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Green pass, discoteche aperte a Palermo, il report sulla movida

Adesso è tutta un’altra musica. Ottobre, il mese delle riaperture per discoteche e sale da ballo, prosegue nel segno del divertimento sfrenato per gli amanti della movida, ma anche della speranza per imprenditori e gestori della night life, uno dei settori più logorati dalla pandemia sul piano economico.
Siamo andati al noto Country DiscoClub di Palermo: green pass alla mano per accedere al locale, dove una volta in pista, tra dispenser igienizzanti e privé assegnati,  si può ballare senza mascherina.

“Finalmente un buon inizio – chiosa Roberto Bianconi, il proprietario della discoteca intervistato in esclusiva da Qds.it. Stiamo cercando di far quadrare l’economia dell’attività con le limitazioni del caso (capienza fissata fino al 50% del totale per i locali al chiuso, 75% per quelli all’aperto, personale incluso ndr).  Per adesso ci siamo attrezzati solo con degli ingressi in modalità privé, che consentono, tramite la prenotazione, una sicura tracciabilità del numero di ingressi al locale”.

Se nei mesi scorsi la movida è stata spesso additata come fattore aggravante di diffusione del contagio, occorre oggi chiedersi, alla luce delle recenti istituzionali, quando si potrà tornare a pieno regime.

“Mostrare il green pass per accedere ad una discoteca garantisce una tracciabilità multilivello, sia per il Comitato tecnico scientifico che per il governo. Se la campagna vaccinale procede a questo ritmo, ottimisticamente entro la prossima primavera prossimo dovremmo uscire, almeno in Italia, da questo tunnel” conclude l’imprenditore palermitano.

Immergendoci tra luci psichedeliche e fumi da discoteca, sono tanti i ragazzi e le ragazze che ci raccontano le loro abitudini, descrivendo come “liberatoria” l’emozione di tornare in pista.
“E’ stato un anno e mezzo complicato per me, perché la mia routine si è interrotta” rivela a microfoni spenti un ragazzo che: “Non vede l’ora di riprendersi i suoi venerdì e sabato in discoteca”.

Per molti giovani, infatti, riassaporare (increduli) quei momenti pre-covid dati così tanto per scontato rappresenta una qualche forma di crescita e consapevolezza.
“Tutto questo ha sapore di nuovo, di inaspettato, quasi una gioia essere di nuovo qui” ci dicono e c’è chi aggiunge: “E’ stata un’attesa dura, ma per giuste cause e motivazioni. Ora siamo qui e speriamo che si possa tornare quanto prima alla normalità”.

Ed essere giovani consapevoli non è mai facile, specie in un Paese, l’Italia, falcidiato dall’austerity e il conservatorismo tipico di chi crede che la realtà giusta e bella delle cose sia sempre oltralpe, oltre la Manica, altrove e comunque lontano da qui.

Eppure noi, tanto i giovani quanto i meno giovani ma pur sempre italiani, rappresentiamo quella fetta del mondo che persino l’Oms, per voce del suo direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha definito neanche un mese fa: “L’esempio scintillante, con unità nazionale e solidarietà, impegno comune e umiltà nel contrasto alla pandemia, dimostrando che è possibile invertire la situazione peggiore”.

Parole che fanno bene, ma anche male se si osserva la condizione critica in cui versano i Paesi al di là dei Balcani, a proposito di altrove dall’Italia.

L’est Europa infatti, resta impantanato tra lockdown (Lettonia out per un mese), impennate dei contagi (oltre 1.000 casi ogni 100.000 abitanti nelle ultime due settimane in Estonia e Lituania), percentuale di copertura vaccinale troppo bassa  (caso Russia, dove Putin ha imposto uno stop delle attività lavorative in presenza dal 30 ottobre al 7 novembre), ospedali al collasso (in Romania, dove la situazione è drammatica e i pazienti vengono trasferiti in ospedali ungheresi).

Un mix drammatico in cui il male peggiore, il covid, non è il solo a serpeggiare, combinandosi alle varianti della diffidenza verso le istituzioni e il sistema sanitario ereditata dal regime comunista, invisibile onda lunga che più o meno inconsciamente attecchisce ancora tra questi popoli, il punto di Tomasz Sobierajski, sociologo dell’Università di Varsavia all’agenzia Reuters.

Gioacchino Lepre