Ambiente

Riciclo, Italia oltre gli obiettivi europei ma il Sud senza impianti frena la corsa

PALERMO – L’Italia del riciclo continua a crescere anche nel corso del 2019. Secondo le prime stime del Conai, relative al 2019 e comunicate in occasione della giornata mondiale del riciclo dei giorni scorsi, l’Italia ha avviato a riciclo il 71,2% dei rifiuti di imballaggio, una quantità superiore a 9 milioni e mezzo di tonnellate. Un dato che si spinge oltre la richiesta comunitaria che aveva imposto come target il raggiungimento del 65% entro il 2025.

ANCORA IN CRESCITA
L’economia circolare nazionale non si ferma più. La percentuale del riciclo ha superato il 69,7% del 2018, secondo i dati diffusi da Giorgio Quagliuolo, presidente del Consorzio nazionale imballaggi, ed è un “segno che i risultati continuano a migliorare, anche alla luce del fatto che lo scorso anno l’immesso al consumo è cresciuto: dai 13 milioni e 267mila tonnellate del 2018 siamo passati a sfiorare i 13 milioni e mezzo. Una percentuale di riciclo più alta, insomma, nonostante sia cresciuto il quantitativo di imballaggi sul mercato”. Andando nello specifico, i numeri rilasciati dal Conai, una proiezione basata sui primi dati del 2019, dicono che sono state complessivamente avviate a riciclo circa 390.000 tonnellate di acciaio, 52.000 tonnellate di alluminio, 4 milioni e 14mila tonnellate di carta, 1 milione e 995mila tonnellate di legno, 1 milione e 79mila tonnellate di plastica e 2 milioni e 10 mila tonnellate di vetro.

L’IMPORTANTE CONTRIBUTO DEL RECUPERO ENERGETICO
A far crescere i numeri ci pensa anche la quota destinata alla valorizzazione energetica. Si tratta di imballaggi che hanno evitato la discarica e che, assieme a quelli avviati a riciclo, permette di raggiungere un totale di 11 milioni e 49mila tonnellate, ossia l’82,4% dell’immesso al consumo. Due punti più in alto del 2018.

L’ITALIA NON SI FERMA
Il Paese è certamente un modello di riferimento anche per gli altri, ma non bisogna fermarsi. Lo ha ribadito Giorgio Quagliuolo: “Oltre al crollo del prezzo delle materie prime seconde, va risolto anche il problema della loro collocazione sul mercato: occorre incentivare l’uso di materia riciclata”. In particolare, si fa riferimento anche alla “carenza di impianti, soprattutto in alcune regioni del Sud, rischia di essere un freno sia per la nostra attività sia per gli sforzi di imprese e cittadini”.

SICILIA CARENTE
Il riferimento alle regioni del Sud ha una protagonista ben nota e si chiama Sicilia. A fronte della crescita della differenziata, più volte sottolineata dalla Regione col passaggio dal “16% a oltre il 40%”, si lamenta infatti l’assenza di una vera e propria filiera del riciclo, data l’impiantistica carente e l’inesistenza degli impianti di valorizzazione energetica. E intanto le discariche restano comunque le signore incontrastate della scena. Gli ultimi dati Ispra confermano, nel corso del 2018, come la differenziata in Sicilia sia effettivamente cresciuta rispetto all’anno precedente (+7,9%) e sia passata dal 12,5% al 29,5% tra il 2014 e il 2018, anche se è rimasto immobile il male dell’Isola: la quota dello smaltimento in discarica (passata da 1,67 milioni di tonnellate del 2017 a 1,5 del 2018) ha fatto registrare una percentuale che vale il 69% del totale.

Il network dell’economia circolare avverte:
“Siamo primi, ma stiamo perdendo posizioni”

ROMA- Italia ancora in prima linea per l’economia circolare e nella lotta contro l’usa e getta, ma negli ultimi mesi ha perso punti e gli occupati scendono mentre Francia e Polonia recuperano terreno. Questa la fotografia scattata dal 2/o “Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2020”, realizzato dal Cen-Circular economy network, la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e da 14 aziende e associazioni di impresa, e da Enea. Il Rapporto è stato presentato in streaming dal presidente Cen Edo Ronchi e dal direttore del Dipartimento sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali Enea Roberto Morabito.

In particolare emerge che ogni abitante della Terra utilizza più di 11.000 chili di materiali all’anno di cui un terzo si trasforma in breve tempo in rifiuto e finisce per lo più in discarica. Solo un altro terzo è ancora in uso dopo appena 12 mesi. Il consumo di materiali cresce a un ritmo doppio di quello della popolazione mondiale. La chiave per uscire da quella che viene chiamata economia estrattivista “responsabile di buona parte della crisi climatica e ambientale, a cominciare dall’invasione dell’usa e getta” è proprio l’economia circolare: materiali e anche oggetti che possono essere riciclati e riutilizzati più e più volte.

E l’Italia, secondo il Rapporto, è prima tra le cinque principali economie europee, nella classifica per indice di circolarità, il valore attribuito secondo il grado di uso efficiente delle risorse in cinque categorie: produzione, consumo, gestione rifiuti, mercato delle materie prime seconde, investimenti e occupazione. Sul podio, anche se ben distanziate, Germania e Francia, con 11 e 12 punti in meno. “Ma stiamo perdendo posizioni”, rileva il Rapporto. A minacciare il primato italiano è la crescita veloce di Francia e Polonia, con rispettivamente più 7 e più 2 punti di tasso di circolarità nell’ultimo anno. Sotto il profilo del lavoro, siamo secondi solo alla Germania, con 517.000 occupati contro 659.000. Le persone che nel nostro Paese vengono impiegate nei settori ‘circolari’ sono il 2,06% del totale, valore superiore alla media Ue a 28 che è dell’1,7%.

Nell’economia circolare, l’Italia è partita con il piede giusto e ancora oggi si conferma tra i Paesi con maggiore valore economico generato per unità di consumo di materia – commenta Edo Ronchi – ma oggi registriamo segnali di un rallentamento, precedente anche alla crisi del coronavirus, mentre altri Paesi si sono messi a correre: in Italia gli occupati nell’economia circolare tra il 2008 e il 2017 sono diminuiti dell’1%. È un paradosso che, proprio ora che l’Europa ha varato il pacchetto di misure per lo sviluppo dell’economia circolare, il Paese non riesca a far crescere questi numeri”.

L’Italia di fatto utilizza al meglio le scarse risorse destinate all’avanzamento tecnologico e ha un buon indice di efficienza (per ogni chilo di risorsa consumata si generano 3,5 euro di Pil, contro una media europea di 2,24). Ma è penalizzata dalla scarsità degli investimenti e dalle criticità sul fronte normativo. Un segnale incoraggiante viene dalla bioeconomia, dicono gli esperti, che cresce di valore e peso complessivo: secondo il Rapporto Cen, infatti, in Europa ha fatturato 2.300 miliardi di euro con 18 milioni di occupati nell’anno 2015. In Italia l’insieme delle attività connesse alla bioeconomia registra un fatturato di 312 mld.

“Il Rapporto – dice Roberto Morabito, direttore Dipartimento Sostenibilità sistemi produttivi Enea – conferma come l’Italia sia ai primi posti in Europa in molto settori dell’economia circolare”. Purtroppo, conclude “stiamo rallentando. Serve un intervento sistemico con la realizzazione di infrastrutture e impianti, più investimenti nell’innovazione e con strumenti di governance efficaci, quali l’Agenzia nazionale per l’economia circolare”.