Con Matteo Messina Denaro va via un pezzo della storia della mafia, ma con ogni probabilità anche l’ultimo Padrino “vecchio stampo” di Cosa nostra. Non è la fine della mafia, lo sappiamo e tutti lo abbiamo detto chiaramente. Con la morte del boss di Castelvetrano, però, si spegne una personalità complessa, simbolo per eccellenza della cultura mafiosa così come l’abbiamo conosciuta e contrastata negli ultimi decenni.
Tutte le parole e i gesti dell’ultimo boss stragista, che tra lunga latitanza e dichiarazioni post-arresto ha passato praticamente la vita “sotto i riflettori”, permettono di costruire un quadro su come la mafia è cambiata pur rimanendo sempre uguale, tristemente ancorata a una serie di ideali che – sebbene a primo impatto sembrino simili a quelli della gente “comune” (come la famiglia) – costituiscono una sorta di sub-cultura fatta di lati oscuri e della quale la Sicilia è stata e rimane in qualche modo vittima.
Nel libro “La Cattura”, il procuratore Maurizio De Lucia racconta degli incontri con Matteo Messina Denaro dopo il blitz del 16 gennaio alla clinica “La Maddalena“. Alla domanda: “Lei è uomo d’onore“, la risposta del boss è stata “No, io mi sento uomo d’onore. Non come mafioso”. Diceva di conoscere Cosa nostra solo “dai giornali”, come tutti, ma in realtà in un certo senso forse Messina Denaro era Cosa nostra.
I pizzini, la logica della “famiglia”, il rispetto per i “pari” del gruppo mafioso e per i superiori (si pensi all’invocazione “Il Signore la protegga sempre” nei messaggi a Bernardo Provenzano), la manipolazione comunicativa con la quale si è voluto presentare come un semplice agricoltore e figlio di agricoltore pur essendo accusato dei crimini più indicibili, la spavalderia anche di fronte al cancro e all’arresto (“Mi avete arrestato solo per la mia malattia”, “Con voi parlo, ma non collaborerò mai”). Messina Denaro era tutto questo e molto altro.
Cosa significasse per il boss essere “uomo d’onore” è un po’ un mistero. La sua logica è quella di Cosa nostra, in cui la parola “onore” ha un significato anomalo. Di sé diceva: “Mi definisco un criminale onesto. Io mafioso non lo sono, conosco la mentalità dei mafiosi”.
Matteo Messina Denaro ha avuto la possibilità di presentare la sua “verità” dopo la cattura. Non ha voluto rivelare i segreti e i misteri delle stragi, ma qualcosa l’ha detta e con i suoi atteggiamenti ha mostrato il volto di una Cosa nostra quasi inedita, che – lentamente ma inesorabilmente – dagli anni Novanta al 2023 si è trasformata in una bizzarra “agenzia di servizi” quasi applaudita da quella gente che “soffoca”.
De Lucia lo spiega bene quando dice che il primo caposaldo dell’ideologia di Messina Denaro è l’idea del “criminale onesto, che prova a far dimenticare la violenza devastante delle stragi e a riconquistare il feticcio della mafia buona“. Una mafia attiva in economia e politica, impegnata a farsi vedere come quel gruppo in grado di contrastare le lacune dello Stato e delle autorità. Parole come famiglia, amicizia, dignità, fato, lavoro, perfino Dio sono state “riscritte” da Messina Denaro, hanno acquisito un senso nuovo, quello dato dalla mafia, e costituiscono un campo d’indagine prezioso per le autorità giudiziarie.
Proprio questo insieme di atteggiamenti e parole costituirà, probabilmente, l’eredità di Messina Denaro per gli inquirenti, il terreno d’indagine più interessante per proseguire la lotta contro la mafia. O meglio, la sub-cultura che la mafia ha custodito negli anni, trasformandola e plasmandola a suo piacimento con il mutare del contesto storico-sociale e che Messina Denaro incarnava in maniera quasi perfetta.