Intervista

Manuela Ventura, il volto siciliano di Lea – un nuovo giorno, “Io, Catania e il coraggio di osare”

Da due settimane, la prima serata del martedì di Rai Uno è occupata da “Lea – un nuovo giorno”, serie diretta da Isabella Leoni, prodotta da Rai Fiction in co-produzione con Banijay Studios Italy e con protagonisti Anna Valle e Giorgio Pasotti. Nel cast anche Manuela Ventura, attrice siciliana diventata nota con il ruolo di Teresa Strano in “Questo nostro amore”, che nel medical drama veste i panni dell’infermiera Favilla Mancuso.

La serie

“Abbiamo iniziato a girare in una delle prime aperture dopo il lunghissimo lockdown. Tutti portavamo negli occhi le immagini e l’abnegazione che il comparto sanitario ha mostrato di avere in questi anni così difficili. Ricordo che mentre leggevamo le sceneggiature, al Festival di Sanremo fu invitata un’infermiera come ospite d’onore di una delle serate – racconta Manuela Ventura parlando dei primi giorni sul set di “Lea – un nuovo giorno” – Scese le scale con grande eleganza e prese parola con estrema semplicità con un volto pulito e disteso, visto prima nelle immagini virali che lo mostravano segnato dall’utilizzo della mascherina. Ricordo che telefonai ad Isabella (nda Leoni) per dirle che a nostro modo avremmo parlato anche di quella giovane donna e di tutte le sue colleghe. Ed è stato un po’ così”. “Lea – un nuovo giorno”, infatti, racconta di Lea Castelli, un’infermiera pediatrica che torna a Ferrara, dopo il divorzio dal marito a seguito della perdita del figlio che aspettavano, per riprendere il suo posto da infermiera nel reparto di pediatria dell’Ospedale Estense. Una storia semplice ma autentica che parla di amicizia, di passione, di paure, di lacrime e risate, ma anche dell’ironia della vita.

“Una parte dello spirito collaborativo sul lavoro l’ho imparata dai miei genitori che hanno lavorato nell’ambito sanitario, ognuno a proprio modo. La capacità della cooperazione l’ho imparata da loro, dal modo in cui hanno lavorato. Ho conosciuto assistenti, infermiere, medici, dottoresse e ne ho ricordo importante, di impegno, sorrisi e spirito di servizio. È vero che il sistema ospedaliero è sottoposto a grandi pressioni e chi ci lavora meriterebbe maggiori riconoscimenti, attenzioni e strumenti e ci auguriamo che le promesse fatte dopo quanto accaduto vengano rispettate, ma Lea vuol provare ad accendere la luce anche su cose positive che abbiamo intorno (esistono le realtà che funzionano, non solo nella fiction), con la leggerezza e la semplicità, dichiarazione di intenti venuta fuori dall’inizio e con cui i personaggi mostrano la loro umanità” spiega l’attrice siciliana sulla serie. È un’attrice versatile Manuela Ventura. Una carriera ricca di cinema, teatro, televisione. Anche adesso, mentre veste i panni dell’infermiera Favilla in tv, l’attrice siciliana è in tournée nazionale con lo spettacolo “Baccanti” produzione Teatro Stabile di Catania. L’intervista esclusiva. CONTINUA A LEGGERE

“Lea – un nuovo giorno” è il nuovo medical drama di Rai Uno nel quale interpreta l’infermiera Favilla Mancuso. Cosa l’ha spinta ad accettare questa nuova sfida professionale?

Mi ha spinta la proposta della regista Isabella Leoni con la quale avevo già lavorato nella terza stagione di “Questo nostro amore ‘80” e della casting Adriana Sabbatini. Il ruolo di Favilla si è presentato come una specie di una sfida per me. È un personaggio diverso da quelli che finora ho interpretato nelle serie televisive. È più tagliente, dal carattere più brusco. Ho dovuto cambiare aspetto: a cominciare da trucco e acconciature e dall’ indossare la divisa da infermiera. Per un’attrice è molto stimolante.

Ci sono state alcune critiche sulla messa in onda di un altro medical drama…

Capisco la coincidenza con l’altra serie Rai, però, a vedere i due prodotti non c’è da fare il raffronto. Sono due piani di racconto diversi. La storia di Lea inizia con il suo ritorno alla vita, al lavoro, cerca di andare avanti dopo il trauma dell’interruzione di gravidanza e la fine di un amore. È una storia semplice di una rinascita, raccontata con una linea più delicata, più leggera. Non c’è un riferimento esplicito al covid. L’ospedale pediatrico da modo di affezionarsi alle vicende dei piccoli pazienti su cui la malattia viene vissuta come ingiusta e permette di vedere come questo gruppo di infermiere si dedichi al lavoro con impegno e cura, le cui vite si intrecciano tra sentimenti nuovi ed eventi imprevisti.

Come si è preparata per interpretare il personaggio di Favilla Mancuso?

Insieme alle altre colleghe, abbiamo avuto delle indicazioni su come usare le strumentazioni, come lo scadenzare le consegne del mattino, censire i medicinali, maneggiare l’ecografo. Abbiamo lavorato sul ritmo da dare a questa coralità, fare in modo che le battute fossero giuste per il carattere del proprio personaggio, all’interno di un contesto di squadra e di collaborazione.

Interpretando Favilla Mancuso, ha imparato qualcosa in più su di lei e sul mestiere d’attrice?

L’esperienza che mi porto dietro è quella di una maggiore sicurezza nell’osare. In un personaggio così “aspro” bisognava buttarsi e avere anche il senso della misura rispetto ai toni con cui viene raccontata la storia. Il personaggio di Favilla è spezzettato nei vari episodi. Apparentemente sulla carta poteva sembrare più marginale. Invece, grazie all’ascolto e alla complicità tra regista e compagne di lavoro, sono venute fuori tante sorprese e la libertà nel fare proposte e creare lo spazio giusto. Gli aneddoti sul set. CONTINUA A LEGGERE

Ci racconta del set e qualche aneddoto che ricorda con particolare emozione?

Sin da subito c’è stato un bell’affiatamento. Nonostante fosse un periodo di grande attenzione e di rapporti limitati, non sono mancati i momenti di divertimento e di gioco anche con i piccoli giovanissimi attori. È stato bello. Penso che indimenticabili rimarranno i momenti prima di arrivare sul set, quando ci incontravamo nella sala trucco. Tutti attendevamo l’arrivo di Anna Valle o non vedevamo l’ora di trovarla già lì perché portava con sé una piccola cassa bluetooth da cui lanciava questa playlist molto rock n’roll che ci faceva partire col piede giusto.

Con “Lea – un nuovo giorno” è tornata a recitare a fianco di Anna Valle.

Anna è un’amica. Ci siamo conosciute sul set di “Questo nostro amore”. Dapprima eravamo Anna e Teresa, le due protagoniste della serie, a mano a mano abbiamo costruito un rapporto di amicizia sentita,che non si nutre di una presenza costante, perché viviamo in città diverse e il lavoro ci porta altrove, ma c’è e si sente. Entrambe ci siamo piacevolmente stupite di come il rapporto tra personaggi sia cambiato totalmente. Se Anna e Teresa erano complici, qui Lea e Favilla inizialmente non si fanno una grande simpatia.

Con questa serie è tornata anche ad essere diretta da Isabella Leoni. Per lei da attrice quali sono le qualità che dovrebbe avere il miglior regista?

Il regista deve avere cura del lavoro con gli attori, guidarli nella costruzione di un percorso che dia sfumature e credibilità ai personaggi. Guardare all’insieme e al dettaglio. Un rapporto di ascolto e di scavo, lo sguardo ampio, aperto anche alle proposte che gli attori avanzano durante la lettura della sceneggiatura e il lavoro sul set.

Il personaggio di Teresa Strano in “Questo nostro amore” le ha regalato la notorietà. Come vive l’essere riconosciuta?

Non mi abituo mai. Sono sempre molto grata e non do mai niente per scontato. Ricevere i complimenti per me è sempre un misto di gioia sincera e imbarazzo. Rimango piacevolmente colpita da queste attenzioni.

Fare l’attrice è stata una scelta o una vocazione?

Nasce come una ispirazione, ma diviene ogni giorno una scelta. È un mestiere per cui dici sempre: “Lo faccio, lo scelgo”. Da piccola ho capito che la recitazione poteva essere il mio modo per esprimere qualcosa. Da passione è diventata frutto di scelte. Durante il liceo, ho frequentato la prima scuola di recitazione a Catania. Ero la più piccola e andavo più che altro a guardare. Dopo il liceo, lo studio all’Accademia d’arte drammatica “Silvio D’Amico” e il trasferimento a Roma. Poi è arrivato il cinema e la televisione con momenti più intensi e momenti più vuoti nei quali ho cercato nutrimento altrove per essere comunque nella vita. Il rapporto con Catania e progetti futuri. CONTINUA A LEGGERE

Una parte del fare l’attrice oggi passa da una comunicazione sui social, dall’essere fruitore di questi mezzi e tessere relazioni interagendo con il pubblico. Cosa pensa a riguardo?

Per certi aspetti potrebbe sembrare troppo, troppo usato, troppo esposto, troppo frainteso, dipende sempre da come lo si usa. Bisognerebbe forse dare maggiore valore al silenzio, all’assenza. Se per un po’ non si è sui social, sembra che si scompare, magari invece si sta facendo altro. Io cerco di usarli all’occorrenza. Quando ci sono momenti di promozione, è anche richiesto che si utilizzino. Si, sono strumenti di comunicazione, di conoscenza, anche se virtuale e in superfice. Ricevo messaggi da chi segue il mio lavoro e cerco, se posso, di rispondere. Se qualcuno apprezza il lavoro – le storie che si raccontano, il modo in cui lo si fa – è anche perché in qualche modo una parte di quella storia è nella persona che l’ha riconosciuta. Il rapporto con gli spettatori è bello anche per questo.

A proposito di social, ho sbirciato sul suo profilo Instagram prima dell’intervista. Gli ultimi post sono dedicati a Catania, la città che ha lasciato per diventare attrice ma in cui è ritornata ad abitare.

Durante il periodo della pandemia, svegliandomi presto la mattina, andavo a camminare, lunghe passeggiate. Così è iniziato il mio racconto “A Catania oggi”. Col passare del tempo, avevo immaginato di coinvolgere la città nel volersi raccontare nei suoi aspetti più sconosciuti. È come se volessi tracciare una sorta di puzzle e dare una mia chiave di lettura, quello che vedono i miei occhi. Osservare i dettagli del luogo in cui si vive, mi aiuta a viverci meglio come se mi costruissi un’altra città, un luogo inventato ma che vedo. La fotografia abbinata ad un piccolo commento è una traccia che può rimanere. Ho fantasticato pensando anche ad un’esposizione permanente di chi ha voglia di rappresentare il proprio. A Catania oggi come un grande archivio di memorie, di spunti e di poesie, di segni, di ritrovamenti.

Mentre lei è in tv con il medical sentimentale, dal vivo è in tournée teatrale con “Baccanti” di Euripide.

È uno spettacolo produzione del Teatro Stabile di Catania con la regia di Laura Sicignano. Sarebbe dovuto andare in tournée nel 2020, poi ha subito necessariamente le restrizioni legate all’emergenza sanitaria. Siamo una compagnia numerosa: dieci persone in scena e la squadra di tecnici. Uno sforzo produttivo e di impegno del Teatro Stabile di Catania che ha deciso di affrontare in un periodo ancora delicato la tournée nazionale. Abbiamo debuttato a Catania con una bella accoglienza e finalmente abbiamo riabbracciato simbolicamente spettatori e spettatrici. Nello spettacolo interpreto Dioniso. Vesto i panni della divinità rappresentativa del teatro, multiforme e cangiante. Seguaci sono le baccanti, femmine folli dalla potenza vitale, in contrasto con il re Penteo, simbolo del potere e del mondo razionale e preordinato.

La vedremo in altri progetti?

Sì, ho partecipato a due film che usciranno al cinema nei prossimi mesi ma ancora è prematuro sapere quando. Sono l’uno diverso dall’altro e per motivi diversi per me sono importanti. Il primo è una commedia di Alessio Lauria dal titolo “Una boccata d’aria” con protagonista Aldo Baglio. Il secondo è un’opera prima con la regia di Marta Satina, ispirato alla storia di Franca Viola con protagonisti Claudia Gusmano e Fabrizio Ferracane. Il cinema e l’arte fanno parte di quel tempo pieno che l’uomo dovrebbe tener caro e che le istituzioni dovrebbero riconoscere maggiormente e sostenere.

Sandy Sciuto