Nonostante siano passati 46 anni, quel 16 marzo del 1978 ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del nostro Paese, mostrando tutte le fragilità dello Stato di fronte all’attività criminale portata avanti dalle Brigate Rosse, giunta all’apice quel giorno con il rapimento di Aldo Moro. Erano gli anni della “strategia della tensione”, una sorta di ribellione nei confronti di una politica che durante la cosiddetta Prima Repubblica non forniva alternative alla Democrazia Cristiana, gli anni in cui il famoso “compromesso storico” tra Aldo Moro ed Enrico Berlinguer venne visto dai brigatisti come un qualcosa di inaccettabile.
Nel secondo dopoguerra il terrore degli Stati Uniti, legato alla diffusione del comunismo in tutto il mondo, metteva l’Italia in una condizione in cui era praticamente impossibile dare alla sinistra dei ruoli di vertice nel Governo nazionale.
Questa serie di eventi, insieme a tanti altri, videro il loro culmine in quel 16 marzo 1978, giorno in cui il quarto governo guidato da Giulio Andreotti doveva ottenere la fiducia del Parlamento. Per Aldo Moro, già cinque volte Presidente del Consiglio dei Ministri, era una giornata importante, ma quella Fiat 130, che lo avrebbe dovuto trasportare alla Camera dei Deputati, non arrivò mai a destinazione. Fu costretta a fermarsi in via Fani, dove gli agenti della scorta Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi vennero uccisi dalle Brigate Rosse, mentre Moro fu rapito.
Su quei famosi 55 giorni di prigionia sono stati scritti libri, serie tv, teorie politiche. I giornali hanno avanzato infinite analisi sulle lettere di Moro. La scrittura venne attribuita al presidente della Democrazia Cristiana, ma si pensava che quelle parole gli fossero state dettate e che dunque non rappresentavano il suo reale pensiero. Si arrivò a sostenere che Moro fosse pazzo e si parlò a fondo del ruolo che l’Italia svolse nel gestire quell’emergenza, della figura di Papa Pio VI e di Francesco Cossiga, che dopo il ritrovamento del corpo di Moro, avvenuto in via Caetani il 9 maggio del 1978, rassegnò le dimissioni da ministro dell’Interno.
Quei giorni ancora oggi sono oggetto di discussione, anche per chi finge che la paura sia passata e soprattutto per chi crede che oggi non sia più necessario mettere in discussione il rapporto tra lo Stato e il singolo cittadino.
Con un post pubblicato su X (ex Twitter), la premier Giorgia Meloni ha voluto rendere omaggio ad Aldo Moro e alla sua scorta nel giorno del quarantaseiesimo anniversario dal suo rapimento: “Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino. Sono i nomi dei cinque agenti barbaramente assassinati dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 durante il vigliacco rapimento di Aldo Moro, anch’egli ritrovato senza vita il 9 maggio dello stesso anno. Servitori dello Stato che hanno dato la vita per difendere la nostra democrazia, la nostra Repubblica e le sue Istituzioni. A loro e a tutte le vittime di quella drammatica stagione della nostra storia, va il nostro commosso ricordo e la nostra profonda gratitudine. A noi tutti spetta il compito di ricordare e onorare il loro sacrificio, affinché quegli anni bui non tornino mai più”.
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