Batoglio, Pirappapete, Piricoco, Pittinissa. A chi non vive dalle parti di Tortorici (Messina) potrebbero sembrare personaggi tratti da un libro di fiabe. In realtà, sono soltanto alcuni dei nomi che nel piccolo centro dei Nebrodi avrebbero spadroneggiato, forti della storica appartenenza ai clan che si spartiscono il territorio: da una parte i Tortoriciani, dall’altra i Batanesi. Un tempo si facevano la guerra, poi, compreso che vivere in tranquillità poteva essere il presupposto per arricchirsi, hanno optato per la pace. Chiaramente si tratta di apparenze: a Tortorici e dintorni i soprusi e le violenze continuano a esserci, ma il più delle volte ai danni di chi per paura o rassegnazione finisce per subire e in silenzio. E le apparenze e il silenzio sono sufficienti: da Bruxelles, lontana com’è, è impossibile accorgersi di come i sussidi per sostenere l’agricoltura continuino a finire, non di rado, nelle mani della mafia.
La nuova inchiesta della Dda di Messina, che coinvolge una sessantina di persone, torna a fotografare uno dei punti deboli nelle politiche economiche Ue. Ancora una volta a finire nel mirino sono stati i fondi della Pac, la politica agricola comune.
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Se la resilienza è uno dei tratti distintivi della criminalità organizzata, nel caso della mafia dei pascoli il fenomeno lo si percepisce a colpo d’occhio. I cognomi che tornano nelle ordinanze che periodicamente portano a sfilze di arresti – 23 quelli eseguiti ieri da carabinieri, finanza e polizia – sono sempre gli stessi. Batoglio, Pirappapete, Piricoco e Pittinissa, per esempio, fanno Bontempo Scavo. Così come l’Avvocato – 56 anni, al secolo Salvatore – indicato dai magistrati al vertice del gruppo, anche per quanto riguarda il controllo delle truffe all’Agea, l’agenzia per le erogazioni in agricoltura. Tuttavia, ad avere acquisito le competenze per aggirare la maglia dei controlli risultano essere in tanti. “Pettinissa – ha raccontato ai magistrati il collaboratore di giustizia Carmelo Bongiovanni – si occupa di truffe in danno dell’Agea nell’interesse dell’associazione mafiosa, che controlla tutti i terreni utilizzati per queste truffe. Si avvalgono di teste di legno, per evitare di incorrere in provvedimenti di sequestro”. Nei giorni in cui in tutta Italia tiene banco la protesta dei trattori, le vicende tratteggiate nelle carte dell’inchiesta risultano ancora più sintomatiche delle fragilità del settore primario e di come esse siano anche sfruttate dalle associazioni criminali: “Anche se la cooperativa di cui Sebastiano Bontempo Scavo (fratello di Carmelo) era presidente è stata sciolta nel 2017 – ha rivelato il collaboratore Bongiovanni – continuano ad assicurare il controllo e la spartizione dei lotti di terreno di contrada Badessa, tanto che se un soggetto interessato non è riuscito a ottenere formalmente l’affidamento del terreno, pagando loro una percentuale può comunque pascolare il bestiame”.
Tra gli elementi imprescindibili per ambire a ricevere i contributi della Pac c’è quello di dimostrare di avere diritti di conduzione dei terreni. Che si tratti di proprietà, locazioni o altre forme di possesso, è necessario dimostrarlo. Tale paletto, tuttavia, risulta aggirabile con la complicità degli impiegati dei centri di assistenza agricola. Anche in questa inchiesta nella lista degli indagati risultano operatori dei Caa, in servizio in più province. Gli affari illeciti, d’altronde, sarebbero stati portati avanti in più parti della Sicilia: dal Messinese al Catanese, fino alle zone del Ragusano e all’estremità meridionale della provincia di Caltanissetta.
Tra Ragusa e Gela, per esempio, gli inquirenti hanno individuato 134 particelle utilizzate per ottenere sussidi dagli indagati all’insaputa dei proprietari, tra cui comuni cittadini, società private ed enti pubblici. In alcuni casi – e non è una novità – il gruppo criminale avrebbe sfruttato terreni appartenenti al demanio della Regione, pur non essendo in possesso di alcuna concessione.
La sensazione, però, è che in questa versione rurale del gioco guardie e ladri, i secondi – sfruttando i gangli della burocrazia e le maglie larghe della normativa in materia di controlli – si muovano potendo godere di un vantaggio non indifferente: l’inchiesta, infatti, fotografa anche fatti legati alle campagne di finanziamento di oltre dieci anni fa e in alcuni casi le ipotesi di reato – truffa e falso – risultano già in prescrizione.
Ciò che invece sembra andare avanti senza soluzione di continuità sono le richieste di contributi. A ottobre 2020, la prefettura di Messina emette un’interdittiva antimafia nei confronti di una cooperativa. Il provvedimento non dissuade i titolari: “Gli indagati hanno continuato a presentare domande anche nel 2021”, si legge nell’ordinanza firmata dal gip Eugenio Fiorentino.
Nel corso dell’indagine gli inquirenti hanno raccolto la testimonianza di una donna, residente in provincia di Siracusa, che ha raccontato di avere scoperto nel 2015 di avere sostanzialmente perso i propri terreni. A dichiararne la proprietà sarebbe stata la moglie di Salvatore Bontempo Scavo. La consorte dell’Avvocato, tra il 2015 e il 2020, risulta avere percepito dall’Agea oltre 230mila euro. I terreni del Siracusano li avrebbe comprati da Carmelo Bontempo Scavo, soltanto che quest’ultimo non ne sarebbe mai realmente entrato in possesso.
Accortasi della sottrazione, la vittima ha intentato una causa al tribunale civile, per poi accettare l’offerta di conciliazione proveniente dai Bontempo Scavo. Venticinquemila euro, di cui soltanto 12mila pagati nel momento in cui la donna parla con gli investigatori. In ogni caso si sarebbe trattato di un prezzo al di sotto del reale valore dei fondi. “Ha aggiunto – scrive il gip – di essere stata più volte vittima di danneggiamenti palesando il sospetto che fossero funzionali a una riduzione del prezzo di vendita”. Nel corso della trattativa, la donna ha subito l’incendio di una vasta distesa di ficondindia e il taglio di una settantina di alberi d’ulivo.
Se le somme erogate dall’Ue, tramite l’Agea, sarebbero state investite in attività imprenditoriali, il riciclaggio avrebbe riguardato anche i titoli di conduzione. Essenziali per perpetuare le frodi, i titoli – uno per ettaro di terreno – sarebbero stati oggetto di operazioni utili a mascherarne la loro origine illecita. Il sistema si sarebbe basato sul passaggio degli stessi da una società all’altra, in modo da allontanare il rischio di un intervento da parte delle autorità. Operazioni che in molti casi sarebbero state soltanto simulate, senza contratti di compravendita o concreti pagamenti. “Dalla mera esibizione di particelle mai realmente detenute a opera di imprese fittizie, gli indagati – sottolinea il gip – sono passati all’attribuzione di titoli tossici a beneficio di imprese effettive, munite di appezzamenti di terreno regolari”. Un metodo che, si presta a essere reiterato di anno in anno “con modalità operative – conclude il giudice – sempre più cronologicamente distanti dalla creazione originaria dei titoli tossici, e quindi sempre più difficili da essere disvelate”.