Inchiesta

I trattori diversi dell’Isola e la guerra del grano tra concorrenza sleale e rischi per la salute

PALERMO – La Camera dei deputati discute in questi giorni una proposta di legge ordinaria già approvata dal Senato. Il titolo del testo, a prima firma del senatore leghista Giorgio Maria Bergesio, recita: “Disposizioni per il riconoscimento della figura dell’agricoltore custode dell’ambiente e del territorio e per l’istituzione della Giornata nazionale dell’agricoltura”. Gli agricoltori siciliani però, che rivendicano da tempo il ruolo naturale di custodi dell’ambiente, hanno altre e ben diverse richieste ed in virtù di queste hanno rotto i cordoni con le associazioni di categoria quali Coldiretti e Confagricoltura e puntano adesso allo scontro con la Regione Siciliana.

I trattori puntano adesso su Palermo

Proprio in quest’ultima direzione vanno, o marciano, i trattori siciliani con una manifestazione – la cui data è ancora da confermare ma potrebbe essere già il penultimo venerdì di marzo – che vedrà questa volta il comparto agroalimentare dell’isola nel suo capoluogo. Dopo le varie manifestazioni in giro per la Sicilia, i trattori puntano adesso su Palermo. Una distinzione, ancora una volta, è obbligatorio farla: il movimento dei trattori siciliani non protesta per le stesse ragioni dei colleghi europei ed in parte neanche per quelle degli agricoltori di altre regioni italiane. Tra le rivendicazioni dei siciliani ci sono infatti anche diversi trattamenti previsti dalle Politiche agricole comunitarie (Pac) per le coltivazioni isolane e quelle padane. Poi mettono il carico le condizioni climatiche che adesso pongono ancora di più l’agroalimentare siciliano alle corde. La siccità, il clima fuori fase, il costo del carburante per i mezzi agricoli, i limiti imposti dalle vigenti norme che impediscono le soluzioni fatte in casa per le irrigazioni, l’assenza di foraggio per gli allevamenti, un fisco talvolta cieco che spinge verso il fallimento delle aziende ed infine anche la concorrenza che si materializza con importazioni massive di prodotti extraeuropei potenzialmente pericolosi per la salute umana ed animale.

L’Italia è avanti rispetto alla media europea sul raggiungimento dello standard per il biologico posto come traguardo al 2030. Il nostro paese potrebbe raggiungere la percentuale prefissata con tre anni di anticipo e la Sicilia è attualmente una delle regioni con più varietà di prodotti biologici nell’intero comparto agroalimentare. Questa regione, che ha puntato al bio ormai molti anni addietro, ha adesso deciso di affrontare un nemico che arriva in nave da oltreoceano: il grano al glifosato.

Granella di frumento coltivata all’estero a suon di chimica, essiccata ancora sulla pianta, trasportata in Italia per far fronte all’enorme richiesta dei pastifici italiani. Industrie che a loro volta esportano la pasta italiana all’estero con ottimi margini di profitto. Su questo fronte, la neo costituita associazione che alza sui propri trattori la bandiera “La Sicilia alza la voce”, ha deciso di fare pressioni sulla Regione Siciliana affinché venga applicato il principio della precauzione e dell’azione preventiva previsto dal decreto legislativo numero 152 del 3 aprile 2006.

“Una delle nostre richieste al presidente della Regione sarà di dichiarare la Sicilia Glifosato free”, dice al Quotidiano di Sicilia Franco Calderone, uno dei promotori del movimento La Sicilia alza la voce. “Noi otteniamo i nostri prodotti in un determinato modo – spiega Calderone – e i prodotti che devono entrare in Sicilia per uso alimentare, per uso umano ed animale, devono essere equiparati ai nostri prodotti”. Il glifosato è un prodotto della chimica industriale che in Italia è stato vietato, ma non sono mai stati vietati i prodotti importati che sono frutto dell’uso di questo genere di agrochemicals.

Lunedì 26 febbraio, un gruppo di agricoltori siciliani appartenenti al movimento La Sicilia alza la voce ha atteso sulla banchina del porto commerciale di Pozzallo l’inizio delle operazioni di scarico del frumento arrivato in nave dal Canada. Lo stesso carico è stato campionato dagli agenti del Nucleo operativo regionale agroalimentare Sicilia (Noras) su disposizione degli assessorati regionali dell’Agricoltura e del Territorio e ambiente, ed i campioni prelevati sono stati inviati all’Istituto zooprofilattico sperimentale di Palermo per essere esaminati.

La Regione siciliana non si sottrae all’attenzione sui prodotti importati con controlli ed analisi. In merito al grano che approda dall’estero via mare sulle nostre coste, la Regione ha infatti comunicato che “lo scorso anno sono stati otto i controlli effettuati dal Noras sui carichi di grano estero giunti in Sicilia”, e che “le analisi dei campioni svolte da laboratori accreditati dall’Ispettorato centrale tutela della qualità e repressione frodi (Icqrf) del ministero dell’Agricoltura hanno verificato la loro conformità ai valori di legge”. I valori di legge cui questo grano risulta conforme però viene contestato dal movimento dei trattori.

Giovanni Palma, agronomo e promotore di La Sicilia alza la voce, pone l’attenzione sul metodo con cui tali parametri di sicurezza per la salute vengono determinati: “Le percentuali di residuo di glifosato consentito sono stati determinati sulla base di un consumo medio di farinacei europeo, quindi si è stabilito che il corpo umano potrebbe non subire danni dal glifosato entro certi limiti di assunzione”. Su questo principio è d’accordo anche il professor Alfonso Salvatore Frenda, del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e forestali dell’Università di Palermo: “I limiti fissati dalla comunità europea sono dovuti ad una elaborazione su dati medi europei, e chiaramente su questo aspetto, sul consumo della pasta, non ci sono paragoni. Nel senso che noi consumiamo quasi 70 Kg di pasta a testa mentre in Danimarca non credo che arrivino a due chili a testa l’anno, e quindi non c’è paragone”.

Ma tra siccità, scarsa competitività per costi di produzione e concorrenza da grano al glifosato che disincentivano le colture siciliane, i trecentomila ettari coltivati a frumento si sono ridotti negli ultimi anni del dieci per cento circa. Secondo il professor Frenda, “il rischio che scompaia il grano siciliano no, ma che si riduca ancora la superficie di coltivazione c’è”.

Controlli del Nucleo agroalimentare su nave francese sbarcata a Pozzallo

Varie e di indirizzo diverso le iniziative poste in essere dalla Regione siciliana e dai suo assessorati per andare incontro alle istanze dei trattori in questi ultimi mesi. Sul fronte dell’ingresso di granella di frumento proveniente dall’estero, dove le colture si basano sull’impiego di glifosato, la Regione Siciliana ha comunicato che nel 2023 sono stati effettuati dal Noras otto controlli sui carichi di grano estero e che le analisi dei campioni hanno verificato la loro conformità ai valori di legge.

Nuovi controlli del Nucleo operativo regionale agroalimentare Sicilia (Noras) sul grano estero in arrivo nei mercati dell’Isola sono stati effettuati al porto di Pozzallo, nel Ragusano, questa volta su un carico da tremila tonnellate di una nave proveniente da Port-La Nouvelle, in Francia. I campioni di grano sono stati consegnati all’Istituto zooprofilattico della Sicilia per le verifiche sulla sicurezza alimentare. “Il governo Schifani mette al primo posto la salute dei consumatori ed è in prima linea per tutelare agricoltori e produttori dell’Isola”, ha dichiarato l’assessore regionale all’Agricoltura Luca Sammartino.
“Il nostro obiettivo – dichiara l’assessore regionale al Territorio e all’ambiente Elena Pagana – è garantire a tutti i siciliani tracciabilità dei prodotti e standard elevatissimi di controlli e di qualità”.
A seguire il Noras ha eseguito controlli anche nel Maas – Mercati Agro Alimentari Sicilia, a Catania, effettuando un sequestro di quasi 900 chilogrammi di prodotti ortofrutticoli ed elevando sanzioni per 4.800 euro.

Il 28 febbraio si è tenuta la prima assemblea plenaria del Distretto Produttivo Cereali Sicilia, negli spazi dell’Assessorato Regionale delle Attività produttive, a Palermo. Un accordo di programma nato con un decreto dell’assessore regionale Edy Tamajo, firmato lo scorso novembre, con l’intento di rafforzare la competitività, l’innovazione, l’internazionalizzazione e la crescita delle imprese attive nel settore cerealicolo. Il Distretto Cereali Sicilia, che coinvolge 65 aziende per un totale di 461 addetti e un fatturato complessivo di circa 170 milioni di euro, mira a realizzare l’affermazione del Brand Sicilia.
Su proposta dell’assessore all’Agricoltura Luca Sammartino, la giunta regionale ha dichiarato lo stato di crisi ed emergenza siccità per il settore zootecnico il 20 febbraio. Pochi giorni dopo, il 26 febbraio, il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani esprimeva soddisfazione “perché la Protezione civile nazionale ha rivisto la propria posizione iniziale di diniego sullo stato di emergenza”. Nella conseguente disponibilità finanziaria della Regione anche il ripristino di reti idriche e fognarie.

La Regione siciliana ha anche attuato un programma di razionamento delle risorse idriche sulla scorta delle attività dell’Osservatorio permanente per gli utilizzi idrici insediato a novembre. A fine gennaio l’Osservatorio aveva confermato la criticità e la Regione aveva richiesto al governo nazionale un piano di interventi infrastrutturali e per la sicurezza nel settore idrico con un impegno di spesa di circa 150 milioni di euro.

“Abbiamo adesso un quadro concreto e preciso delle opere da attuare in collaborazione con il governo nazionale per contrastare gli effetti della mancanza di piogge”, aveva dichiarato il presidente Renato Schifani. Soddisfazione anche dall’assessore Luca Sammartino allo stanziamento di seicentomila euro per due linee di pompaggio nel lago di Lentini e l’intervento per le reti irrigue per l’agricoltura con tredici milioni di euro: “Il finanziamento del ministero ci consentirà di proseguire il percorso intrapreso per risanare l’efficientamento idrico delle reti irrigue esistenti e migliorare la capacità di erogazione dei servizi per i nostri agricoltori”.

Intervista a Tommaso La Mantia, ordinario di Scienze agrarie all’Unipa

“Contro la siccità serve un nuovo approccio alla gestione del territorio”

La siccità ha messo in ginocchio l’agricoltura siciliana causando danni conseguenti anche agli allevamenti per assenza di foraggio. Il clima sta inoltre sfalsando i periodi di fioritura e fruttificazione. Abbiamo quindi intervistato il professor Tommaso La Mantia, professore ordinario al dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e forestali dell’Università di Palermo.

Professore, quali sono i rischi per le colture siciliane se perdurerà questa condizione climatica con siccità anche in inverno?
“I rischi sono grandi per le colture in asciutto, perché, non potendo irrigare, la possibilità che le colture, sia erbacee che arboree vivano e producano, dipende dalle piogge. Gli agricoltori possono intervenire riscoprendo le pratiche di aridocoltura che consentono di conservare ad esempio nel suolo la poca umidità attraverso idonee lavorazioni, aumentando il tenore di sostanza organica nel suolo, etc. Questo vale anche per le colture irrigue per le quali in teoria si potrebbe intervenire con l’irrigazione, ma ovviamente ciò dipende dalla disponibilità di acqua. Piove meno e questo è indiscutibile, ma quanta acqua si ‘perde’, senza che gli agricoltori possano utilizzarla, per follie burocratiche? Si pensi alle residue aree agricole della Conca d’Oro e all’impossibilità di irrigare con l’acqua dei Qanat che finisce nelle fogne. Oppure ancora al diniego a fare dei pozzi perché a 950 metri dalle sorgenti più vicine, perché la legge, in maniera del tutto arbitraria, stabilisce mille metri senza precisare se a monte o a valle delle sorgenti”.

Oltre la siccità, il clima sta cambiando i cicli di fioritura e la fruttificazione delle piante siciliane; cosa si prospetta per l’agricoltura siciliana?
“Le prospettive non sono rosee. Questi sconvolgimenti provocano nelle piante grossi squilibri fisiologici che si ripercuotono sulla produttività. Probabilmente bisogna avere altri parametri per regolare ad esempio la densità degli impianti, quali la quantità d’acqua consumata dal sistema suolo-pianta. Penso ad esempio agli impianti olivicoli, che passando dalla Sicilia al sud della Tunisia vedono ridurre la loro densità. Quello che abbiamo fatto noi, correttamente da un punto di vista produttivo, era aumentare le densità. Possiamo farlo ancora?”

L’agricoltura siciliana, per caratteristiche del territorio, avrebbe bisogno di parametri normativi calibrati ad hoc, come chiedono molti imprenditori agricoli dell’isola, oppure la Sicilia si può adattare in toto alle politiche agricole comunitarie?
“Non so cosa chiedono gli agricoltori. Non credo che usare più agrochemicals sia un vantaggio e un successo per gli agricoltori, ma certamente lo è per chi li produce. L’agricoltura siciliana avrebbe bisogno di un approccio diverso alla gestione territoriale nel suo complesso e quindi anche alla gestione delle foreste e delle aree seminaturali. Piove meno ma la vegetazione svolge un ruolo, dimostrato da sempre, di riduzione degli estremi climatici. Ma la vegetazione spontanea sparisce. Penso in particolare a quella lungo i fiumi che svolge un ruolo importante di contenimento dell’erosione impedendo al suolo fertile di finire in mare”.

Intervista alla microbiologa Daniela Conti

“Il glifosato? Negli animali è già accertato come causa di cancro”

“Il consumatore ha diritto a potersi alimentare con cibi sani, con cibi controllati”. Lo afferma Giovanni Palma, agronomo e produttore di fertilizzanti della provincia di Palermo ma anche promotore dell’associazione ‘La Sicilia alza la voce’. Quelli cui fa riferimento Palma sono “cibi che non solo rispettano parametri europei, perché a volte rispettare il parametro della comunità europea non è sinonimo di cibo salubre”, perché, spiega l’agronomo siciliano, “a volte abbiamo cibi contaminati dal glifosato, che in Italia è proibito utilizzarlo, ma è consentito che prodotti trattati con il glifosato vengano importati e poi noi li consumiamo attraverso il pane, la pasta, il latte e qualsiasi tipo di alimento”. Il glifosato “è una molecola sicuramente insalubre, probabilmente anche cancerogena”, dice Giovanni Palma. Per comprendere meglio di cosa stiamo parlando abbiamo intervistato la dottoressa Daniela Conti, nota microbiologa che conosce e frequenta la Sicilia e che proprio a fine febbraio è stata in provincia di Palermo in occasione della semina del grano in una delle tantissime realtà bio dell’agricoltura siciliana.

Dottoressa, cosa può dirci sui rischi per la salute derivanti dal glifosato, malgrado la conformità ai valori previsti dalla legge del grano importato?
“I rischi dipendono dal fatto che, ad esempio in Canada, utilizzano il glifosato anche per la preparazione delle sementi. Quindi, diciamo che il glifosato entra già nella costituzione del seme e poi altera tutte le proprietà del seme e quindi della pianta. Il glifosato è al centro di una diatriba che sta andando avanti da anni, che ha avuto dei momenti veramente incredibili nel 2018, mi pare, quando la Iarc, l’agenzia internazionale dell’Oms per la ricerca sul cancro, ha dichiarato il glifosato ‘probabilmente cancerogeno per l’uomo, sicuramente cancerogeno per gli animali’. Questo sulla base degli studi che erano moltissimi – erano stati analizzati oltre 700 studi a livello mondiale, la casistica era ampia – e hanno ritenuto che quella casistica fosse sufficiente a dimostrare una cancerogenicità del glifosato per gli animali. Per gli uomini avevano secondo loro meno dati, tranne per un’eccezione importante che era il linfoma non Hodgkin. Tant’é vero che oggi negli Usa ci sono più di centomila cause, contro Monsanto, di agricoltori che si sono ammalati di linfoma non Hodgkin, che stanno facendo cause collettive e le stanno vincendo”.

Cosa dicono le ricerche?
“Un paio di anni fa è uscito lo studio pilota dell’Istituto Ramazzini, che sta svolgendo un’indagine sulla cancerogenicità del glifosato insieme ad altri cinque grandi istituti di ricerca a livello mondiale, ed i primi risultati di questo studio evidenziavano già che il glifosato altera lo sviluppo, soprattutto sessuale, nei topi e causa una disfunzione a livello intestinale. Tutti effetti che si evidenziavano già ed anche una evidenza di genotossicità che vuol dire che altera il Dna. Sempre l’Istituto Ramazzini con il gruppo di enti di ricerca indipendenti sta pubblicando adesso i risultati finali di questa ricerca, e ad ottobre dello scorso anno, nel pieno del marasma che c’era anche per il rinnovo a livello europeo delle autorizzazioni all’uso del glifosato per altri dieci anni, hanno dato annuncio preliminare nel corso di un convegno scientifico di quelli che sono i loro risultati definitivi e che proprio tra gennaio e febbraio sono stati pubblicati su riviste scientifiche. Da questi risultati finali appare evidente che il glifosato causa cancro, ovviamente nei topini, soprattutto in età giovanile. Quindi, più noi mettiamo glifosato nell’ambiente, in qualunque forma, quindi anche usando questi grani che sono trattati già dal seme con il glifosato, e più esponiamo la popolazione a questi rischi”.

Parla il professore Alfonso Salvatore Frenda

“Ma il nostro grano duro non copre il fabbisogno”

Alfonso Salvatore Frenda, docente di agronomia e coltivazioni erbacee presso il dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e forestali dell’Università di Palermo, è uno dei massimi esperti in materia di frumento e molte sono le pubblicazioni sull’argomento. Lo abbiamo intervistato per cercare di avere maggiore chiarezza sul rapporto tra il grano duro siciliano e quello importato e sulle rispettive caratteristiche.

Professore, a suo avviso è possibile convertire tutte le coltivazioni italiane ritornando al frumento antico ed in colture biologiche?
“Consideri che in Italia abbiamo complessivamente circa un milione e duecentomila ettari a frumento duro, in Sicilia siamo sotto i trecentomila ettari, convertire tutti e trecentomila ettari a popolazioni antiche significherebbe che riduciamo alla metà o quasi la nostra produzione di granella. Chiaramente questo non significa che non bisogna coltivare quelle che vengono definite popolazioni antiche. Perché possono avere un loro significato, soprattutto in regime biologico o per chi desidera alimentarsi con prodotti alternativi come il Tumminìa o semole di altre popolazioni siciliane. L’uno non esclude l’altro”.

Le intolleranze alimentari in Italia sono in aumento; nel caso del grano e dei suoi prodotti derivati, c’é una correlazione tra il frumento che importiamo e l’aumento delle intolleranze al glutine?
“Queste varietà moderne di frumento hanno un glutine che le varietà più antiche non avevano, nel senso che il glutine di quelle antiche era molto più debole. Il glutine si può definire come una maglia, delle fibre che trattengono l’amido quando si fa la pasta, quindi tanto più la maglia è resistente alla cottura e tanto più trattiene l’amido e la pasta rimane al dente nonostante la cottura a cento gradi centigradi. Sicuramente una relazione c’é tra questa maggiore resistenza del glutine e una maggiore difficoltà nella digestione, ma ricondurla all’intolleranza, non essendo un medico, non so quanto sia possibile la relazione stretta tra il glutine tenace e l’intolleranza al glutine o l’intolleranza al frumento”.

Non possiamo fare a meno del grano canadese anche se ci sono dubbi sugli effetti che queste tecniche di coltivazione hanno sulla salute dei consumatori?
“Partiamo da un assunto: noi abbiamo in Italia circa un milione e trecentomila ettari coltivati a frumento duro – una volta era addirittura un milione e ottocentomila ettari, fino a dieci anni fa – e la granella che riusciamo a produrre non basta all’industria della pasta, tant’é che la maggior parte della granella la compriamo dall’estero. Nel 2022 abbiamo importato dall’estero quasi un miliardo di euro di granella di frumento duro, e ne abbiamo esportato circa centottanta milioni di euro. Di contro, sempre nel 2022, abbiamo esportato pasta di semola, in termini di prodotto finito, per due miliardi e ottocento milioni di euro. Quindi il problema è che noi produciamo tanta di quella pasta che il solo nostro grano duro non ci basta”.