Catania

“Quando la mafia uccideva anche per un saluto mancato”

CATANIA – Vent’anni di storia di Cosa nostra rimasti sotto il tappeto, più di 50 delitti d’onore e tante verità, prima taciute, ora svelate. A diradare la coltre di nebbia sui fatti di sangue degli anni Novanta sono le dichiarazioni di Francesco Squillaci. Con un passato da fedelissimo dei Santapaola e un presente da collaboratore di giustizia, da quando Martiddina (appelativo attribuito a Squillaci in ambiente mafioso) ha cominciato a parlare, gli inquirenti hanno acceso i riflettori su guerre di mafia e atti sanguinari, balzati agli onori delle cronache sin dal 1990, ma dei quali ancora non si conosceva la verità.

Sono solo alcuni dei dettagli che emergono dalle carte dell’inchiesta Thor che ieri mattina hanno portato i carabinieri del Ros, su delega della procura distrettuale, all’esecuzione di una misura di custodia cautelare in carcere nei confronti di 23 appartenenti alla famiglia Santapola-Ercolano, per 23 delitti di mafia commessi tra gli anni Ottanta e il 2007. Meno della metà di quelli su cui Squillaci ha raccontato ampi dettagli e per i quali la Procura ha ottenuto riscontro nelle dichiarazioni fornite in passato da altri collaboratori di giustizia come Maurizio Avola e Santo La Causa.

Tra i reati oggetto della misura ci sono un triplice omicidio, due duplici omicidi e tre casi di omicidio con occultamento di cadavere (cd lupara bianca). Uno su tutti riguarda il duplice omicidio di Angelo Santapaola e del suo guardaspalle, Nicola Sedici (entrambi ammazzati il 26 settembre 2007), per i quali sono accusati anche Orazio Magrì (esecutore materiale), Natale Ivan Filloramo (coautore) e Vincenzo Salvatore Santapaola, figlio di Nitto. Proprio quest’ultimo, secondo la ricostruzione degli investigatori, avrebbe “ordinato il delitto perché preoccupato dall’ingombrante presenza di Angelo Santapaola, della sua autonoma operatività, anche nei rapporti diretti con Cosa nostra palermitana”.

Ma solo un Santapaola poteva uccidere un altro Santapola. Per questo, secondo la ricostruzione della procura, nel legittimare l’omicidio avrebbe avuto un ruolo pure Enzo Santapola, “capo della famiglia per diritto di nascita ed eredità”. A questi si aggiungono anche Salvatore Di Bennardo, ritenuto responsabile di favoreggiamento personale e il responsabile provinciale della famiglia, Vincenzo Maria Aiello, già condannato all’ergastolo. Ma le risultanze scaturite dalle già rese dichiarazioni di La Causa non erano sufficienti per legittimare un’ordinanza di custodia cautelare.

Sebbene le indagini si riferiscano a fatti lontani nel tempo, rivestono particolare importanza “perché – ha precisato il procuratore capo Carmelo Zuccaro – individuare tutti gli autori degli omicidi significa indebolire i vertici”. Al contempo il provvedimento rappresenta “una risposta forte – ha proseguito – a numerosi omicidi che costituiscono svolte significative nelle dinamiche di cosa nostra”.

Dinamiche che seguono un copione differente rispetto a quello odierno. “Si moriva anche per un saluto mancato – – ha sottolineato il magistrato -, perché ci si era permessi di compiere una rapina dove non andava fatta o perché un commerciante non faceva il dovuto sconto”. Un semplice sospetto, dunque, era sufficiente per intaccare l’onore mafioso dando via libera ad atti violenti e vendicativi. “Le vittime – ha proseguito – venivano portate in campagna, immobilizzate e torturate per ore e poi strangolate e bruciate con il metodo dei copertoni”.

L’indagine, avviata ad aprile 2018, ripercorre anche le dinamiche di omicidi eccellenti e meno eclatanti: Roberto Pistone, morto ammazzato l’8 maggio 1992, sarebbe stato ucciso da Aurelio Quattroluni e Francesco Di Grazia. Erano gli anni della guerra tra Cursoti e Carcagnusi (del clan Mazzei) e l’intervento dei Santapola sarebbe costato caro a Pistone. In quegli anni vennero fatti fuori anche altri mafiosi: Santo Nunzio Tomaselli, affiliato dei Cursoti, morto il 2 marzo 1992, e Sebastiano Villa, ammazzato il 12 febbraio 1992 da Francesco Maccarrone e Filippo Branciforte. A loro segue l’omicidio di un altro appartenente ai Cursoti, Carmelo Bonanno.

Poi è toccato a Rosario La Spina, sospettato di essere autore di confidenze alle forze di polizia. A seguire anche Francesco Lo Moro, figlio di un affiliato al clan Cappello. Angelo Bertolo, invece, aveva commeso due sbagli: suo fratello aveva mancato di rispetto a Giuseppe Di Giacomo, reggente del clan Laudani, e aveva osato dire in pubblico che i Cappello erano il clan più importante della famiglia. Antonio Maugeri, Nicola Cirincione, Salvatore Paratore, Giovanni Tomaselli, Agatino Zammataro, Salvatore Calabrese e Gabriele Prestifilippo Cirimbolo, Vito Bonanno, Pietro Grasso dei Tuppi, e Maurizio Colombrita dei Cappello. Tutti morti per faide interne.

Luigi Abate, Antonio Furnò e Domenico La Rosa, invece, sono stati ammazzati per aver commesso furti non andati a genio ai vertici, tra i quali compare anche un supermercato di Aldo Ercolano. Giuseppe Torre e Salvatore Motta (ammazzati il 16 febbraio 1992 e il 10 aprile 1991), sono le vittime innocenti di questa carneficina. Il primo aveva solo vent’anni quando è stato interrogato, torturato e ucciso da Alfio Adornetto per ordine del clan dei Malpassoti. L’ omicidio Motta, invece, risale alle stragi di Lentini ma costituì solo un errore dei sicari.

Operazione Thor, gli indagati
I destinatari del provvedimento emesso dal gip sono: Alfio Adornetto, 49 anni; Santo Battaglia, 59; Filippo Branciforte, 56; Enrico Caruso, 65; Giovanni Cavallaro, 48; Giuseppe Cocuzza, 57; Nunzio Cocuzza, 54; Orazio Benedetto Cocimano 56; Francesco Di Grazia, 54; Aldo Ercolano, 60; Natale Salvatore Fascetto, 50; Natale Ivan Filloramo, 46; Francesco Maccarrone, 59; Angelo Marcello Magrì, 50; Orazio Magrì, 49; Sebastiano Nardo, 72; Cesare Natale Patti, 62; Aurelio Quattroluni, 60; Vincenzo Santapaola , 64; Vincenzo Salvatore Santapaola, 51; Giuseppe Squillaci, 74; Nicolò Roberto Natale Squillaci, 50; e Nunzio Zuccaro, 58.