PALERMO – In Sicilia l’economia sommersa continua a pesare tanto e più che nel resto d’Italia. Il 16,8 per cento del valore aggiunto complessivo per essere precisi, contro una media nazionale ferma all’11,6 per cento. Peggio di noi solo tre regioni, che si trovano – neanche a dirlo – tutte e tre nel Meridione: Puglia (17 per cento), Campania (17,7) e Calabria (18,8).
A scattare l’ultima fotografia del fenomeno è il Ministero dell’Economia e delle Finanze nella Relazione 2023 sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva.
Quel 16,8 per cento è frutto della somma di tre componenti: la sotto-dichiarazione del valore aggiunto (valore connesso al deliberato occultamento di una parte del reddito da parte delle imprese attraverso dichiarazioni volutamente errate del fatturato o dei costi alle autorità fiscali), la componente del valore aggiunto riconducibile all’impiego di lavoro irregolare; e le rimanenti componenti del sommerso economico (mance, fitti in nero e integrazione domanda-offerta) e l’economia illegale. In Sicilia prevale – e in questo siamo in linea con il resto della Penisola – l’incidenza della componente della rivalutazione da sotto-dichiarazione (6,7 per cento). All’impiego di input di lavoro irregolare “spetta” il 6,6 per cento mentre la componente che abbraccia i restanti indicatori relativi all’economia illegale è al 3,5 per cento.
Per avere una rappresentazione completa di come l’economia sommersa condizioni il totale dell’economia, oltre a considerare l’incidenza del sommerso sul valore aggiunto di ciascuna regione, occorre prendere in considerazione anche quanto il sommerso di ciascuna regione impatti sul totale nazionale. Pertanto, oltre all’incidenza regionale, che nella Relazione è definita con il termine “propensione”, è necessario analizzare il peso che il sommerso di ciascuna regione ha sul valore aggiunto nazionale. Questo secondo indicatore, che il Mef definisce “impatto”, è calcolato come il rapporto tra il sommerso di ciascuna regione e il valore aggiunto nazionale.
Il Mef ha stilato una classificazione delle Regioni in base ad entrambi gli indicatori – propensione e impatto – e ha assegnato all’Isola una propensione molto superiore alla media nazionale “molto superiore”.
Se l’incidenza del sommerso sul valore aggiunto della nostra Regione è cospicua, al livello di impatto – che, è utile ricordare – consiste nel peso che il sommerso di ciascuna regione ha sul valore aggiunto nazionale – la Sicilia è stata catalogata come “superiore”. Insomma: non ne usciamo proprio come vincitori.
Ad emergere dalle Relazione del Mef è anche un altro dato, interessante tanto quanto allarmante: quello dei mancati versamenti Irpef e delle relative addizionali. Se nella distribuzione degli importi predomina la regione Lombardia, caratterizzata sia da una maggiore quota di popolazione, sia da un reddito pro-capite più elevato della media, il primato sull’incidenza percentuale spetta alla nostra Regione, che registra una percentuale superiore al 4 per cento.
Dall’aggiornamento della Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, pubblicato sul sito del Mef lo scorso 2 gennaio, viene a galla che a livello nazionale – semplificando – i lavoratori dipendenti sono più o meno virtuosi mentre i datori di lavoro e autonomi sono ancora ‘latitanti’. Il dato complessivo – che parla di mancati incassi per lo Stato per 83,6 miliardi di euro – maschera infatti situazioni assai differenti: lo stesso Ministero evidenzia miglioramenti di 2,2 miliardi sull’evasione fiscale e di 0,5 miliardi sull’evasione contributiva. Ma se l’Iva evasa scende di 3,9 miliardi il ‘gap Irpef’ – ovvero la differenza fra le imposte potenziali e quelle effettivamente versate – sale di circa 2,1 miliardi di euro: e di questi solo una minima parte (circa 100 milioni) è legata ai lavoratori dipendenti irregolari mentre quasi 2 miliardi per lavoratori sono attribuibili ad autonomi e imprese. In soldoni, se nel 2020 le imposte ‘mancanti’ da parte di lavoratori dipendenti irregolari erano pari a 3,86 miliardi l’anno seguente sono state 3,96 miliardi; per lavoratori autonomi e imprese il dato balza tuttavia da 28,07 a 30,03 miliardi. Per ogni euro che il fisco non ha incassato da un dipendente, insomma, ne mancano otto attribuibili ad autonomi e imprese.
Non va meglio sul tax gap relativo, anche detto propensione al gap, ovvero il rapporto tra questa differenza – cioè le imposte evase – e le imposte potenziali. Questa ‘propensione’ fra i lavoratori dipendenti irregolari è infatti stabile al 2,3% del totale, scendendo di 0,4 punti rispetto al 2,8% del 2016. Per autonomi e imprese, invece, il livello di evasione non solo è più di 30 volte superiore (67,2%) ma rispetto a cinque anni prima è salito di 0,7 punti e rispetto al 63,9% del 2014 l’incremento è addirittura di 3,3 punti.
Note dolenti, infine anche sulle mancate entrate contributive: il totale di quelle a carico dei lavoratori dipendente nel 2021 era sceso a 2,48 miliardi di euro, mentre quelle a carico dei datori di lavoro era più di tre volte superiore, attestandosi a 7,92 miliardi.
Mentre le imprese siciliane, ed italiane in generale, subiscono un carico fiscale estremamente esoso, le grandi imprese del web pagano pochissimo.
I dati forniti dalla Cgia di Mestre, comparati con quelli del ministero dell’Economia e delle Finanze, mostrano come la Sicilia sia la nona regione, in Italia, per gettito delle principali imposte a carico delle aziende, che sono Irpef, Irap e Ires.
Secondo quanto affermato dal ministero dell’Economia e delle Finanze, si parla di un gettito fiscale di quasi due miliardi di euro, mentre il gettito delle WebSoft, dato disponibile al 2022, è stato molto ridotto: le 25 principali web company presenti in Italia hanno versato solo 162 milioni di imposte sul reddito all’erario.
Ancora, le imprese della Sicilia hanno pagato 12 volte in più rispetto alle 25 compagnie web. Tutto questo è avvenuto, secondo la Cgia, grazie al fatto che una parte importante degli utili realizzati da questi giganti digitali è stata “trasferita” nei Paesi a fiscalità agevolata, garantendo a questi grandi gruppi risparmi fiscali miliardari.
“Va comunque sottolineato – specificano dall’ufficio studi – che, a differenza dell’evasione fiscale, l’elusione, in linea di massima, non è sanzionata penalmente dal nostro ordinamento giuridico, ma solo amministrativamente. Tuttavia, appare evidente che chi pianifica scientificamente queste operazioni di aggiramento degli obblighi fiscali, altro non fa che tenere una condotta eticamente riprovevole al pari di coloro che evadono”.
Il fenomeno dell’elusione praticato da questi big non è dimensionabile ma, secondo la Cgia, presenta volumi importanti: “Ovviamente è sempre sbagliato generalizzare, ma se teniamo conto che in Italia il numero totale delle imprese controllate dalle multinazionali straniere è pari a 17.641, è probabile che anche molte di queste ricorrano con una certa frequenza a questa pratica fiscale molto discutibile”.
I numeri diventano ancora più allarmanti se si guarda alle prime regioni d’Italia in termini di gettito fiscale da Irpef, Irap e Ires: la Lombardia verso quasi 20 miliardi di euro, il Lazio ne versa quasi 10, Veneto ed Emilia Romagna rispettivamente ne pagano quasi 6 miliardi ciascuna. Quindi il Piemonte, a 4 miliardi e mezzo di euro. In totale, in Italia si calcola un gettito di 65 miliardi e mezzo di euro, e tutte le regioni messe insieme hanno versato 404 volte di più rispetto a quanto versato dalle 25 web soft. Dal 2024 sarà applicata la global minimum tax, con una aliquota del 15% sugli utili realizzati dalle multinazionali con fatturato annuo superiore a 750 milioni di euro. La direttiva introduce due regole pensate per limitare la possibilità di “dribblare” i propri obblighi nei confronti del fisco nazionale.
“Nonostante questo provvedimento abbia riscosso un grande consenso – dice la Cgia – sia tra l’opinione pubblica che tra gli addetti ai lavori, gli effetti per le casse del nostro fisco rischiano di essere insignificanti. Secondo il dossier curato dal servizio Bilancio dello Stato della Camera, il gettito previsto dalla sola applicazione dell’aliquota del 15% per cento sulle multinazionali sarà irrilevante. Si stima che nel 2025 l’erario possa incassare 381,3 milioni di euro, nel 2026 il gettito dovrebbe salire a 427,9 e nel 2027 raggiungere i 432,5. Nel 2033, ultimo anno in cui nel documento si stimano le entrate, le stesse dovrebbero sfiorare i 500 milioni di euro.
Il problema sta nel confronto con le imprese nazionali: se, alle multinazionali con più di 750 milioni di fatturato annuo, dal 2024 verrà applicata sugli utili realizzati un’aliquota del 15%, sulle imprese italiane, invece, grava un prelievo fiscale medio di almeno il 30%”. (mg)