Messina

FOTO | Messina e l’ex stabilimento Triscele: scatta il sequestro

Sono scattati i sigilli per l’ex stabilimento Triscele di via Catania, a poche centinaia di metri dal centro di Messina. All’interno dei capannoni, abbandonati ormai da quasi quindici anni, nel corso di una ispezione da parte degli uomini della Polizia municipale, è infatti stato rinvenuto un cimitero abbandonato di fusti contenenti liquami velenosi.

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L’origine di quei barili blu maleodoranti sarà presto accertata dagli uffici preposti. Sul caso interverrà anche l’Arpa per verificare che l’area in questione non sia stata contaminata dalla fuoriuscita dei liquami tossici presenti. Ad avvertire la municipale, nei giorni scorsi, erano stati gli abitanti della zona, che giorno e notte avevano segnalato un via vai di disperati che entravano nel complesso immobiliare abbandonato dal lato della via Liberale De Zardo.

All’interno di quei fusti, secondo i primi rilevamenti, sarebbero presenti idrossido di sodio e di potassio: veleni inquinanti. L’area è gestita da un Commissario e da un liquidatore nominati dal giudice delegato, dal momento che la società ha chiesto e ottenuto di essere ammessa alla procedura concorsuale liquidatoria, con cessione dei beni ai creditori. La priorità sarà quella di occuparsi dello smaltimento di quei barili per i quali la Procura di Messina ha adesso avviato una indagine.

In tutta l’area sono stati apposti i cartelli di divieto di accesso, ma proprio da via Liberale De Zardo quei cartelli sono in parte già stati rimossi e l’entrata forzata appena poche ore dopo l’arrivo di municipale e vigili del fuoco. A testimoniarlo le foto realizzate dal QdS venerdì 27 settembre. Un chiaro segnale di come i disperati che vivevano all’interno di quelle strutture abbandonate siano già tornati lì dentro. A contatto con i veleni.

La storia

Eppure questo stabilimento è stato a lungo un fiore all’occhiello non soltanto di Messina ma di tutta la Sicilia. Qui si producevano la Birra Messina, prima, e la Birra Triscele, poi. Oggi tutto versa in uno stato di totale abbandono. La storia della Triscele è emblematica del declino industriale che ha investito molte realtà produttive regionali negli ultimi decenni, a seguito di crisi economiche e cambiamenti strutturali nel settore manifatturiero.

Fondata a Messina negli anni Sessanta, la Triscele nasce dalle ceneri del Birrificio Messina, che operava in città sin dal 1923. La produzione di birra si consolidò rapidamente, grazie anche alla qualità delle acque utilizzate e alla domanda crescente del mercato. Negli anni Settanta e Ottanta, la birra prodotta a Messina era largamente conosciuta e apprezzata in tutta la Sicilia, con un crescente successo commerciale che portò l’azienda a espandere la propria produzione nel resto d’Italia e attirando le mire della Heineken.

Il marchio Triscele, dal caratteristico simbolo siciliano del “triskele” – emblema della trinacria –, divenne presto sinonimo di eccellenza locale. L’azienda dava lavoro a centinaia di operai e rappresentava una delle più importanti realtà economiche del territorio messinese.

Nonostante il successo iniziale, lo stabilimento cominciò a risentire della crisi economica che colpì l’Italia negli anni Novanta, con un progressivo calo della domanda e una concorrenza sempre più serrata da parte dei grandi colossi internazionali della birra. Il Gruppo Heineken, che aveva presso il possesso degli stabilimenti, decise di rilocalizzare tutti gli operai: il polo più vicino, per chi proveniva dalla Sicilia, era quello di Massafra, in provincia di Taranto. Quasi tutti, in blocco, rifiutarono il trasferimento.

A peggiorare la situazione vi furono anche scelte gestionali non sempre adeguate alle sfide del mercato globale, che portarono a una crisi finanziaria della Triscele, all’epoca rilevata dal Gruppo Faranda (nel 2007, ndr).

Nel 2011 l’azienda decise di chiudere definitivamente i battenti, mandando sul lastrico dopo mesi di sit in di protesta centinaia di famiglie. Quattordici di quegli operai decisero però di continuare a credere in un sogno investendo i loro Tfr per porre le basi dei nuovi stabilimenti del “Birrificio dello Stretto” che producono quella oggi conosciuta come “Birra dello Stretto”, anch’essa già conosciuta e apprezzata in tutta Italia.

La chiusura dello stabilimento portò con sé il licenziamento delle decine di operai che non avevano accettato di trasferirsi altrove: molti di loro non riuscirono più a trovare un impiego nel settore. Il vuoto lasciato dalla Triscele non fu solo economico, ma anche sociale: un’intera comunità si trovò improvvisamente senza una delle sue principali fonti di lavoro e identità, per una delle poche, vere aziende presenti in città.

Dal 2011 in poi, l’area su cui sorgeva lo stabilimento è stata oggetto di contenziosi legali, progetti falliti di riqualificazione e diverse proposte di riconversione, mai portate a compimento. La zona è divenuta un simbolo del degrado urbano: edifici fatiscenti, rifiuti abbandonati e segni di vandalismo sono ormai parte integrante del panorama. Diversi progetti sono stati avanzati negli anni, tra cui la proposta di trasformare l’ex area industriale in un polo turistico o in un parco urbano, ma nessuna di queste idee ha mai trovato piena realizzazione tra mancanza di fondi o disaccordo tra i soggetti coinvolti.       

Un futuro incerto

Quel che resta oggi è un futuro quantomai incerto. Dall’entrata laterale dell’ex stabilimento Triscele i clochard e i drogati che vivono in quei palazzi abbandonati hanno già divelto i sigilli posti dalla municipale. La struttura versa in condizioni fatiscenti, con mura ormai abbandonate nel tempo, con discariche abusive prodotte da incivili che hanno pensato di poter convogliare in quell’area di tutto.

A giacere all’ingresso gomme di auto e moto, televisori, vetrate rotte di ogni genere, bottiglie consumate, immondizia. E un silenzio che sembra segnare la presenza di qualcuno che dalle finestrate osserva l’ingresso e si domanda se lì dentro potrà ancora trascorrerci qualche altra notte prima di andare via per sempre. Di certo, neppure i veleni emanati da quei fusti aperti sembrano aver rappresentato un disincentivo a valicare quel passo.

Dal lato della via Catania, le porte carraie sono state mangiate dalla ruggine, che nel frattempo ha preso possesso anche di tutto il resto, divorandolo una stagione per volta. La porta del gabbiotto all’interno del quale era un tempo presente il portiere, è stata sbarrata con sedie, scrivanie, lamiere di ogni genere per evitare che qualcuno potesse entrare: non è bastato.

I palazzi cadono a pezzi, come mostrano le immagini. E lo fanno in un silenzio complice della politica che, passando ogni giorno lì davanti, non ha mai forzato la mano per restituire a Messina un pezzo della sua città mangiata dal degrado. I murales sui tetti di quei palazzi raccontano di una vita vissuta anche dopo la chiusura dello stabilimento e di amministratori che avrebbero potuto prestare maggiore attenzione per impedire che questo si verificasse. I catenacci appena apposti negli altri cancelli luccicano ancora di nuovo. Sarebbe opportuno chiedersi che fine abbiano fatto i precedenti, se non siano nel tempo anche loro stati divelti.

Il futuro dell’ex stabilimento Triscele appare quanto mai incerto. Le amministrazioni locali hanno ribadito più volte la necessità di un intervento rapido per evitare ulteriori deterioramenti dell’area e per ridare vita a una parte della città che, al momento, rappresenta un evidente segno di declino, tra l’altro a stretto contatto con nuove costruzioni nel frattempo sorte nella zona con il chiaro intento di una graduale riconversione da area industriale/commerciale ad area abitativa.

Le sfide da affrontare sono numerose: dalla bonifica ambientale dell’area alla ricerca di investitori privati che possano contribuire alla riqualificazione. Ma la speranza è che la storia dello stabilimento Triscele, oggi testimone di una stagione industriale ormai passata, possa aprire le porte a una nuova fase di sviluppo per Messina e la sua comunità. In attesa di risposte concrete, l’ex stabilimento resta un monumento alla memoria di un passato industriale fiorente, ma anche un monito di quanto sia importante per una città non perdere il proprio tessuto produttivo e sociale.