Catania

Rifiuti sull’Etna, Caputo: “Competenze frazionate tra venti Comuni, così il problema non si risolverà”

BELPASSO – Ottobre, autunno, castagne, scampagnate. Cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia: boschi, terreni, proprietà a rischio per “l’assalto” dei “gitanti” impazienti di “acchianari a muntagna”. Un copione che si ripete ogni anno cui provano a fare da argine alcuni sindaci appartenenti all’area del Parco dell’Etna. Il QdS ha intervistato Carlo Caputo, sindaco di Belasso ed ex presidente del Parco.

Durante il periodo di raccolta delle castagne si assiste da anni a un’invasione di proprietà private che lei ha definito “intollerabile”. Quali sono gli abusi più gravi che alcuni cittadini hanno perpetrato ai danni del Parco dell’Etna e del territorio appartenente al suo comune?
“Gli abusi più gravi, in questo periodo sono quelli legati all’invasione delle proprietà private e all’abbandono dell’immondizia. I proprietari di appezzamenti di terreno sull’Etna in questo periodo sono ‘obbligati’ a rimanere nei terreni per non essere ‘assaliti’ da gitanti che sporcano e da veri e propri ladri che arrivano a scassinare le porte delle case. Nelle zone più frequentate abbiamo messo dei carrellati, non so fino a quando è possibile garantirli in quanto se all’interno di essi venissero conferiti rifiuti indifferenziati il comune non riuscirebbe a garantire questo servizio dal costo molto elevato”.

Alcuni cittadini segnalano che, a volte, i terreni non sono recintati e non è chiaro quali aree siano pubbliche e quali private. Qual è la percentuale di terreni privati che ricadono all’interno del parco? E quale percentuale invece è di proprietà dei comuni o della regione?
“Il Parco si estende per 59.000 ettari. Nelle zone B e C ci sono principalmente terreni privati. Nella zona A molti terreni sono del demanio. L’amante della natura arriva a quote un po’ più alte e lì è più raro trovare rifiuti. I gitanti che si fermano alle quote più basse del vulcano, invece, vogliono trasferire usanze di un centro urbano in montagna: arrostire, posizionarsi dove vogliono e a volte abbandonano i rifiuti esattamente dove hanno mangiato”.

Cosa si sta facendo per incastrare e punire gli incivili che abbandonano i rifiuti?
“Il problema dei rifiuti sull’Etna è legato a un problema di governo sull’Etna: attualmente il sistema dei rifiuti appartiene a 20 comuni che insistono sul vulcano, questo significa che ognuno ha le sue regole e il suo modo di agire. Lo dico in maniera cruda per sollecitare il legislatore ad una presa di coscienza: un sindaco è portato ad interessarsi del centro urbano in cui ci sono sollecitazioni maggiori da parte dei cittadini, difficilmente, al netto di sensibilità personali, si occupa della ‘montagna’ perché lì non ci sono residenti e quindi ci sono meno sollecitazioni. Se non si darà la competenza dei rifiuti e del controllo al Parco dell’Etna o ad un ente pubblico intercomunale e si manterrà la competenza frazionata a 20 comuni, il problema non si risolverà mai”.

C’è poi il capitolo immobili abusivi. Cosa si è fatto e cosa si può fare per abbattere questa piaga?
“Tali abusi vengono gestiti abbastanza bene dal corpo forestale, gli abusi edilizi sull’Etna ormai sono residuali. Negli anni la nascita del Parco dell’Etna ha bloccato il fenomeno delle case abusive che erano storia degli anni ’80. Ci sono poi degli scempi edilizi o opere discutibili che vengono autorizzate, ma quella è tutta un’altra storia. Su strutture già edificate può esserci il furbetto che edifica una veranda, o allarga una copertura ma non è l’abusivismo degli anni ’80 che ha versato cemento ovunque. C’è un grande elenco di opere abusive da demolire che sono state accertate in passato e non solo sull’Etna”.

Ma rimangono in piedi e non vengono demolite…
“La procedura è complicata: il comune fa un ordine di demolizione al cittadino, se questo non provvede il comune si deve sostituire al cittadino e demolire quell’opera. Ma si parla di diverse case, il Comune non avrà mai i soldi per farlo e restano in piedi; è la storia degli ultimi 30-40 anni. Noi quest’anno in bilancio abbiamo 50.000 euro che sono la cifra ordinaria annuale per le demolizioni, quando la cifra si esaurisce si aspetta l’anno seguente. Non possiamo togliere altri fondi alle opere pubbliche e alla manutenzione. L’anno scorso abbiamo fatto due demolizioni, quest’anno ce n’è una in corso. Io ho un elenco di circa 110-120 opere da demolire ed è impossibile demolirle in tempi brevi. Alcune di queste insistono sull’area del Parco dell’Etna e la nostra maggiore attenzione va proprio lì perché spesso sono seconde case e non abbiamo i problemi sociali che avremmo andando a demolire una casa con dentro una famiglia, magari con figli. Il compito della demolizione dovrebbe essere tolto ai comuni: il sindaco si ritrova a dover demolire la casa ai propri cittadini, c’è quasi un conflitto. Se la regione e lo Stato, che sono più ‘distanti’, avocassero a sé questo potere, utilizzando il genio civile e militare e le relative ruspe, a quel punto le demolizioni sarebbero più veloci. Se lo Stato vuole fare la lotta vera all’abusivismo, si muova”.

In zona B oltre 26 mila ettari in buona parte di “privati”

Sul sito delle guide vulcanologiche dell’Etna i lettori possono trovare nel dettaglio le attività concesse e quelle proibite all’interno delle varie aree del Parco. Qui, sinteticamente, riportiamo che la zona A è Riserva integrale del parco dell’Etna, si estende dai Crateri sommitali a 3300 metri a quota 870 metri slm. Circa 10 000 ettari sui 19 000 totali della zona sono terreni del demanio forestale regionale o demani comunali. “Le aree che ricadono nella zona B (26.000 ettari in totale) appartengono a privati, e in misura ridotta al demanio forestale regionale e ai demani comunale, la massima altitudine è di 1880 metri slm, la quota più bassa è 640 metri slm” prosegue il sito. La zona C si trova alle quote più basse del vulcano, ad una altitudine compresa tra 600 e 800 metri slm, il territorio si presenta fortemente antropizzato ma anche qui è vietata la costruzione di seconde case.