PALERMO – “Candidiamo la Sicilia a diventare la regione più verde d’Italia. Abbiamo tutti i numeri per farlo”. Esordiva così, lo scorso ottobre, il presidente della Regione Nello Musumeci. Ma per essere la Regione più verde d’Italia non bastano le iniziative di mobilità sostenibile sparse in alcuni comuni e qualche albero in più.
Nella transizione ecologica il ruolo strategico è giocato dalla produzione di energia verde che permette l’azzeramento delle emissioni di CO2. Parliamo di impianti fotovoltaici industriali e di grandi parchi eolici. In questo senso è vero che la Sicilia, come dice Musumeci, ha una potenzialità enorme. Ma la potenzialità da sola non basta. Servono interventi, iniziative e investimenti per poter candidare la Sicilia ad essere la “Regione più verde d’Italia”.
Tutte cose che la Sicilia non sta progettando: nessuna risorsa è prevista per agevolare la costruzione di impianti industriali di produzione delle rinnovabili. Ancora peggio, non sono state individuate nemmeno le zone idonee per la costruzione degli impianti fotovoltaici. Zone che le Regioni sono obbligate ad individuare secondo il decreto del 10 settembre 2010 del ministero dello Sviluppo economico recante le Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Quando si parla di transizione ecologica bisogna tenere a mente che gli obiettivi da raggiungere sono quelli di riduzione delle emissioni al 2030 e al 2050. Secondo un rapporto dello Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzoggiorno) il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima) al 2030 richiede nuovi investimenti negli impianti rinnovabili, in particolare eolico e fotovoltaico.
Considerando i costi di installazione medi degli impianti (temperando il costo storico con le previsioni del prossimo decennio), il rapporto individua in circa 82 miliardi di euro gli investimenti teoricamente necessari per la creazione di nuovi impianti di produzione di energia rinnovabile in Italia. E la distribuzione di questi 82 miliardi dovrebbe privilegiare le regioni meridionali.
Secondo le stime dell’associazione, infatti, in Sicilia dovrebbe essere investito il 10,8% di queste risorse: ben 8,8 miliardi in impianti fotovoltaici e eolici per raggiungere gli obiettivi climatici al 2030.
“Mediamente un mega watt di potenza – dichiara al QdS Domenico Santacolomba, dirigente del servizio di programmazione energetica della Regione siciliana – costa intorno al milione e mezzo di euro. Noi abbiamo previsto, nel nostro piano energetico, di raggiungere con eolico e fotovoltaico 7 mila mega watt al 2030, considerando che già adesso ne abbiamo circa 3,3mila. Quindi arriviamo effettivamente a circa 5 o 6 miliardi solo per l’installazione degli impianti”.
Dalla Giunta che candida la Sicilia a diventare la Regione più verde d’Italia ci si aspetterebbero iniziative per sostenere chi decide di produrre energia rinnovabile a livello industriale. Ma la realtà dei fatti è ben diversa. “Non c’è assolutamente nessun soldo investito per gli impianti industriali – spiega Santacolomba -. Il contributo in conto capitale per l’installazione dell’impianto per le società non è previsto nei nostri bandi. Questi impianti vengono realizzati direttamente dalle società con fondi propri”.
Insomma, un settore altamente remunerativo a livello economico e determinante nella lotta contro il cambiamento climatico come quello delle rinnovabili è lasciato nelle mani dei privati. Privati che, senza nessun aiuto economico, spesso decidono di non investire più in questo settore. “Dal 2018 al 2021 – spiega ancora Santacolomba – non ci sono stati grandi installazioni o grandi quantitativi di impianti connessi. La crescita degli impianti eolici e fotovoltaici in Sicilia dal 2018 è tendenzialmente pari a zero”.
IN SICILIA UNA MAREA DI PROGETTI BLOCCATI (CONTINUA LA LETTURA)
Se gli impianti di produzione delle rinnovabili effettivamente connessi sono praticamente gli stessi dal 2018, va detto che molti sono invece quelli in attesa di autorizzazione in Commissione Via/Vas. “A noi risulta che sono in corso di autorizzazione in commissione Via/Vas impianti per 9mila megawatt tra eolico e fotovoltaico – spiega Domenico Santacolomba -. Se ne riuscissimo a fare 3400 raggiugeremmo l’obiettivo 2030 del pacchetto clima energia per la Sicilia. Praticamente già un terzo di impianti che sono in autorizzazione ci permetterebbero di raggiungere gli obiettivi”.
Tuttavia, se le richieste di autorizzazione sono molte non significa che gli impianti sono tanti. “Molte società – continua il dirigente regionale – hanno presentato richieste e moltissime non verranno autorizzate perché sono in aree vincolate. Diverse verranno autorizzate ma non connesse perché molti imprenditori aspettano di entrare nelle aste e nei registri del decreto Fer per ottenere l’aiuto previsto dal Gse in termini di integrazione per la produzione. Abbiamo fatto un’elaborazione e non raggiungeremo l’obiettivo che era previsto per il 2020 per la Regione siciliana. Tra le richieste e il realizzato o il connesso c’è una differenza enorme. Il nostro obiettivo è quello di ridurre sempre di più questa differenza aumentando la qualità delle richieste di autorizzazione”.
Insomma, per il dipartimento dell’energia della Regione siciliana la costruzione di nuovi impianti è bloccata essenzialmente dai processi autorizzativi e dai meccanismi che sovvenzionano il mercato delle rinnovabili. “Tra i 9mila megawatt di impianti presenti in commissione – chiosa Santacolomba – la metà probabilmente non sarà autorizzata. E questo nel migliore dei casi. Inoltre, per i tempi di autorizzazione consideriamo due o tre anni e poi altri due o tre anni (o meglio quattro) per la connessione, sempre se tutto va bene”.
Accuse nei confronti della burocrazia regionale sono avanzate dal presidente di Confindustria Sicilia, Alessandro Albanese. “Dai dati ufficiali della Regione Siciliana, aggiornati al 20 dicembre 2021 – dichiara al QdS – in Sicilia complessivamente i progetti in attesa di Via (Valutazione d’impatto ambientale) sono 761. Mentre quelli in attesa di Vas (Valutazione ambientale strategica) sono 452. Analizzando il biennio 2019/2021 sono stati emanati 330 decreti. Di questi, il 50% è stato rimandato alla procedura Via/Vas. Questo significa che l’impresa ha dovuto ricominciare da capo l’intero iter. I tempi medi di rilascio di una valutazione sono di circa due anni. L’ostacolo principale allo sviluppo è il tappo della burocrazia”.
Secondo Albanese, inoltre, sarebbe necessario da parte della Giunta Musumeci un contributo economico per la realizzazione degli impianti industriali di produzione delle rinnovabili “e la chiave di volta saranno i termovalorizzatori”. Nonostante Confindustria vorrebbe un aiuto da parte della Regione, va detto che gli industriali siciliani non dicono quanto stanno effettivamente investendo nelle energie rinnovabili. “Ancora paghiamo nelle fatture le quote relative all’energia alternativa – chiosa Albanese – Forse invece di chiederci se e quanto investire, bisognerebbe chiederci quando avremo utilità economica”.
LA RISPOSTA DELLA COMMISSIONE REGIONALE VIA/VAS (CONTINUA LA LETTURA)
Confindustria Sicilia e dipartimento dell’Energia, pur essendo in contrasto per certi versi, sono d’accordo nel dire che l’ostacolo principale allo sviluppo dell’industria verde in Sicilia è la burocrazia e i troppo lunghi e rigidi iter per le autorizzazioni. Non è assolutamente concorde il presidente della Commissione Via/Vas siciliana, Aurelio Angelini, che abbiamo sentito in esclusiva.
Qual è lo stato attuale delle autorizzazioni per la costruzione di impianti eolici e fotovoltaici da costruire in Sicilia?
“A partire dal 30 luglio del 2021 le autorizzazioni ambientali che riguardano gli impianti fotovoltaici ed eolici superiori ai 30 megawatt vanno a Via nazionale e quindi non sono più di competenza regionale. Noi facciamo solo gli impianti piccoli da 10 fino a 30 megawatt.
Con il decreto fatto dal governo nell’ambito del Pnrr per l’accelerazione delle procedure hanno costituito un’apposita commissione nazionale che rilascerà i pareri sugli impianti di tutte le regioni italiane. Noi non abbiamo più competenze. Abbiamo solo un carico pregresso degli impianti fotovoltaici che piano piano stiamo smaltendo.
Deve pensare che la procedura di questi impianti è abbastanza complessa perché richiede i tempi della procedura autorizzativa regionale che è una procedura unica in cui sono messi insieme tutti i soggetti che devono rilasciare le autorizzazioni. Stiamo parlando di una cinquantina di soggetti che devono rilasciare l’autorizzazione: dall’Asl all’aeronautica militare, dai vigili del fuoco ai beni culturali, dall’autorità di bacino ai comuni e così via. Parliamo di un processo complesso dopo una consultazione, un parere intermedio e che stiamo portando avanti. Queste procedure le concluderemo entro i tempi previsti dalla legge”.
Secondo il dipartimento regionale dell’energia molti impianti fotovoltaici sono bloccati in commissione Via/Vas a causa della troppa burocrazia…
“Le situazioni sono molto diverse l’una dall’altra. Intanto, c’è un aspetto a monte che bisogna tenere in considerazione: le valutazioni ambientali si basano su un processo partecipato. Cioè, il progetto di realizzazione di un impianto, in ambito ambientale viene sottoposto a cittadini, associazioni e a tutti gli interessati affinché esprimano la propria opinione di dissenso o dissenso parziale.
Parliamo di una procedura che nella fase iniziale, per alcuni mesi, deve stare ferma per permettere a chi vuole fare delle osservazioni di merito al progetto di poterle fare. E questa non possiamo certo annoverarla a ritardi burocratici di qualsiasi Ente.
Poi, c’è una prima valutazione che viene fatta da parte nostra che si chiama parere intermedio in cui facciamo la disamina di tutte le criticità del progetto presentato. Qui si apre un capitolo enorme. Ci sono progetti che non dovrebbero avere nemmeno la dignità di essere presentati perché sono talmente carenti sotto il profilo documentale e talmente poco coerenti nelle valutazioni ambientali (in molti casi troviamo copia incolla in cui un progetto palermitano fa riferimento ai criteri urbanistici della città di Catania) che mettono in evidenza carenze che sono ai limiti dell’osceno.
Una buona parte dei problemi che abbiamo sotto il profilo procedurale è dovuta al fatto che la documentazione dei progetti delle aziende è carente. Non a caso i nostri pareri sui progetti che vengono presentati presentano mediamente da 30 a 50 criticità su cui devono dare risposte i soggetti proponenti. Parliamo di autorizzazioni che si basano su una valutazione tecnico scientifica rigorosa di compatibilità ambientale che se non è fatta in maniera adeguata può avere effetti sulla salute dei cittadini e può avere effetti ambientali drammatici”.
Quindi la criticità per quanto la poca presenza di impianti industriali di energia rinnovabile non è nella burocrazia regionale ma nella scarsa preparazione delle aziende?
“I motivi sono molteplici. Una parte di colpa ce l’hanno le aziende che non presentano studi e documentazioni sufficienti per poter fare una valutazione puntuale senza dover chiedere con i pareri intermedi le integrazioni significative che richiedono mesi di tempo da parte del proponente. Poi, comunque, la procedura dell’autorizzazione unica regionale richiede un anno di tempo in termini materiali. I problemi sono quindi da individuare nella procedura, nella debolezza di tante imprese, e in alcune lentezze della catena delle amministrazioni che devono rilasciare i pareri. Noi come commissione siamo gli ultimi a parlare perché non possiamo esprimere un parere se non abbiamo tutto ciò che occorre per fare una valutazione”.
Quali sono gli Enti più ritardatari?
“Gli Enti sono sia regionali che statali che comunali, in base al progetto presentato. Dalla sovrintendenza ai beni culturali che devono escludere che il progetto ricada in aree di interesse archeologico e individuare le problematiche relativamente alla compatibilità con il paesaggio. Poi c’è il Genio civile per quanto riguarda la solidità dell’intervento che si intende fare. Passiamo all’Autorità di bacino relativamente ai sistemi idrici. I vigili del fuoco per quanto riguarda il rischio incendio. Passiamo all’azienda foreste per quanto riguarda il rischio idrogeologico. Poi c’è l’Enac che si deve pronunciare sulle interferenze sull’aeronautica civile e militare. Si esprime anche l’Arpa. Noi arriviamo quando tutti questi Enti si sono pronunciati perché se c’è anche solo una di queste autorità che ci dice che c’è un vincolo o un problema noi dobbiamo tenerne conto.
In questo, non so quale è il peso definito, c’è una responsabilità dei proponenti, c’è una quota che riguarda la complessità della procedura e c’è un terzo fattore: la lentezza degli apparati regionali, comunali e nazionali che interagiscono. La valutazione di impatto ambientale per questi impianti non è finalizzata a dire se l’opera è compatibile o no. La procedura unica regionale permette di realizzare direttamente l’impianto perché con questa autorizzazione le aziende non devono avere nessun altro documento. La procedura è complessa e le aziende molte volte non aiutano perché hanno delle carenze progettuali e amministrative”.
Secondo Confindustria Sicilia circa il 50% dei progetti viene rimandato, il Dipartimentimento dell’energia dice che addirittura la metà è bocciato. Quali sono i motivi per cui questi progetti vengono respinti?
“Io credo che Confindustria se dice queste cose ha problemi con i numeri. Non è affatto vero che il 50% delle procedure vengono bocciate. Sono parole in libertà. Del resto, abbiamo visto che il loro capo, Bonomi, è venuto qui a sparare cifre: 1.500 procedure ferme. Non abbiamo 1500 procedure, sono quelle che sono entrate negli ultimi quattro anni. Ma negli ultimi quattro anni sono state fatte più di 1.200 procedure. Parliamo dei numeri in entrata e non parliamo di quelli in uscita.
Quanto alle bocciature non mi risulta assolutamente questa cifra. Non superano nemmeno il 10%. Le cifre sono del tutto sballate e chi le fa farebbe bene a corroborarle con dei dati inoppugnabili e non aprendo bocca e facendo uscire fiato. In ogni caso, la quasi totalità delle bocciature sono state oggetto di ricorso. Prendendo in considerazione le aziende che hanno fatto ricorso al Tar parlare del 10% di bocciature è anche troppo. Credo che non arrivi nemmeno al 5% il numero di pareri negativi che sono stati oggetto di ricorso al Tar. Questa cifra corrisponde alla verità. Le posso aggiungere anche che il Tar, quasi nella totalità dei casi, ha confermato la nostra valutazione. E quindi a prescindere dal loro numero, le bocciature sono meritevoli dell’esito che hanno avuto, visto che un organo terzo si è pronunciato. Da questo punto di vista mi sento di poter dire di non aver fatto nessuna ingiustizia sostanziale per quanto riguarda l’esito delle procedure”.
I motivi per cui vengono bocciati questi progetti quali sono?
“Soprattutto parliamo delle procedure in cui viene chiesta la non assoggettabilità a Via. Tutte le procedure ambientali devono essere sottoposte a Via che prevede un insieme di documentazioni che permettono di poter valutare in modo puntuale l’impatto potenziale o lo scarso impatto di un impianto. L’articolo 19 del testo unico ambientale, che è la verifica di non assoggettabilità a Via (un percorso breve che in genere si usa per le opere minori), dice che il soggetto proponente deve presentare in forma completa la documentazione che permette alla commissione di poter escludere gli impatti ambientali dell’intervento che si vuole fare.
Inoltre, l’articolo dice che la valutazione dell’esclusione degli impatti ambientali viene fatta in relazione alla tabella quinta della parte seconda del testo unico ambientale. In questa tabella c’è una declaratoria di tutti i fattori sulla base dei quali l’azienda deve dimostrare, in punta di diritto o in punta tecnica, che non hanno impatto significativo sull’ambiente. Nel momento in cui la presentazione dell’istanza è carente o non dimostra questa cosa, noi, non potendo escludere che abbia impatti ambientali perché non ci è stato dimostrato il contrario, non possiamo dire altro che l’intervento deve essere sottoposto alla valutazione di impatto ambientale.
Questi sono i casi più ricorrenti per quanto riguarda un nostro presunto diniego. Ma siamo sull’ordine di alcune decine e i ricorsi al Tar ne sono una testimonianza. Noi ci sentiamo abbastanza tranquilli e sereni su come gestiamo queste procedure. Quindi prima di parlare alcuni dovrebbero mettere in funzione il cervello: parliamo di questioni che possono incidere drammaticamente sulla salute delle persone”.
Ci sono procedure che non vanno a buon fine per problemi di vincolistica?
“La legge è perentoria, e i Tar l’hanno sempre confermato: si deve andare a Via in quanto non si dimostra perché non ci sarebbe bisogno di questa valutazione. Se le aziende non riescono a dimostrare attraverso i documenti questa cosa, noi non possiamo fare altro che assoggettare i loro progetti a Via. Non bocciarle, perché poi potrebbe anche darsi che l’opera si possa realizzare. La non assoggettabilità è una procedura semplificata per evitare di fare la Via. Ma si deve dimostrare che non ci sono impatti sull’ambiente”.
Queste carenze documentali riguardano anche gli impianti industriali di produzione di rinnovabili?
“Per gli impianti fotovoltaici c’è un discorso diverso. Una cosa è un piccolo impianto in un contesto in cui non c’è un impatto significativo sull’ambiente, un’altra cosa è un grande impianto che deve essere sottoposto a Via. Abbiamo avuto casi di impianti mediamente grandi che ci vengono presentati con la procedura di non assoggettabilità a Via che è una contraddizione in termini. In quasi tutti questi casi abbiamo assoggettato l’impianto a Via. Perché di per sé la grandezza determina una serie di impatti significativi che nella non assoggettabilità il proponente non valuta in maniera corretta. Siamo dentro un insieme di problematiche articolate. Poi ci sono procedure che non dovrebbero nemmeno arrivare in Commissione. Non può arrivare un piano di lottizzazione che si realizza all’interno di una riserva naturale nella provincia di Palermo. Questo progetto non doveva nemmeno arrivare perché il Consiglio comunale non doveva neanche deliberare una cosa del genere. È capitato ed è stato annoverato come un diniego della Commissione. Ma io non lo considero in questo modo perché una cosa del genere non andava nemmeno presentata. Noi ci troviamo con campi fotovoltaici che si trovano in parte in una riserva naturale o all’interno di un sito Natura 2000. Questi non sono dinieghi, perché i proponenti non li dovrebbero nemmeno presentare”.
ECCO COME SUPERARE LA MATASSA BUROCRATICA (CONTINUA LA LETTURA)
Date tutte queste criticità che vengono riscontrate e che ingolfano la macchina burocratica della Commissione, secondo lei, a livello legislativo, ci dovrebbe essere un intervento?
“Secondo me si, servirebbe un intervento legislativo in ordine alla possibilità di presentare un’istanza se si trova in tutto o in parte in un’area sottoposta a vincolo o mappata in aree che non sono idonee. Nel caso del fotovoltaico, avere una declaratoria e una definizione dei siti idonei in relazione agli impianti di energie da fonti rinnovabili dove si possono mettere e dove bisogna fare l’esclusione, aiuterebbe tantissimo. Nel campo delle energie da fonti rinnovabili questo intervento è di competenza regionale perché la legge nazionale stabilisce che siano le regioni a stabilire le aree idonee dove poter realizzare gli impianti.
Questo già risolverebbe il 50% dei problemi. Attualmente però non sono indicati se non per l’eolico. Ma tutte le regioni italiane sono nelle stesse condizioni. Perché nel momento in cui il potere politico deve assumere una posizione chiara e netta riscontra una serie di criticità in quanto coloro che hanno in mente di realizzare impianti dove non si dovrebbe non vogliono desistere dal loro intento, riuscendo a condizionare i parlamenti o i consigli regionali nella legificazione. Però sarebbe utile che l’Ars legificasse in questi termini: una buona attività legislativa servirebbe a permettere di semplificare le procedure a monte del percorso”.
Chi dovrebbe indicare i luoghi idonei?
“Il decreto ministeriale del 2010 del ministro dello sviluppo economico nella ripartizione della funzione dei compiti in materia energetica ha stabilito che l’identificazione delle aree idonee devono essere stabilite dalle regioni. Ora, ci sono due correnti di pensiero: una dice che deve essere stabilita dalla Regione in linea di legge e l’altra dice che può andare anche sotto il profilo amministrativo. Quelli che dicono che deve andare attraverso legge lo dicono perché questa è una codifica che non è impugnabile se non se non dalla Corte costituzionale. Quella invece delle aree idonee stabilite attraverso una delibera di Giunta sostengono che questa è una strada altamente a rischio perché può essere impugnata attraverso una procedura amministrativa. Come del resto è stato già fatto per il piano energia del governo Lombardo”.