La vicenda principale dal punto vista simbolico sarà la discesa in campo, come faceva Berlusconi, alle europee di Giorgia Meloni. Né Tajani, Silvio si candidava sempre per rappresentare il Paese in Europa, né Salvini, la scorsa volta si candidò in prima persona per tirare il carro leghista oltre il 30%, potranno dirgli nulla.
La conferenza stampa di inizio d’anno è stata di fatto il predellino con cui Berlusconi fondò il PdL di non antica memoria, in cui si fusero Forza Italia e An. Casini restò fuori, consegnandosi poi alla progressiva sparizione, e poi ruppe pure Fini, che inevitabilmente finì. L’annessione non sarà dei soggetti politici, ma degli elettori e delle classi dirigenti locali.
Il probabile risultato delle europee non aumenterà la percentuale del centrodestra ottenuta alle nazionali, ma ne rideterminerà i pesi in maniera brutale. Di fatto Meloni potrebbe, soprattutto candidandosi, raggiungere il 34%, con i due alleati sommati fra il 10/12% complessivamente. Il messaggio sulle regionali è chiaro. O stabilite con me oggi, prima delle europee, un nuovo patto sulle candidature regionali, o dopo le europee faccio All In pokeristicamente parlando. Resisteranno Tajani e Salvini dopo le europee alla guida dei rispettivi partiti ridimensionati? Si apriranno rese dei conti interne? Questo è quasi lapalissiano, soprattutto se consideriamo che oggi la Lega si chiama Lega per Salvini Premier, che sembra più un dogma per i Legionari di Cristo, che il nome di un partito politico. Stessa cosa in Forza Italia, che rispetto alla Milano da bere può aspirare al massimo all’Amaro Lucano. Sarà Meloni Park come nei film di Spielberg in cui ritorna il Jurassico.