di Antonio Leo e Rosario Battiato
Palermo ha l’immondizia alle ginocchia e la mafia alla gola. Lo scriveva Leonardo Sciascia nel 1979 e dopo quarant’anni il quadro non è cambiato e, anzi, si potrebbe aggiungere che la criminalità e l’imprenditoria corrotta – come dimostrano le inchieste giudiziarie degli ultimi giorni e mesi – fanno lauti affari proprio grazie a un sistema che si fonda sull’eterna emergenza rifiuti, appunto “sull’immondizia alle ginocchia”. Un circolo perfetto, o potremmo meglio dire un’economia circolare che nell’Isola diventa criminale.
Attenzione, non è che negli ultimi anni non siano stati fatti passi avanti. La raccolta differenziata, grazie agli sforzi del Governo Musumeci e di decine di sindaci virtuosi, è arrivata al 65% in un comune su tre (un livello che, va detto, avremmo dovuto raggiungere addirittura otto anni fa, nel 2012), ma ancora all’appello mancano i grossi centri, su tutti le città metropolitane Palermo, Catania e Messina. E soprattutto si continua a consumare e avvelenare il suolo ampliando senza fine le discariche.
Gli ultimi dati disponibili, pubblicati da Ispra, parlano di un 69% di spazzatura che viene abbancata, mentre in “Lombardia lo smaltimento in discarica è ridotto al 4% dei rifiuti prodotti, in Friuli Venezia Giulia al 7%, in Trentino Alto Adige al 9% ed in Veneto al 14%”. In queste regioni una buona parte dei rifiuti, che altrimenti non potrebbero essere riciclati, vengono trasformati in energia attraverso impianti di ultima generazione, tra cui i termovalorizzatori (chiamati inceneritori ormai solo da chi li avversa ideologicamente).
Nell’Isola, invece, la “munnizza” viene trasformata in oro, ma soltanto a vantaggio del ristretto club dei “signori delle discariche”. L’ultimo ad essere finito nel mirino della magistratura è Antonino Leonardi, detto Antonello, che nei giorni scorsi è stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Catania sulla gestione della più grande discarica siciliana, la “Sicula trasporti” di Lentini. Una gestione che secondo gli inquirenti si basava su un “diffuso quadro di illegalità” che “poteva perpetuarsi nel tempo in ragione del determinante contributo fornito da funzionari pubblici corrotti”. Nella discarica a cui fanno riferimento ben 200 Comuni siciliani, sostiene la Procura, era conferito “un enorme quantitativo di rifiuti strutturalmente non più gestibile secondo le prescrizioni di legge” e che vi finiva “senza subire alcun trattamento preliminare, che è essenziale per favorire l’individuazione dei materiali non ammissibili o dei rifiuti da destinare a operazioni di recupero”.
Non è una novità: numerose nel tempo le inchieste delle magistratura e non solo che hanno denunciato l’abbraccio perverso tra imprenditoria senza scrupoli, politica deviata e burocrazia infedele. Nella relazione diffusa lo scorso aprile dalla Commissione antimafia dell’Ars, guidata da Claudio Fava, si parla a proposito dell’ampliamento delle discariche, di “autorizzazioni per milioni di metri cubi con pratiche corruttive abbastanza diffuse”, delineando un scenario in cui “le responsabilità dei governi e delle amministrazioni regionali sono gravi”.
Uno scenario “esplosivo” come lo ha definito il direttore della Direzione investigativa antimafia, il palermitano Giuseppe Governale nel corso di un’intervista a “Uno mattina” andata in onda lo scorso 21 gennaio. “In Lombardia – ha spiegato nell’occasione Governale – ci sono 13 termovalorizzatori e in Sicilia invece zero. Questa situazione, prima o poi, esploderà”.
Ma, mentre che si attende la catastrofe annunciata, il sistema siciliano rappresenta l’humus perfetto attraverso cui cresce rigogliosa la malapianta criminale. “La complessità, l’incompiutezza e il frazionamento del sistema di gestione dei rifiuti – si legge nell’ultima relazione annuale della Dia, presentata alla Camera dei deputati – ha sino ad oggi contribuito nell’offrire ai sodalizi mafiosi siciliani opportunità di infiltrazione”.
UN SISTEMA CRIMINALE E CHE INQUINA
Quello che altrove diventa materia prima e, dunque, risorsa, nell’Isola resta miseramente immondizia, utile solo, come ha dichiarato il procuratore etneo Carmelo Zuccaro, a “imprenditori sciacalli e senza scrupoli, disposti a speculare sulla salute delle persone, che inquinano le falde acquifere, il sottosuolo e producono danni atmosferici”. Non è soltanto un problema di infiltrazioni criminali, appunto, ma di tutela dell’ambiente. Le discariche sono, a tutti gli effetti, delle bombe ecologiche che solo la Sicilia e poche altre aree del mondo arretrate continuano ad alimentare e ad ampliare ad libitum.
E però una soluzione va trovata perché l’Isola non può essere costantemente sotto il rischio di un’emergenza ambientale. Non regge l’idea romantica dei rifiuti zero né quella per cui la differenziata basterà a salvarci dalla spazzatura: esiste una montagna di rifiuto irrecuperabile. Anche arrivando nel 2021 al 65% di raccolta in tutta la Sicilia, da una parte resterebbe un 35% da smaltire in qualche modo e dall’altra la quota differenziata produrrebbe comunque scarti in seguito alla raffinazione negli impianti di selezione o compostaggio. Quest’ultimi, secondo gli esperti, pesano intorno al 15% dei rifiuti totali e sommandosi al 35% di cui sopra portano ad una montagna (50%) di spazzatura ancora da gestire. Come? Continuando a sotterrarla e creando un enorme danno ambientale in discariche che poi andranno bonificate con ulteriori enormi costi?
Da anni la posizione di questo giornale è chiara: seppure sia necessario prevenire in ogni modo le infiltrazioni criminali, oggi i termovalorizzatori (o meglio termocombustori, riferendosi alle ultime generazioni di impianti, che secondo associazioni di settore come Fise Assoambiente inquinano meno di un bus cittadino) rappresentano la soluzione per chiudere (scusate il gioco di parole) il cerchio dell’economia circolare, producendo energia e riscaldamento, con un perfetto equilibrio tra riciclo e termovalorizzzione. Non è fantascienza, ma banale normalità nelle regioni del Nord Italia e in tutti i più grandi Paesi europei, con infrastrutture d’avanguardia spesso costruite nel cuore pulsante delle città. In Sicilia il dl 133/14 (cd decreto legge Sblocca Italia, poi convertito nella legge 164/14) e il successivo schema di decreto attuativo del governo Renzi sull’articolo 35 prevedevano due grandi impianti per smaltire circa 700 mila tonnellate di spazzatura all’anno. Ma, onde evitare il tran tran dei rifiuti, trasportati da Tir inquinanti, una soluzione potrebbe essere quella di costruire impianti più piccoli per ogni provincia siciliana, magari localizzati nelle aree industriali abbandonate.
LA LINEA EUROPEA
D’altronde la tendenza è evidente anche negli ultimi dati Eurostat: i due macroinsiemi relativi alle forme di trattamento dei rifiuti – recupero e smaltimento – hanno fatto registrare una decisa virata verso il primo, considerando che tra il 1995 e il 2018 la quota di conferimento in discarica è diminuita del 61%, mentre è aumentata del 200% la quota di rifiuti riciclati e del 117% quella relativa alla trasformazione in energia. Ma la Sicilia, come al solito, fa come i salmoni.
ALL’ITALIA SERVONO NUOVI IMPIANTI
Ci sono appena una quarantina di impianti di termovalorizzazione in Italia – nessuno in Sicilia – mentre sono circa il doppio in Germania (96) e più del triplo in Francia (126). Un rapporto Ref Ricerche (“La responsabilità delle scelte: i fabbisogni impiantistici e il ruolo delle regioni”) indica un pesante ritardo a livello nazionale e in particolare per alcune regioni tra cui la Sicilia che registra “deficit a smaltimento e a recupero energetico di poco meno di 700 mila tonnellate/anno”, che era appunto la quota calcolata in relazione alle misure previste dallo Sblocca Italia.
“Da un primo sguardo – si legge nella relazione – appare immediatamente chiaro come i deficit impiantistici nello smaltimento e nell’avvio a recupero energetico delle tre regioni a maggiore squilibrio, Lazio Campania e Sicilia, siano essi stessi la principale causa delle tensioni e delle emergenze nella gestione dei rifiuti del Paese”. Un ritardo che si paga: uno studio dei ricercatori del Cesisp (Centro economia e regolazione dei servizi) dell’Università degli Studi Milano-Bicocca ha evidenziato la possibilità di risparmiare oltre 700 milioni all’anno in bollette su un totale di circa 10 miliardi secondo una stima dei costi relativi al mancato ricorso, in alcune regioni, tra cui la Sicilia, a impianti di termovalorizzazione in sostituzione delle discariche.
I SISTEMI VIRTUOSI
La direttiva 2008/98/CE ha costituito e costituisce tuttora un riferimento per la gerarchia europea del rifiuto, prevedendo, in ordine, prevenzione (riduzione della produzione di rifiuti), riciclaggio, recupero e trattamento e stoccaggio in discarica dei rifiuti non riciclabili e recuperabili. Non a caso il recupero energetico e termico esiste in tutti i sistemi di gestione virtuosa presenti in Europa, con Paesi come Svezia, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi e Germania che mantengono percentuali di incenerimento che sono comprese tra il 35 e il 50% (dati Ispra, rapporto rifiuti urbani 2017).
BOLZANO E GLI ALTRI
A Bolzano la bolletta dei rifiuti costa pochissimo – dati Osservatorio Prezzi e Tariffe di Cittadinanzattiva – ed è praticamente circa un terzo del dato catanese (186 euro contro 504). Il dato bolzanino risulta essere tra i 10 più economici d’Italia, assieme a una pattuglia abbastanza nutrita che viene dal profondo Nord: Verona, Brescia, Trento, Cremona, Belluno, Udine. Si paga meno dove il sistema è completo: i dati della provincia autonoma di Bolzano-Alto Adige, pubblicati sull’ultimo annuario dei rifiuti dell’Ispra, certificano una raccolta differenziata che si è spinta fino a quasi il 70% (69,5%), con un incenerimento di 128 mila tonnellate di rifiuti (96 mila i rifiuti urbani) e permette di ottenere 55.561 Mwh come recupero energetico termico e 91.374 MWh come recupero energetico elettrico.
L’impianto di Bolzano, gestito dalla società pubblica Eco-center, utilizza una tecnologia avanzata che permette di riscaldare 10 mila alloggi e illuminarne 20 mila. Le emissioni dell’impianto risultano essere largamente al di sotto dei limiti europei. Restando in Italia, la Lombardia è certamente un modello. I dati della Regione certificano che i rifiuti raccolti sono avviati per il 61,7% a recupero di materia, per il 25,4% al recupero di energia diretto (nei termovalorizzatori) e la parte residuale, pari al 0,58% è smaltito in discarica. In Lombardia sono presenti 13 termovalorizzatori su 39 attivi in Italia.
IN EUROPA
A Copenaghen c’è un termovalorizzatore che offre addirittura una pista da sci. L’impianto di Amager Bakke-CoopenHill è costato 670 milioni di dollari e da due anni ha sostituito il vecchio termovalorizzatore cittadino, permette di bruciare 400 mila tonnellate di rifiuti all’anno ed è perfettamente nei limiti emissivi previsti dalle direttive Eu. Anzi, riportano alcune cronache, emetterebbe solo vapore acqueo, potendo trattenere polveri e fumi nocivi. A Giubiasco (vedi la tabella pagina 8), frazione del comune svizzero di Bellinzona, nel Canton Ticino, è attivo dal 2009 un impianto di termovalorizzazione dei rifiuti, con una potenza termica di 67 MW in grado di trattare 140 mila tonnellate di rifiuti per 330 milioni di costi da cui vanno dedotti i sussidi federali e cantonali.
A Parigi c’è l’impianto, in parte interrato, di Syctom Isseane, in un Comune della cintura della capitale, che raggruppa 48 Comuni e che dal 2007 tratta i rifiuti prodotti di circa un milione di abitanti. Nel corso degli anni sono stati sottoscritti accordi per certificarne le condizioni di qualità ambientale. Nelle grandi città europee, come Parigi, Londra o Berlino, gli impianti, insomma, esistono e sono integrati nel tessuto urbano.