Dubbi sul glisofato: i numeri della produzione in Sicilia e l’aumento del grano canadese

Dubbi sul glisofato: i numeri della produzione in Sicilia e l’aumento del grano canadese

Daniele D'Alessandro

Dubbi sul glisofato: i numeri della produzione in Sicilia e l’aumento del grano canadese

Antonio Giordano  |
giovedì 08 Giugno 2023

Tra luglio e dicembre arriverà il parere scientifico definitivo sul vietare o meno l'utilizzo della sostanza in agricoltura

A Luglio le autorità europee che vigilano sulla sicurezza alimentare dovranno esprimersi sull’utilizzo del glisofato in agricoltura rinnovando o meno l’autorizzazione nei paesi del vecchio continente. Ed entro dicembre l’Unione sarà chiamata a formulare un parere scientifico definitivo dopo le due proroghe concesse all’utilizzo nel 2013 e del 2017. Un passaggio, che segue quello dell’Agenzia sulle sostanze chimiche che si è espressa lo scorso maggio affermando che è una sostanza pericolosa per gli occhi e l’inquinamento delle acque ma non è possibile giustificarla come cancerogena, mutagena o reprotossica. Nel frattempo l’orientamento dei singoli paesi europei è per una graduale riduzione dell’utilizzo. L’Italia ha una linea molto restrittiva adottatata dal 2016 e permette l’utilizzo della molecola solo come erbicida e vietandolo in preraccolta. E’ il quarto paese per consumo di glifosato (fonte: Centro Studi Divulga) dopo Francia, Polonia e Germania. Ma intanto è già scoppiata la battaglia sull’utilizzo o meno del prodotto e un attacco alla chimica in opposizione ad una “naturalità” della coltivazioni. Fermo restando che la produzione di grano duro in Italia, ad oggi, non copre la domanda e siamo costretti a importare parte del prodotto che finisce nei piatti italiani. Se nel primo trimestre dello scorso anno le importazioni dal Canada (che usa il prodotto anche come essiccante) erano di 33,7 mila tonnellate nello stesso periodo del 2023 sono passate a 286 mila.

La Sicilia e il suo utilizzo

In Sicilia è prevalemente utilizzato nella preparazione dei campi per il grano duro e in vigna. Secondo dati Eurostat, nel periodo di riferimento (2015-2020) in Sicilia sono stati mediamente dedicati alla coltivazione del frumento duro 276.238 ettari, con una produzione annua totale di 787.512 tonnellate, di cui 472.303 si stima prodotte trattandole con glifosate (più della metà). L’Isola è il secondo produttore di grano duro di tutta Italia, dopo la Puglia. Secondo uno studio economico della società di ricerca e consulenza per l’agrifood Areté, l’impatto nella regione di un’eventuale eliminazione del glifosate sulle rese del terreno per la produzione del frumento duro potrebbe variare dal -15% al -25%. La regione subirebbe dunque la seconda maggiore perdita di prodotto in Italia, con una riduzione che si stima compresa tra 71.186 e 118.416 tonnellate di frumento duro (pari – ai prezzi correnti – ad un valore economico tra i 24 e i 40 milioni di euro) e una produzione totale in discesa, attestata tra 669.000 e 716.000 tonnellate annue. Per ciò che concerne i costi aggiuntivi per ettaro rispetto alla coltivazione convenzionale con glifosate, questi potrebbero arrivare sino a +48,49 euro/T (+10,4%) per il frumento duro.

Altre coltivazioni e costi

Per quanto riguarda il mais, in Sicilia la produzione complessiva è di 1.445 tonnellate (dato medio 2015-2020). Se il glifosate venisse bandito, e nel caso in cui i coltivatori non ne compensasse l’assenza con maggiori interventi irrigui, la produzione regionale subirebbe una riduzione stimata tra le 120 e le 235 tonnellate circa arrivando così a una produzione annuale compresa tra le 1.210 e le 1.325 tonnellate. Si registrerebbe un aumento dei costi di produzione sino a +50,54 Euro/T (+23,4%), aggravando la dipendenza della regione e di tutta l’Italia dalle importazioni, che già oggi rappresentano il 46% del prodotto utilizzato a livello nazionale. Da tenere in conto anche che nel periodo 2016-2020, circa un quarto del mais importato dall’Italia proveniva dall’Ucraina. Sempre secondo i dati forniti da Eurostat, la produzione totale media 2015-2020 di frumento tenero ammonta a 987 tonnellate, di cui si stima la metà trattate con glifosate. Un eventuale bando della molecola provocherebbe così una diminuzione delle rese del terreno, con una riduzione delle rese stimata tra il 10% e il 20%, portando quindi a una diminuzione tra 49 e 98 tonnellate. La produzione di frumento tenero risulterebbe ridimensionata, attestandosi tra le 938 e 888 tonnellate annue. Si stima un aumento dei costi di produzione sino a +43,49 euro/T (+11,5%) per questa coltura. In viticoltura, in tutta Italia e anche in Sicilia il glifosate è generalmente utilizzato a inizio e fine stagione per gestire le erbe spontanee presenti nel sottofila, cioè nello spazio tra una pianta di vite e l’altra. Da diverso tempo è diventata pratica comune mantenere queste erbe nell’interfila, procedendo con il solo sfalcio. Si stima che circa il 50% dei viticoltori italiani si avvalga del glifosate almeno una volta l’anno.

In caso di divieto del glisofato

In caso di divieto d’utilizzo di erbicidi contenenti glifosate, le lavorazioni meccaniche sarebbero l’alternativa più utilizzata per la gestione delle malerbe nel sottofila, in quanto ad oggi non sono presenti sul mercato alternative chimiche altrettanto performanti. “Ma ciò comporterebbe un aumento dei costi di produzione e un impatto ambientale a causa di un maggiore uso di carburanti per alimentare tali strumenti”, spiega Maria Pia Piricò, vicepresidente di Confagricoltura Sicilia, “saremo chiamati a competere con paesi che possono utilizzare questi prodotti con perdita di quote di mercato. La nostra è un’ agricoltura rispettosa delle regole e di precisione in cui l’utilizzo di questi prodotti è altamente regolamentato”. “I dubbi sugli impatti del glifosate sulla salute pubblica sono cresciuti negli ultimi anni anche grazie a studi indipendenti”, commenta Felice Adinolfi, docente di economia e politica agroalimentare dell’Università di Bologna e direttore del centro Divulga, “servono regole comuni a livello globale ed è necessario accelerare la sperimentazione di prodotti sostenibili come l’acido pelargonico”.

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