PALERMO – Il Presidente della Regione, Nello Musumeci, si è insediato il 18 novembre 2017.
Quel giorno era stato chiaro: “Servono almeno tre anni di duro lavoro prima di poter vedere risultati concreti”.
Di anni ne sono passati due e l’amara constatazione fatta allora, quella cioè di trovarsi di fronte ad un lavoro durissimo da svolgere alla guida di una Regione disastrata, è la stessa di oggi.
Certo, la pesante eredità lasciata da Rosario Crocetta e dai governi Lombardo e Cuffaro, non potevano non condizionare qualunque tentativo di operare una svolta. Quella stessa svolta che purtroppo i siciliani ancora attendono.
Sul fronte incompiute, il ministero Infrastrutture conferma il pesantissimo dato: 162 le opere che aspettano ancora di essere completate. E, come ha sottolineato il segretario generale della Cgil Sicilia, Alfio Mannino, dal tasso infrastrutturale dipende la capacità di un territorio di produrre ricchezza.
Sul fronte rifiuti prosegue lo status quo, rappresentato dalla dipendenza dalle discariche dalla cui schiavitù soltanto i moderni Energimpianti ad impatto zero potranno liberarci.
Eppure, i modelli ci sono: Giubiasco, Tel Aviv e Londra, tanto per fare un esempio.
Su fondi Ue e Fsc, l’Unione europea ci inchioda alle nostre responsabilità: 10 miliardi sul piatto non ancora spesi.
Sul fronte degli indicatori economici, numeri ancora una volta sconfortanti. Nel II trimestre 2019, i prestiti erogati a famiglie e imprese sono scesi a 57,8 miliardi di euro, contro i 60 miliardi dello stesso periodo del 2018 (Studi e Ricerche per il Mezzogiorno).
Depositi bancari e risparmio postale, invece, continuano a crescere (61,9 miliardi nei primi sei mesi del 2019), sintomo dell’impossibilità da parte di famiglie e imprese di guardare oltre, cioè verso la crescita e gli investimenti.
L’export siciliano, nel secondo trimestre del 2019 ha perso il 17,4%.
La povertà relativa, dice l’Istat, si attesta al 23%. Disoccupazione in lieve calo al 21,1% nel primo semestre 2019 ma il tasso registrato si conferma sempre più del doppio della media nazionale.
A breve l’Istat pubblicherà il dato 2018 relativo al prodotto interno lordo siciliano: al momento, quello più aggiornato si riferisce al 2017 e vede il Pil isolano inchiodato a 82,3 miliardi. Secondo la Svimez, la stima per il 2018 sarà di 82,7 miliardi, cioè un modestissimo +0,5%.
Trentamila, infine, i siti a rischio idrogeologico secondo il ministero dell’Ambiente.
A ciò si aggiunga la mancanza di una maggioranza compatta all’Ars che rende il cammino verso le riforme ancora più tortuoso.
Nonostante gli sforzi encomiabili e l’impegno profuso dal governo regionale, i numeri ci raccontano un’Isola ancora in drammatico affanno.
La ripresa, di fatto, non c’è.
PALERMO – “Il tema del rilancio degli investimenti è fondamentale per la ripresa della Sicilia e del Mezzogiorno”. Lo ha detto ieri il direttore di Svimez, Luca Bianchi, a Palermo, al convegno su “Investimenti nel Mezzogiorno di Italia: opportunità e sviluppo”, organizzato a Villa Malfitano dall’Osservatorio economico e sociale sulla Sicilia, costituito da Irfis e Svimez.
Secondo Bianchi esiste un grave deficit di risorse che riguarda la Sicilia e, più in generale, tutto il Sud. “Nel Mezzogiorno – ha spiegato Bianchi – la spesa pro capite su alcuni comparti fondamentali, come istruzione e servizi sociali, è decisamente inferiore rispetto al resto d’Italia. Nel Sud abbiamo in media circa tremila euro pro capite in meno in termini di spesa. E questo riguarda l’attività ordinaria, ovvero la gestione dei servizi e anche le infrastrutture sociali.”.
“Esiste un deficit di risorse – ha sottolineato ancora Bianchi – se ragioniamo sul totale delle risorse pubbliche spese nelle regioni meridionali, abbiamo un deficit. Abbiamo chiesto un riequilibrio perché servono a garantire i diritti di cittadinanza essenziali”.
Il tema, dunque, è sempre la questione meridionale, cioè l’abisso che ci divide dal ricco e produttivo Nord. Un gap che da soli non riusciamo a colmare. Ecco perché, nel corso del convegno, il Presidente della Regione, Nello Musumeci, non ha mancato di sottolineare che l’impegno del governo è proiettato verso l’apertura di un dialogo con Roma: “Nei prossimi giorni – ha spiegato Musumeci – penso di chiedere anche un appuntamento con il presidente del Consiglio Conte perché la situazione in Sicilia e nel Mezzogiorno in generale impone una scelta straordinaria da parte del governo al di là delle buone volontà”.
Dal Rapporto presentato ieri emergono timidissimi segnali di ripresa sul fronte degli investimenti privati e in particolare degli investimenti industriali che rimangono comunque circa 30 punti inferiori a livello del 2008. E poi, ancora, la stima di crescita del Pil siciliano per il 2018 si attesta sullo 0,5%. +0,3%, invece, l’incremento degli occupati nel 2019: veramente troppo poco perché si possa parlare di una Sicilia non più in affanno.
Nel corso del convegno si è poi parlato della nota dolens per antonomasia: la spesa dei fondi europei e nazionali. “Abbiamo dato un colpo d’acceleratore alla spesa di tutti i fondi e i numeri che arrivano al governo, e che renderemo noti il prossimo mese, sono positivi e assolutamente incoraggianti per il 2019”, ha detto ieri Musumeci. In verità nel rapporto Svimez si sottolinea l’esatto contrario: “C’è un’incapacità di spesa dei fondi aggiuntivi che riguarda sia quelli europei che quelli nazionali. La Sicilia è la regione a più alto rischio di disimpegno”. Per quel che riguarda i fondi nazionali, invece, “il fondo di sviluppo e coesione, i famosi Patti per il Sud in realtà hanno uno stato di attuazione intorno al 2-3 per cento. Di fatto c’è una carenza di progettazione e una frammentazione delle risorse su molti progetti che spendono poco”, ha aggiunto il direttore Bianchi.
Il presidente della Regione è stato netto quando ha parlato di carenze infrastrutturali che vengono dal passato, di desertificazione delle risorse umane, di problemi legati a un meccanismo burocratico con tempi inaccettabili e, soprattutto dell’assenza di un governo centrale. Ma soprattutto è stato chiaro quando ha rimesso al centro del dibattito il Ponte sullo stretto.
“Serve un pensatoio – ha spiegato -. Abbiamo avviato un lavoro programmatico che preveda e prepari la Sicilia del 2030. È una rivoluzione culturale in una regione nella quale la stessa lingua non prevede la forma al futuro. Non si progetta ma vive alla giornata. Ma c’è anche una luce positiva: nell’ultimo biennio abbiamo raddoppiato la spesa pubblica, spendendo la maggiore cifra per il dissesto idrogeologico e l’infrastruttura immateriale”.
“La normativa che blocca l’attività autorizzativa – ha concluso Musumeci – è una follia: i tempi e l’incertezza bloccano gli investimenti e fanno scappare investitori e giovani siciliani. Per questo ho chiesto un appuntamento al presidente Conte: non ci servono nuove risorse ma dobbiamo poter spendere bene e presto i nostri cinque miliardi che abbiamo in cassa. Chiediamo una deroga per cinque anni alle normative che impongono lacci e lacciuoli senza mettere in discussione la trasparenza delle azioni amministrative”.
Twitter: @PatriziaPenna