Messina

Messina, come supportare sul mercato le aziende confiscate alla mafia

MESSINA – “Ok, Open Knowledge” è il progetto presentato da Unioncamere e ammesso a finanziamento dal Pon Legalità che sarà sviluppato fino a dicembre 2022. L’obiettivo è fornire un supporto per una gestione virtuosa dei beni confiscati alla mafia in provincia di Messina.

“Uno strumento – ha spiegato Ivo Blandina, presidente della Camera di Commercio – che si inserisce nel percorso di miglioramento delle competenze della Pubblica amministrazione nel contrasto all’illegalità con l’utilizzo delle tecnologie digitali e l’informazione open veicolate”.

Grazie all’interconnessione tra il Registro delle imprese della Camera di Commercio e la banca dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati, sarà possibile monitorare e supportare le azioni per restituire all’economia legale le imprese confiscate.

“Quella di Messina – ha sottolineato la segretaria generale dell’Ente camerale, Paola Sabella – è una delle 22 Camere di Commercio che hanno aderito sin da subito al progetto. Gli interessi degli stakeholder rispetto alle aziende confiscate sono riferiti principalmente al riutilizzo del bene in ambito legale, mediante il recupero e la tutela dell’occupazione non collegata con le organizzazioni criminali, ovvero la gestione dei lavoratori impiegati, il nuovo utilizzo dell’azienda, l’inserimento nel tessuto sociale ed economico del territorio”.

È fondamentale sensibilizzare istituzioni e società civile su finalità e contenuti del portale “Open data Aziende confiscate, “con la convinzione – come ha ribadito Ivo Blandina – che il riutilizzo di un’impresa sottratta alle organizzazioni criminali e la sua piena reimmissione sul mercato legale sia un’importante leva di contrasto all’illegalità economica”.

Le imprese confiscate ad oggi sono 2.796

Secondo i dati aggiornati al 15 marzo 2022, le imprese in confisca definitiva sono 2.796, il 30,6% sono in Sicilia. In provincia di Messina ne risultano 80, 45 delle quali appartengono ai settori delle costruzioni e del commercio, ma il 90%, come ha ricordato il prefetto Cosima Di Stani, rischia il fallimento. “È il costo della legalità – ha detto – quindi l’obiettivo deve essere quello di riportare nell’economia legale imprese che prima dopavano il mercato”.

Servono strumenti e lo è proprio il progetto di Unioncamere che tra l’altro propone dei laboratori per le imprese confiscate in difficoltà, con l’obiettivo di supportarle nella gestione e nelle strategie di crescita. Un altro strumento varato è il Protocollo d’intesa firmato a febbraio tra Prefettura e Camera di Commercio, con cui l’Ente camerale ha messo a disposizione delle Forze dell’Ordine le proprie banche dati, per prevenire e contrastare l’infiltrazione mafiosa nelle imprese messinesi. Il protocollo mira anche ad aiutare gli amministratori giudiziari a salvare la parte sana delle imprese confiscate.

“Servono incentivi – ha sottolineato Gaetano Giunta, segretario generale della Fondazione di Comunità, con una lunga esperienza nelle imprese del terzo settore – per fare rinascere le imprese confiscate. Serve una riforma strutturale per fare un salto di qualità. Sono pochissimi i beni confiscati riutilizzati, pochissime le aziende che fioriscono. Il fallimento di un’azienda che transita da una situazione di illegalità a una di legalità è il fallimento dello Stato”.

Ecco perché tante realtà confiscate non tornano produttive

Giunta ha spiegato anche perché tante realtà confiscate in provincia di Messina non riescono a essere produttive: “Le imprese che stavano dentro logiche predatorie dell’economia criminale sono pensate come azioni di riciclaggio, per cui non è importante la sostenibilità economica, penso ai grandi centri commerciali. Le filiere economiche stanno spesso dentro logiche intimidatorie, nel momento in cui un’azienda viene sequestrata comincia il problema della sostenibilità vera, trovandosi sul libero mercato. A volte anche attraverso prestanome vengono fatte aziende parallele, che hanno lo stesso tipo di attività e con meccanismi intimidatori risucchiano il mercato naturale della prima azienda che è stata confiscata. Per questo c’è bisogno di una ristrutturazione normativa che renda veramente conveniente la transizione alla legalità”.