PALERMO – La condizione professionale dei rider e le carenze sotto il profilo delle tutele dei lavoratori è venuta ormai alla ribalta da diversi mesi: se già prima dell’emergenza sanitaria non si trattava di un lavoro “facile”, a partire dal lockdown la situazione è completamente degenerata e si sono moltiplicate le denunce di lavoratori che parlano di turni di lavoro infiniti, sempre sulla strada, con tutti i pericoli che questo comporta, per una remunerazione giudicata spesso “ridicola”: da una stima della Cgil, emerge che lavorando 8 ore al giorno, 6 giorni su 7, i rider guadagnano al netto non più di 600 euro.
La procura di Milano ha aperto un’inchiesta nazionale per capire la portata del fenomeno che ha forti connotati dello sfruttamento reso solo sulla carta legalizzato ma non nella sostanza. In Sicilia il settore conta circa 5.000 lavoratori, di cui 2.000 solo a Palermo. Per arrivare ad uno stipendio accettabile non ci si dovrebbe fermare mai. Lo ha detto il record man di consegne, il palermitano Francesco Ruffino, che ha fatto 25 mila consegne in tre anni: “Levando tutte le spese tecniche, contributi, tasse, benzina e manutenzione arrivo intorno a 1.500 euro al mese di guadagno. Ma ci tengo a specificare che arrivo a questa cifra lavorando 30 giorni al mese, senza mai avere un giorno di riposo”.
E chi cerca di far valere le proprie ragioni si trova poi tagliato fuori. È il caso di Marco Tuttolomondo, che nel novembre scorso è stato protagonista di una sentenza storica per il comparto: il Tribunale di Palermo ha obbligato la piattaforma di delivery più diffusa al momento, Glovo, gestita da una multinazionale spagnola, Foodnho srl, a dare un contratto a tempo indeterminato al lavoratore, grazie a un’azione sindacale della Cgil. Ma ora la multinazionale non gli fa fare più le consegne.
Tuttolomondo riceve regolarmente lo stipendio, ma la sua attività non è più stata richiesta dall’azienda. E tutto perché farlo significherebbe dover cambiare i propri algoritmi, che portano a trattare il lavoratore come fosse una macchina e non una persona. La sentenza nasce proprio dal sistema di gestione del lavoro dei rider da parte dell’impresa: in pratica un algoritmo calcola le necessità delle singole città e zone, e calcola quanti rider sono necessari. L’azienda quindi fornisce ai lavoratori un software da installare sul proprio smartphone, e va montato sul manubrio della bicicletta in modo da visualizzare in tempo reale l’arrivo degli ordini.
In pratica ciò porta ad un “controllo” da parte dell’azienda, perché la app geolocalizza il rider e addirittura controlla lo stato di carica del telefono, perché si disattiva nel momento in cui questo scende sotto il 20% di carica. La app fornisce anche i tempi di consegna e il percorso in base al quale verrà calcolata la remunerazione della prestazione.
L’azienda indica anche i cosiddetti “punti caldi”, identificati nelle zone vicine ai locali di catene di fast food o comunque locali che fanno consegna a domicilio. Insomma, i rider non hanno alcuna forma di libertà nella gestione del lavoro, caratteristica che identifica il lavoro come dipendente, e non autonomo come definito nel contratto stipulato ai lavoratori.
Anche nella gestione dei turni il rapporto di lavoro non è “libero” come dovrebbe. I rider, infatti, ogni settimana possono indicare delle fasce orarie in cui lavorare, ma si tratta di pacchetti già prestabiliti e, per non ricevere penalizzazioni, vanno preferiti alcuni turni considerati dall’azienda “di alta domanda”.
In base alla produttività del rider, verrà fissata una precedenza nella scelta dei turni. Insomma, un meccanismo che costringe i lavoratori a lavorare in maniera forsennata e senza pause, in una atmosfera di competizione che va soltanto a guadagno della multinazionale.
“È incredibile che ci si stia accorgendo solo ora di questi lavoratori, ha commentato Alfio Mannino, segretario generale della Cgil Sicilia – che stanno svolgendo in questo periodo difficile una funzione sociale ed economica importante. Nei giorni scorsi siamo scesi in piazza con i rider per dire con forza che è il momento che vengano assicurati diritti e tutele. Così come che combatteremo con forza il caporalato digitale che si gioca sulla pelle dei rider, nuove vittime dello sfruttamento sul lavoro”.