Ambiente

Rifiuti e biometano, in Sicilia impianti dividono le comunità locali

CATANIA – La crisi energetica sferza le imprese italiane, facendo registrare numeri da record in bolletta che Confindustria ha stimato in 37 miliardi per il 2022, contro gli 8 del 2019 e i 20 per il 2021. Un peso specifico che grava sulle aziende e che potrebbe trovare strade alternative di contenimento dei costi già con la programmazione prevista nel Pnrr che, ad esempio, prevede 1,92 miliardi per lo sviluppo del biometano, un combustibile ottenuto dalla purificazione di biogas che è idoneo, in seguito a opportuni trattamenti, anche all’inserimento nella rete del gas naturale. Una tipologia, spiegano dal Gse (Gestore dei Servizi Energetici), che comprende anche il combustibile prodotto tramite processi di conversione in metano dell’idrogeno “ottenuto da fonti rinnovabili e dalla CO2 presente nel biogas destinato alla produzione di biometano o prodotta da processi biologici e fermentativi”.

Un settore teoricamente dalla grandi potenzialità e in grado di valorizzare energeticamente prodotti di scarto – residui dell’agricoltura e deiezioni animali – che, nonostante le previsioni e le potenzialità e gli investimenti, fatica a decollare in una Sicilia che, ancora nel 2019 (ultimi dati ufficiali disponibili del Gse), aveva appena 45 impianti di bioenergie su un totale di 2.946, con una produzione di 99,8 GWh, solo l’1,2 % del totale nazionale. Eppure c’è chi continua a puntarci: lo scorso dicembre la Snam, tramite la propria controllata Snam4Environment attiva nel settore del biometano e dell’economia circolare, ha sottoscritto un accordo con Asja Ambiente Italia, per l’acquisizione di un portafoglio di impianti e progetti di sviluppo – alcuni anche in Sicilia – nel settore del trattamento della frazione organica dei rifiuti solidi urbani (Forsu) e produzione di biometano per un valore di circa 100 milioni di euro.

Tuttavia la presenza degli impianti di biometano sul territorio nazionale non è semplice per svariate ragioni. Legambiente, all’interno del report “Scacco matto alle rinnovabili”, ha evidenziato le storture della burocrazia che spesso complicano la concertazione e lo sviluppo di questi impianti e non risultano particolarmente graditi dalle comunità locali.
Alle cronache più recenti, è balzato il caso dell’impianto di biogas di Modica della Biometano Ibleo srl. Una situazione particolarmente controversa che procede ormai da anni e che proprio in questi giorni dovrebbe vedere un suo esito in vista della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale in seguito al ricorso presentato dal Consorzio Stradale Zimmardo-Bellamagna e da alcuni privati per l’annullamento dell’autorizzazione per la realizzazione dell’impianto. A spiegare le ragioni dei ricorrenti è stato l’avvocato Francesco Stornello, lamentando che “la decisione del Comune di Modica sia stata assunta senza verificare la compatibilità dell’impianto stesso con la viabilità esistente (una strada vicinale di assai ridotte dimensioni di proprietà di un apposito Consorzio di residenti) e con le esigenze di tutela del paesaggio”.

Nello specifico, la legge che prevede che “all’atto di autorizzare impianti quali quello in questione partecipino, per fornire dati ed esprimere la loro valutazione e, quindi, il loro assenso o dissenso sul progetto, tutti i soggetti a tal fine coinvolti” mentre, nel caso di specie, il Consorzio né la Soprintendenza ai Beni Culturali, pur avendo titolo a partecipare al procedimento amministrativo conclusosi con l’autorizzazione alla realizzazione, “sono stati esclusi”.

Non è però, ci tiene a precisare l’avvocato, una sindrome da Nimby (Not in My Backyard), cioè quell’opposizione a opere pubbliche di interesse collettivo ma “scomode” per una comunità, perché si contesta “il ‘come’ quella decisione sia stata assunta” in quanto “se, infatti, solo un’istruttoria completa, nella quale vengano acquisiti tutti i dati e tutte le informazioni necessarie, determina la scelta dell’Amministrazione, nulla esclude che, nel nostro caso, qualora fossero acquisiti e valutati tutti i dati, questi avrebbero potuto determinare il Comune di Modica a non autorizzare l’impianto”. L’azienda Biomeno Ibleo Srl, contatta in merito, ha preferito non rilasciare ulteriori dichiarazioni, rendendosi disponibile in seguito alla sentenza del Tar.

Rizzone: “Diciamo no, la nostra area vive di agricoltura e turismo”

Corrado Rizzone è agronomo e presidente del Consorzio Bellamagna-Zimmardo che si oppone al progetto. “Gli impianti di biometano nascono e si sviluppano come ‘impianti aziendali’ – ha spiegato – soprattutto nelle aziende del nord Italia dove gli allevamenti zootecnici avevano la necessità di smaltire enormi quantità di deiezioni animali presenti all’interno dell’azienda e quindi lì avviene tutto il ciclo di conversione e con macchinari che hanno un bassissimo impatto ambientale; in questo caso è corretto parlare di ‘economia circolare’. Diverso è il caso di impianti di biogas non più realizzati e legati al prodotto della singola azienda, ma destinati alla lavorazione di ‘materie prime’ di provenienza esterna e quindi di tipo ‘industriale’ con volumi ed impatto sul territorio devastanti”.

Ci sembra di desumere, pertanto, che l’opposizione non sia al biogas in quanto tale ma a un “modello di sviluppo del territorio che prevede un impianto industriale di biogas, una discarica comprensoriale ed un inceneritore di rifiuti, il tutto all’interno di un area di una decina di chilometri quadri che vive di agricoltura, turismo ed eccellenze storico culturali, senza contare le ‘ricadute negative’ per le aree limitrofe con le stesse peculiarità e che oggi sono diventate ambite mete turistiche esclusive, conosciute in tutto il mondo e frequentate dal jet set nazionale ed internazionale”.