Messina

Mondo del lavoro e Cgil Messina: tra nuove sfide e obiettivi

MESSINA – Insegnante prestato al sindacato, Pietro Patti, 43 anni, ha già una lunga esperienza sia lavorativa che da dirigente Cgil. Ha insegnato nella scuola dell’infanzia, poi maestro nella primaria. Dal 2016 segretario della Flc Cgil scuola fino al 2022, quando viene eletto segretario della Camera del Lavoro di Messina.

Qual è la forza della Cgil nella provincia?
“Siamo quasi 40 mila iscritti, una forza consistente considerando la mancanza di lavoro nella nostra area, come in tutto il Sud. Messina è una delle province che si spopola di più, i giovani che vanno via non tornano, non troverebbero qui quelle opportunità di lavoro all’altezza della loro formazione. La Cgil può anche scrivere dei disoccupati con una semplice tessera, ma le esigenze sono diverse. Qui si fa difficoltà a coinvolgere, ci sono piccole imprese con pochi dipendenti che non si iscrivono a meno che non abbiano contenziosi. Passa il messaggio che l’iscritto al sindacato crea problemi al datore di lavoro. Non è così, perché collaboriamo con tante aziende. Non è un caso il supporto al Birrificio Messina”.

È cambiato il ruolo del sindacato?
“È cambiato perché è cambiato il mondo del lavoro. é aumentata la precarizzazione e i contratti a tempo determinato. Nel 2023 tra tutti i contratti attivati solo il 13,9% sono stati a tempo indeterminato, la restante sono a tempo determinato, stagionali, interinali. La mazzata è venuta poi con il Jobs act, che ha introdotto il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e in caso di licenziamento illegittimo ha previsto il superamento del reintegro nel posto di lavoro con un indennizzo economico. Stiamo infatti raccogliendo le firme per i referendum per l’abrogazione”.

Chiedete anche una legge sulla rappresentanza...
“Se Cgil, Cisl e Uil in un determinato luogo di lavoro rappresentano il 70% degli iscritti non si può applicare il contratto di un altro sindacato che non ha neppure un iscritto e pone magari condizioni peggiorative rispetto a quelli sottoscritti dai confederali. Se non c’è una legge che regola questo ovviamente l’azienda non sceglie il contratto che più tutela i lavoratori, ma quello che li fa risparmiare”.

Quali sono le variabili che rendono il sindacato più o meno incisivo in un territorio?
“Intanto la presenza o meno di un tessuto industriale. A Messina negli anni Settanta sono state impiantate delle industrie importanti: la Pirelli a Villafranca, che aveva più di mille dipendenti, aziende di laterizi con duemila dipendenti, la cantieristica navale con più di 4 mila dipendenti. C’è una crisi in atto. L’area tirrenica ha però ancora dei margini di sviluppo e il punto è sempre cosa si vuole fare. La transizione ecologica è ineludibile, ma il problema è come farla. Occorre avere lungimiranza, guardare da qui a trent’anni. C’è anche una transizione sociale da attuare. Per esempio, non possiamo mandare a casa più di mille/duemila lavoratori in tutto il comprensorio di Milazzo, che è tra le città con il reddito pro capite tra i più alti della Sicilia, e ha infatti ancora un grande appeal. Servono scelte politiche che attirino investitori”.

Su cosa puntare?
“I politici messinesi negli anni non hanno fatto gli interessi del territorio. Si va a macchia di leopardo, non si ha una visione complessiva chiara sulle politiche industriali da attuare. Servirebbe una rete che mette insieme università, mondo produttivo, sindacati, associazioni, ordini professionali, che dia impulso e idee di sviluppo, una visione condivisa su cui lavorare insieme, abbiamo un’università importante e vorrei che fosse coinvolta sempre. Il turismo può essere un’opportunità occupazionale e portare sviluppo e creare posti di lavoro stabili se destagionalizzato. Nel 2023 l’80% dei contratti sono stati a tempo determinato. Ci sono dei passi avanti a Messina, ma ci deve essere sinergia tra Ente locale, Regione e Governo nazionale per attuare politiche efficaci dentro un quadro generale favorevole”.

Una legge del Governo nazionale dice che il Ponte sullo Stretto si farà. Voi però come Cgil continuate a dire che non si deve fare?
“Se dovesse partire è chiaro che la Cgil si collocherà all’interno di un sistema di regole e chiederà tutele per i lavoratori e la cittadinanza, perché svolgiamo anche una funzione sociale. La Cgil esigerà come in passato protocolli di sicurezza, controllerà che vengano applicati i contratti collettivi e chiederà verifiche perchè non ci siano infiltrazioni mafiose. Come qualsiasi forza democratica accetta le decisioni, ma allo stesso tempo esercitiamo una funzione di controllo e tutela. Per noi non è una priorità, lo diciamo da sempre. I posti di lavoro che si creerebbero sono 2.300, secondo la spesa prevista, ma si elimineranno i traghetti, dove lavorano circa 3.000 persone tra marittimi e indotto”.

Che tipo di rapporto c’è con l’Amministrazione comunale?
“Siamo pronti a riconoscere il buon operato e stigmatizzare se si fanno scelte che riteniamo sbagliate. Abbiamo chiesto incontri su Pnrr, Fondi Fsc, sulle progettazioni in atto in cui ci sono difficoltà, senza riscontro. Ci siamo detti disponibili a dare supporto, a mettere a disposizione le nostre competenze, lo stiamo facendo nella progettazione del sociale e siamo in partnership con il Comune in un progetto europeo: ‘Ritorno in città’ sull’ inserimento dei giovani nel mondo del lavoro”.