Inchiesta

Mare privatizzato, scatta l’ora della concorrenza. Occasione per ripensare le spiagge della Sicilia

PALERMO – Dove non è inquinato, spesso è “sbarrato” alla libera fruizione. È il paradosso del mare siciliano che nel corso dei decenni è diventato sempre più di difficile accesso, in parte perché reso di fatto un bene pubblico di dominio privato. A confermarlo ancora una volta è l’ultimo rapporto di Legambiente che fotografa lo stato delle spiagge isolane: il 22,4% di costa sabbiosa è occupato da stabilimenti balneari, campeggi, circoli sportivi e complessi turistici. Una percentuale che sale drasticamente in alcune zone come Mondello dove arriva al 66,5% oppure come alla Plaia di Catania, dove sostanzialmente ci sono soltanto tre spiagge libere gestite dal Comune e il resto del litorale è occupato, legalmente certo, da decine e decine di lidi che nel tempo hanno eretto una vera e proprio “barriera” di cemento tra l’arenile e il Viale Kennedy.

La media del 22% in sé non sarebbe nemmeno così alta, ma va fatta un’analisi più approfondita. Anzitutto, sempre secondo l’associazione del cigno, in Sicilia ci sono 73 km su 425 di costa sabbiosa sottratti alla balneazione per inquinamento: il 17,5%. Il totale fa salire la spiaggia non fruibile liberamente al 40%, ma il fenomeno è molto più esteso se si considera che ci sono ampi tratti di litorale con villette e altri edifici privati costruiti proprio in prossimità della riva… CONTINUA LA LETTURA. QUESTO CONTENUTO È RISERVATO AGLI ABBONATI

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