noto processo di mafia relativo alla strage del consigliere Rocco Chinnici e della sua scorte (processo difficile, sofferto e di particolare impegno) avrebbe gradito non continuare a trattare procedimenti di competenza delle Corti d’Assise, senza con ciò pretendere di sottrarsi al proprio dovere, che ha sempre adempiuto anche quando comportava rischi e impegni particolari”, si legge in una delle due appelli del giudice Antonino Saetta, deluso e preoccupato per la mancata risposta alle sue richieste.
“Non si vede perché, pur essendovi la possibilità di essere destinato a una sezione penale ordinaria debba, invece, essere assegnato alla Corte d’Assise di appello, tanto più che il sottoscritto, appunto per avere trattato a Caltanissetta il grave processo di mafia conclusosi con la conferma degli ergastoli per i fratelli Greco e con l’inasprimento delle pene per gli altri imputati si presenta con una connotazione che lo espone a rischi maggiori di altri“.
Le autorità, purtroppo, non hanno ascoltato il suo appello. E a distanza di quasi 35 anni, famiglia e autorità antimafia si chiedono se la storia del giudice avesse potuto avere un finale diverso.
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