Il rischio di una vera e propria “guerra di mafia” era sempre più concreto in provincia di Agrigento. Questa la scottante verità portata alla luce dall’ultimo blitz antimafia operato dai carabinieri del comando provinciale di Agrigento e di Caltanissetta, che ha visto la cifra record di 51 indagati, 15 agli arresti domiciliari e 36 (24 dei quali già oggetto di un’altra operazione) in carcere.
Nello specifico, nelle indagini condotte dai carabinieri di Agrigento, coordinati dalla Dda di Palermo, su Cosa nostra agrigentina, è emersa una “improvvisa e allarmante recrudescenza di atti intimidatori” in ambito mafioso. Una serie di atti messi nero su bianco nella relazione sull’odierna operazione antimafia, proseguimento di quella dello scorso dicembre che ha interessato le articolazioni di Cosa nostra nei territori di Agrigento, Favara, Canicattì, Porto Empedocle, Santa Margherita Belice, Mazara del Vallo, Partanna, Campobello di Mazara, Castelvetrano e Gela.
L’operazione contro la mafia della provincia di Agrigento ha permesso di individuare e arrestare presunti affiliati ai clan di Villaseta e Porto Empedocle, ma anche di far emergere interessanti dettagli sulle lotte tra clan e la lotta per l’egemonia sul territorio. Soprattutto per le questioni di droga.
L’aumento dei gravi atti intimidatori, realizzati anche mediante l’utilizzo di armi, sarebbe infatti dovuto sia all’imposizione del rispetto della “competenza” territoriale sia ai tentativi di osteggiare l’egemonia del gruppo mafioso allo stato al vertice della famiglia di Agrigento-Villaseta. Di qui il rischio, secondo gli inquirenti, che la situazione potesse degenerare in una “guerra” di mafia. Nel corso delle perquisizioni, a conferma di quanto fondato sia il timore, gli inquirenti hanno sequestrato un vero e proprio arsenale arsenale composto da numerose armi e munizioni anche da guerra, tra cui una bomba a mano e una pistola mitragliatrice calibro 9, oltre a elevate somme di denaro e alla droga smerciata dai clan.
Le indagini che hanno portato all’odierno maxi blitz hanno permesso la ricostruzione dell’organigramma e delle attività criminali delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e di Agrigento/Villaseta, con probabilmente a capo rispettivamente Fabrizio Messina, 49 anni, e Pietro Capraro, 39 anni. Gli ordini e le direttive dei presunti capimafia arrivavano perfino dal carcere, dove gli esponenti dei clan riuscivano a dare direttive e ordine anche dalle proprie celle grazie a cellulari introdotti abusivamente in carcere.
Gli atti di intimidazione, principalmente attraverso incendi ed estorsioni, erano lo strumento favorito dalla mafia agrigentina per contrastare gli avversari e dare avvertimenti. Ecco alcuni episodi emersi nel corso delle indagini:
La mafia di Agrigento-Villaseta e di Porto Empedocle – oggetto dell’odierna operazione antimafia – era anche dietro a due gruppi distinti dediti al traffico di droga. I sodalizi avevano una “non comune capacità di approvvigionamento” e avevano instaurato contatti e rapporti commerciali non solo con gruppi criminali simili in Sicilia ma anche con trafficanti sia nazionali che all’estero (in particolare, con sede in Belgio, Germania e Stati Uniti).
Sono ben 51 gli indagati del maxi blitz sul rischio di una “guerra di mafia” ad Agrigento e sulle attività criminali di Cosa nostra in provincia. Tra loro i già citati Fabrizio Messina e Pietro Capraro. Nel primo articolo sul blitz, riportato in basso, è possibile avere tutti i nomi dei coinvolti nell’operazione.
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