MESSINA – Molte avevano deciso di chiudere già dopo il decreto dell’11 marzo, per l’impossibilità di ottemperare alle misure di sicurezza. Il problema che però si pone adesso, anche per le imprese edili, è quante sono sopravvissute a questo fermo e possono quindi riaprire i battenti. Quanti degli oltre settemila lavoratori del comparto potranno dire di avere ancora un’occupazione?
Si parla di un settore per la maggiore parte composto da piccole e medio imprese, che nel messinese, negli ultimi 10 anni, è stato falcidiato da una profonda crisi, diventata strutturale. Se i pochi grandi appalti avranno comunque un futuro alla fine dell’emergenza, lo stesso non sarà per tutto il resto delle imprese che lavoravano con i privati, impegnate in ristrutturazioni, manutenzioni e realizzazioni di abitazioni, perché va considerata la probabile incapacità di tanti committenti a far fronte agli impegni precedentemente assunti.
“Non si è solo inceppato il motore della crescita – sottolinea Pasquale De Vardo, segretario generale della Feneal Uil Messina-Palermo – ma della sopravvivenza, di un settore da sempre volano dell’economia messinese, che comunque e nonostante un decennio di crisi, fino all’arrivo della pandemia muoveva nella nostra provincia una massa salari complessiva di oltre cinquanta milioni di euro, oggi crollata di oltre il 94%”.
I sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil a marzo hanno auspicato un fermo dei lavori nei cantieri perché molte imprese non riuscivano a garantire né il distanziamento né la fornitura ai lavoratori dei dispositivi per difendersi dal contagio, ma avevano anche ribadito la necessità, da parte delle istituzioni coinvolte, di garantire tutela e sostegno economico agli operai. Oggi la necessità è sempre più quella di una ripartenza. “L’obbiettivo prioritario – dice De Vardo – rimane quello di tutelare la salute di tutti evitando il propagarsi del contagio, ma in termini di disoccupati e caduta di reddito la nostra provincia sta già pagando un prezzo altissimo. Ogni giorno che passa la risalita appare più ardua, con il rischio concreto di tensioni sociali, considerando anche le percentuali di lavoro nero che caratterizzano il settore. Bisogna quindi pensare da subito alla Fase 2, perché solo se imprese e lavoratori torneranno a produrre ricchezza si uscirà fuori dalla difficilissima situazione attuale, che ormai non riguarda più solo la pandemia ma anche la tenuta socioeconomica”.
“Mai come adesso – sottolinea – è essenziale programmare e garantire investimenti e occupazione nella nostra provincia, prevedendo anche sgravi e incentivi legati all’edilizia privata, che da sola vale più del 70% della massa salari provinciale”.
De Vardo auspica dunque azioni immediate verso la ripresa, considerato che è ormai chiaro che con il Coronavirus e la paura del contagio si dovrà imparare a convivere e che la solidarietà e le forme di sostegno al reddito messe in atto dal Governo non potranno essere né sufficienti né garantite a lungo termine.
“Al netto delle grandi opere – aggiunge – il vero tessuto economico del settore rimangono le piccole e medio imprese, che vanno aiutate creando una corsia preferenziale e veloce per le opere di dimensioni minori avviate da Comuni e privati, eliminando la burocrazia e velocizzando i tempi di risposta, diminuendo le stazioni appaltanti aumentando il personale tecnico e magari prevedendo meccanismi di silenzio assenso”.
Guarda alla ripresa anche Giuseppe Ricciardello, presidente di Ance Messina, il quale invece mette sotto i riflettori l’importanza delle grandi opere pubbliche. Anche per l’imprenditore di Brolo, però, la nemica resta la burocrazia e per questo chiede la sospensione dell’attuale Codice degli appalti. Lo auspica da tempo, ma ne sottolinea ulteriormente la necessità dopo la fine di questa fase emergenziale legata al Coronavirus. Si chiede, in pratica, la sostituzione del precedente documento con un Regolamento snello che non costringa a ulteriori blocchi.