Inchiesta

Pane e veleni, la maledizione del “Triangolo della morte”

Ad Augusta c’è chi dice che ogni famiglia nel corso dei decenni a cavallo tra gli anni sessanta sino ai giorni nostri ha avuto almeno un parente morto di tumore. E lo stesso dato varrebbe per gli altri paesi del soprannominato “Trianagolo della morte” che comprende anche Priolo e Melilli.

Che ci sia una correlazione diretta tra incidenza dei tumori e i veleni depositati sia a mare che nell’aria in decenni nella zona abitativa è un fatto ormai assodato anche da numerose indagini epidemiologiche, ma ancora oggi nessun tribunale è riuscito a indicare con chiarezza quale sia il polo produttivo maggiormente responsabile di questi fatti.

L’ultimo report sulla incidenza tumorale

Le conseguenze soprattutto sulla salute dei cittadini sono ancora oggi evidenziate nell’ultimo report sulla incidenza tumorale presentato a Siracusa dal prof. Anselmo Madeddu, docente di Epidemiologia oncologica all’Università di Catania, esperto e studioso dell’incidenza dell’inquinamento nell’area del sito industriale di Siracusa e oggi presidente dell’Ordine dei medici del capoluogo aretuseo. Madeddu nel report di 44 pagine evidenzia in particolare come nel sito di interesse nazionale di Priolo e nell’area a rischio “si evidenzi un eccesso statisticamente significativo di incidenza tumorale soprattutto tra i maschi, confermando – scrive Madeddu – la necessità non più differibile che gli enti competenti portino a compimento le bonifiche previste da specifiche norme”. Nel report viene anche precisato che “in provincia di Siracusa sia l’incidenza che la mortalità tumorale non denotano eccessi statisticamente significativi rispetto al dato nazionale e regionale”.

Il triangolo Augusta-Melilli-Priolo preoccupa

Ma è il “triangolo” Augusta-Melilli-Priolo a preoccupare e a far dire a Legambiente che nulla finora è stato fatto per invertire la tendenza. Adesso però ci sono elementi nuovi che potrebbero cambiare e di molto il nodo del sito definito per decreto di interesse strategico nazionale. Il 7 maggio – come scriviamo nell’articolo in fondo – si terrà alla Consulta l’udienza per esaminare il ricorso della Procura di Siracusa sui profili di illegittimità di alcune norme del decreto salva depuratore. Se i giudici supremi dovesse accogliere la tesi della Procura allora il sito potrebbe davvero subire un contraccolpo.

Le persone continuano a morire

Ma al di là delle vicende giudiziarie è la questione sanità a destare maggiore preoccupazione perché le persone continuano a morire anche a causa dell’inquinamento da mercurio, piombo, arsenico, esaclorobenzene, diossine. Tutte sostanze che sono state disperse nell’aria o nei mari da 60 anni a questa parte, con bonifiche che sono spesso state effettuate marginalmente e non in senso radicale. “Oggi nel triangolo Augusta-Priolo-Melilli noi registriamo ancora una incidenza dei tumori che è del 20% più alta rispetto alla media di tutta la provincia – spiega Madeddu – con una sostanziale inerzia spazio temporale e con una maggiore incidenza nei maschi”.

“I dati più rilevanti che emergono dal report – aggiunge Madeddu – sono quelli dotati di significatività statistica, cioè talmente consolidati e ripetuti negli anni da assumere grande attendibilità. Rientrano in questa categoria i tumori della pleura, messi in relazione con la storica presenza nel territorio di inquinanti legati all’amianto. Dal momento che nella zona è esistita una fabbrica di cemento amianto dal 1955 al 1991, si individua una possibile correlazione. Un altro elemento messo in evidenza è quello delle malformazioni congenite, in particolare legate allo sviluppo degli organi genitali dei bambini (ipospadie). Questa specifiche malformazioni, a differenza di altre che rientrano nei valori medi, sono molto diffuse sul territorio. Dalla letteratura scientifica sappiamo che sono legate a sostanze quali esaclorobenzene (la diossina) o pcb (policlorobifenili). Sostanze, queste, potenzialmente presenti nel siracusano. Il rapporto, ovviamente, non stabilisce un nesso di casualità ma evidenzia l’esistenza della patologia e la potenziale presenza degli inquinanti”.

Nel documento si puntano i riflettori anche su fenomeni che, al momento, non hanno uno specifico peso statistico ma che potrebbero averlo nei prossimi anni. Tra questi va attenzionato il tumore della mammella. Il perché lo spiega ancora Madeddu: “Nell’insorgenza di questa patologia, che è una malattia ormonidipendente, possono potenzialmente agire gli stessi inquinanti citati nel caso delle malformazioni congenite, perché queste sostanze si comportano da distruttori endocrini, cioè interferiscono con il sistema endocrino, soprattutto nella produzione degli ormoni. Queste due patologie, tra i tanti fattori di rischio, ne riconoscono uno in comune. A tal proposito, quindi, si può evidenziare il rischio legato alla potenziale presenza delle sostanze citate nel territorio”.

Uno studio approfondito di tumori e malformazioni

“Nel passato – prosegue – abbiamo fatto, tramite il registro tumori della provincia di Siracusa, uno studio approfondito di tumori e malformazioni e sotto l’input della magistratura nacque un’importante indagine sulle malformazioni che mise in evidenza la forte correlazione tra le ipospadie e queste sostanze”. In questo contesto emerge, tuttavia, un elemento positivo, legato alla flessione dei casi di malformazioni congenite del sistema nervoso centrale, in passato molto diffuse”.

“Tali malformazioni secondo la letteratura scientifica – spiega Madeddu – erano legate alla presenza di mercurio (ne trovammo molto nelle acque, nei fondali marini), determinata dall’attività di una fabbrica di clorosoda che – in seguito all’intervento della magistratura –fu chiusa e riconvertita con sistemi di produzione ecocompatibili”.

Enormi sversamenti in mare di mercurio

Sul fronte delle malformazioni Madeddu ha ricordato che rispetto nei primi anni Duemila fu registrato un picco scoperto grazie a una indagine effettuata su disposizione della Procura aretusea proprio da lui in collaborazione col prof. Salvatore Sciacca di Catania che evidenziarono gli enormi sversamenti in mare di mercurio. Allora alla fine del processo venne riconosciuto un ristoro di 20 milioni a oltre cento famiglie della zona. Ma quello fu l’unico risvolto positivo di una vicenda dolorosissima per la comunità. Oggi purtroppo, le problematiche non finiscono qui.

Il dott. Giuseppe Ricca, neurologo responsabile del Csr (Centro riabilitazione) di Augusta avanza il sospetto che l’aumento di casi di autismo nei più piccoli registrato dal suo centro di riferimento non sia giustificabile e per questo – come scriviamo nella intervista qui sotto – chiede che anche in questo campo venga fatta una indagine, mettendo magari in correlazione tra loro i dati di tutta la provincia e quelli registrati negli altri siti industriali di Milazzo e Gela.

Insomma dello stupendo litorale tra Augusta e Siracusa, sino a 60 anni fa raccontato per la sua struggente bellezza anche dallo scrittore Tomasi di Lampedusa e caratterizzato anche da antiche testimonianze del passato come la città greca di Megara Ibla, oggi resta solo una landa desolata, con ampi tratti caratterizzati da un mare colore ruggine e gli scogli incastonati da pece. Ma è questo il prezzo pagato per un tozzo di pane?

Giuseppe Ricca, neurologo e direttore sanitario del Consorzio siciliano di riabilitazione di Augusta

Non è possibile mettere in correlazione i casi in aumento di autismo in bambini da uno ai 12 anni, registrati oggi nel triangolo Siracusa-Priolo-Augusta, con l’aria del vicino petrolchimico, ma certo il dubbio resta e forse sarebbe necessaria una indagine scientifica del ministero della Salute per chiarire i contorni di una vicenda che allarma.

A indicare i numeri sanitari di una patologia che affligge principalmente i più piccoli che abitano nel triangolo che convive con i veleni della grande raffineria, è il dott. Giuseppe Ricca, neurologo direttore sanitario del Csr (Consorzio siciliano di riabilitazione) di Augusta, ente convenzionato col ssn. L’esperto dice chiaramente che sarebbe necessario capire scientificamente se esiste un collegamento tra l’aumento dei casi e l’aria che questi bambini respirano, oppure se tutto è riconducibile ad altre problematiche anche genetiche.

“Abbiamo registrato un numero consistente di soggetti in età pediatrica affetti da autismo che afferiscono al nostro centro principalmente da Augusta, Siracusa e Priolo – spiega Ricca -. A Melilli invece opera un altro Csr e non abbiamo i dati. Parliamo di 400 pazienti seguiti. Da questi numeri 300 circa sono assistiti in ambulatorio e di questi il 18% è trattato per problemi di spettro autistico, condizioni nelle quali le persone hanno difficoltà a stabilire relazioni sociali normali, non parlano affatto e presentano comportamenti limitati e ripetitivi. I problemi spettro autistici sono di tre livelli e da noi arrivano spesso bambini molto piccoli, dai 18 mesi in su, con livello di autismo che spesso è quello più grave”.

Le risulta che in passato nella stessa zona c’erano gli stessi dati di adesso per quanto riguarda l’autismo?
“I dati più o meno sono abbastanza stabili. Ma si tratta di numeri elevati che non scendono”.

Le risulta che la percentuale di casi sia maggiore rispetto ad altre zone dell’isola?
“Non è possibile dirlo con evidenza scientifica. Però se noi pensiamo che nelle patologie dei bambini che noi trattiamo il 18% è affetto da questo problema dobbiamo porci più che una domanda. A livello nazionale si rileva un caso di autismo ogni 77 bambini. Nella zona di nostra competenza la percentuale è più alta. Ma servirebbe un lavoro di rete, come si è fatto in campo oncologico, per essere più precisi nella diffusione di questa malattia”.

Esiste secondo lei una correlazione tra l’aumento dei casi della patologia e i veleni dell’aria che circola nei centri abitati che convivono col petrolchimico?
“Parlando di inquinamento ambientale è possibile una correlazione. Ma una diretta corrispondenza tra causa ed effetto non è dimostrabile. Certo questi dati non riusciamo a spiegarceli e ci sorprendono e sarebbe utile per sgombrare il campo dai sospetti fare una indagine anche a Milazzo e Gela dove ci sono altri petrolchimici e misurare i tassi di inquinamento dell’aria nelle aree dei tre poli siciliani. Dal mio punto di vista posso soltanto aggiungere che 15 anni fa nel Csr di Augusta operavano oltre i medici due logopediste e una psicomotricista. Oggi lavorano nel centro 5 logopedisti e 4 psicomotricisti. Il personale specifico è triplicato perché è aumentata la richiesta di assistenza, ma da qui a dire con certezza che ci sia una contestualità con la vicina raffineria ce ne corre…”.

Decreto “Salva Isab”, il 7 maggio davanti la Corte costituzionale

Il 7 maggio è stata fissata davanti alla Corte costituzionale l’udienza per trattare la questione di legittimità costituzionale su una delle norme del decreto “Salva Isab” per consentire a depuratore di continuare ad operare. Ritorna, quindi, d’attualità anche per il polo petrolchimico di Siracusa la questione del conflitto tra lavoro e ambiente, come è accaduto in passato con Gela ed altri poli industriali e come accade da anni con le acciaierie dell’Ilva di Taranto.

Il 12 dicembre dell’anno scorso è stato il Gip del Tribunale di Siracusa, Salvatore Palmeri, dinanzi al quale è in corso l’incidente probatorio per accertare le ipotesi accusatorie avanzate dalla procura nel procedimento penale sul depuratore consortile Ias di Priolo Gargallo per disastro ambientale, ha sollevato di fronte alla Consulta la questione di legittimità costituzionale di una delle norme del decreto, in particolare quella che, in caso di sequestro preventivo da parte dell’autorità giudiziaria di stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale o di impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, consente al giudice di autorizzare la prosecuzione dell’attività se sono state adottate misure di bilanciamento tra le esigenze dell’attività produttiva e dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente.

Secondo la Procura di Siracusa, i decreti “salva Isab/Ias” vìolano i principi appena richiamati, operando solo un apparente bilanciamento fra beni costituzionali in potenziale conflitto, consentendo una compressione eccessiva e illegittima del diritto alla salute e all’ambiente in favore del diritto alla libera iniziativa economica privata. Ciò accade perché il decreto interministeriale del 12/09/23, sostanzialmente sostituisce le prescrizioni più rilevanti delle autorizzazioni vigenti, consentendo l’immissione di reflui connotati da percentuali di inquinanti di gran lunga superiori ai limiti di legge.

La nota di Legambiente

In una nota Legambiente rileva che “Si prevede la misurazione della media mensile dei valori anziché giornaliera, in tal modo consentendo che le aziende possano effettuare degli scarichi di reflui caratterizzati da picchi giornalieri di inquinanti potenzialmente illimitati. Incredibilmente per i parametri Idrocarburi Totali, Fenoli e Solventi Organici Aromatici il DPCM prescrive il rispetto di indefiniti valori limite massici annuali. La determinazione puntuale di tali limiti massici, espressi come quantità di inquinante emessa nell’arco di un anno, viene rimandata ai provvedimenti di riesame delle AIA di tutti i Grandi Utenti e lasciando nel vago chi, come e quando dovrebbe regolamentare e con quali limiti emissivi il lungo periodo transitorio finché non si giungerà alla conclusione delle procedure di riesame”.

Leggendo l’ordinanza del Gip (e il parere della Procura in essa richiamato) – aggiunge Legambiente Sicilia – risulta evidente che ad essere ‘sotto accusa’ è l’intero impianto normativo messo in piedi in seguito al sequestro preventivo per evitare la chiusura del depuratore – ritenuto dai giudici inidoneo strutturalmente a trattare i reflui industriali – e garantire la continuità produttiva del polo petrolchimico di Siracusa”.

Nel frattempo i nuovi periti nominati dal Tribunale hanno proceduto ad effettuare una serie di prelievi e accertamenti che dovrebbero essere oggetto dell’ultima udienza del processo. Siamo quindi davanti a una vicenda che non appare assolutamente risolta e continua a trascinarsi senza che si intravveda la fine del tunnel. “Se non vogliamo che la vicenda del depuratore dell’Ias e dei grandi impianti industriali ad esso collegati si avvii fatalmente verso una situazione di stallo che ricorda il caso delle acciaierie dell’ex Ilva di Taranto, occorre intervenire subito. Ancora una volta – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – in Italia si costringe la magistratura a intervenire su problemi lasciati insoluti per anni dalle altre istituzioni e dalla politica nazionale e locale. La continuità produttiva non deve più, in nessun caso, mettere in pericolo la salute dei cittadini né provocare danni ambientali. I territori e le comunità locali che hanno pagato un così alto prezzo alla industrializzazione del nostro paese meritano la massima attenzione e una coerente politica industriale che punti al risanamento e all’innovazione produttiva”.