L’argomento della politica di questi giorni, e di quelli che verranno, è la proposta di legge dei partiti di centro-sinistra sul salario minimo. Effettivamente, la discussione va avanti da mesi ormai, anzi, da quando è stata emanata una precisa direttiva dall’Unione Europea sullo stesso tema. Se ne sente parlare parecchio tra il flusso di informazioni e le dichiarazioni dei politici, ma comunque non si individuano i reali vantaggi o svantaggi. Meglio, si fatica a individuarli perché troppo presi dal fascino della retorica infiammante.
In questi ultimi giorni, a partire dalla fine di giugno, è ancor più alla ribalta la questione salario minimo, anche per via della conversione in legge del decreto-legge 4 maggio 2023 n.48. Da ieri, a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, prende il nome di legge 3 luglio 2023, n. 85, riguardante “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”.
In sostanza ciò che porta a dire addio al reddito di cittadinanza il 31 dicembre 2023, ma di fatto anche immediatamente, viste le condizioni per la richiesta della nuova misura. Al suo posto entra in scena un altro sostegno pensato per le persone in gravi difficoltà economiche, l’assegno di inclusione sociale. Destinato, generalmente – con alcune eccezioni particolari e altri requisiti -, a chi ha un Isee non superiore a 9.360 euro (come era previsto dal RdC). Le peculiarità sarebbero più controlli, sanzioni e percorsi formativi in sostanza obbligatori, perché la mancata partecipazione fa decadere il beneficio.
La proposta di legge sul salario minimo è stata avanzata dagli schieramenti politici dell’opposizione, quindi di centro-sinistra. Precisamente da: Sinistra Italiana, Più Europa, Partito Democratico, Azione, Movimento 5 Stelle e Europa Verde. Ne è uscita Italia Viva perché non condividerebbe tutti i punti presentati da questo gruppo, che in un modo o nell’altro gli appartiene, anche se non del tutto come intuibile dalla mossa adottata.
La proposta del salario minimo in Italia si basa su due articoli cardini della Costituzione, ovverosia l’articolo 36 e l’articolo 39. Partendo dal primo, recita: “Il lavoratore ha il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Continua con due commi. Ma la parte che interessa è soprattutto il primo comma. Invece, l’articolo 39 qui c’entra per una interpretazione, l’articolo prevede l’associazione sindacale libera, quindi viene tirata in ballo, come è giusto che sia, in tema di contrattazione collettiva nazionale. Tenuto conto anche di alcuni articoli previsti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (artt. 27, 28, 31 e 23).
Negli ultimi anni si è assistito alla nascita di troppe associazioni sindacali di scarsa rappresentanza nella Penisola. Si è in presenza, dunque, di contratti collettivi nazionali che non hanno efficacia piena nonostante ve ne siano moltissimi. Si pensi che nel 2019 il tasso di copertura dei contratti collettivi in Italia era al 99%. Inoltre, è anche vero che gli stessi sono estendibili ai lavoratori e alle imprese che non hanno aderito ad alcuno di essi. Insomma, una situazione abbastanza astrusa. Dati Eurostat del 2022, tuttavia, mettono in luce un altro fenomeno: in Italia vi è un elevato tasso di copertura, come visto. Ma sembrerebbe che l’11% dei lavoratori che rientrano nella precedente percentuale (che oggi probabilmente sarà variata un minimo) non ricevono il minimo previsto dai contratti stipulati tra le parti.
Ebbene, la proposta di legge nascerebbe per far fronte a questa mancanza e a quella di non avere un salario minimo legale. In particolare là dove non vi sia copertura da parte dei ccnl, anche se c’è chi estende altresì la propria proposta verso chi è già coperto. Tutte queste ragioni hanno portato ad una possibile soluzione: salario minimo di 9 euro l’ora; il quale comunque non può essere inferiore alla suddetta cifra. In aggiunta, si è pensata l’istituzione di una commissione che verifichi la rappresentanza dei lavorativi all’interno dei vari ccnl e quindi nelle associazioni sindacali.
La proposta di legge tirata in ballo dal centro-sinistra deriva, come anticipato qualche paragrafo fa, dalla direttiva dell’Unione Europea 2022/2041 del Parlamento e del Consiglio Europeo, emanata il 19 ottobre dello scorso anno. La direttiva – che non viene imposta come accade per i regolamenti -, la quale deve essere recepita e può essere adottata da tutti gli Stati membri dell’UE, parla di salario minimo.
Su 27 Paesi membri dell’Unione Europea il salario minimo legale è previsto o tutelato dai contratti collettivi in ognuno di essi. 21 Stati hanno fissato un salario minimo legale, come la Francia di 8,85 euro l’ora e la Germania di 12 euro l’ora, oppure Spagna di 1.000 euro al mese. Nei restanti 6 la retribuzione minima viene garantita dai contratti collettivi, come in Italia. Il caso spagnolo è parecchio interessante, e fornisce un’idea chiara di cosa significhi confronto fra le parti per garantire la miglior condizione ai lavoratori. L’accordo nasce da un confronto tra la più rilevante associazione sindacale e i due principali partiti di sinistra.
La direttiva dell’Unione Europea non impone nulla. Invita ad adottare le misure poste come semplici obiettivi alle Nazioni dove il tasso di copertura dei contratti collettivi nazionali non raggiunge l’80%.
Se si prende come esempio la condizione lavorativa in Sicilia, è risaputo, non risulta delle migliori. Purtroppo, vi sono alcuni rapporti di lavoro indecenti e non rispettati, ma ciò non è sicuramente solo causa della mancanza della soglia di un salario minimo legale.
Nell’Isola vi sono anche contratti di 5 o 6 euro l’ora: “È un dato di fatto, in Sicilia siamo in presenza di tantissimi contratti pirata che non rispettano i minimi tabellari. Noi diciamo: ok al salario minimo, perché eviterebbe numeri indecenti – come i numeri esposti sopra, afferma Alfio Mannino segretario generale Cgil Sicilia -, ma il vero problema è che serve una legge sulla rappresentanza che tuteli i lavoratori. I salari vanno aumentati. Un altro modo per farlo è aprire la strada agli investimenti per l’innovazione, cosa che qui non accade, oppure molto di rado. L’innovazione va sfruttata per migliorare la condizione produttiva, si pensi a luoghi come Gela, Milazzo; lì si fa uso soprattutto di energia basata sul fossile. L’Isola non può concentrarsi solo sul turismo e i servizi, non dimentichiamo il resto, anche l’agricoltura. Concludo con dei dati: in Sicilia vi sono circa 1.400.000 lavoratori, di cui 850.000 con contratti da dipendenti, la metà di questi, circa 400.000 sono lavoratori stagionali, part-time, precari”.
Altro punto dolente è questo in Italia, ossia la precarietà e l’instabilità del lavoro, come afferma anche il consigliere al Comune di Palermo, nonché membro del coordinamento regionale in Sicilia di Azione, Fabrizio Ferrandelli: “In Italia siamo in presenza di un fenomeno alquanto strano, le persone sono povere lavorando. Il salario minimo può essere la soluzione per evitare questo fenomeno, ma non è l’unica soluzione, cioè, servono altri interventi. In merito ai lavoratori vi è una scarsa rappresentanza, partendo sotto l’aspetto sindacale arrivando fino alla politica, andiamo a guardare l’astensionismo preoccupante. Questo deve portare a scatenare la consapevolezza dei siciliani e degli italiani in generale, richiamare l’attenzione dei cittadini non solo in quello che li tocca strettamente da vicino ma anche sui problemi di più ampio respiro. Sta di fatto che il salario minimo può essere utile, ma noi di Azione abbiamo anche presentato proposte per migliorare gli altri problemi legati al mondo del lavoro come l’invito a usufruire delle zes e l’industria 4.0, in tal modo si migliorerebbe anche la produttività. Aggiungo che, prendendo come esempio la nostra terra, vi è troppa precarietà. Una delle priorità è la stabilizzazione di chi si trova da anni con contratti precari, prendendo l’esempio palermitano, o anche siciliano, prima di indire nuovi concorsi comunali o regionali, bisogna stabilizzare”.
Poi arrivano le parole di Più Europa con la portavoce per la Sicilia, Palmira Mancuso, la quale ha dichiarato: “La questione è complessa. Il salario minimo è un aiuto valido, se venisse accolto e diventasse legge, per la contrattazione collettiva. In Sicilia, ma comunque in Italia, l’auspicio è che il Governo non faccia melina e ci si adegui al resto d’Europa al più presto. Ci sono categorie più avvantaggiate, ma pensiamo al resto, vi è chi non ha ancora copertura da Ccnl, in minima parte, ma ci sono. Può essere una norma anti-sfruttamento. Dove è assente ci sarebbe copertura. Come Più Europa abbiamo presentato altre proposte in Parlamento, una bocciata e una considerata per il decreto-legge, convertito in legge, in tema lavoro. Quella tenuta in considerazione serve per abbattere anche le differenze di genere con la pubblicazione, prima del colloquio, della retribuzione per la determinata posizione lavorativa – la Ral, presente in quasi tutti gli annunci di lavoro pubblicati al di fuori dall’Italia -. Sicuramente il dibattito e le proposte sul salario minimo sono un messaggio politico importante del centro-sinistra” termina Mancuso.
Infine, è intervenuto per il QdS anche il deputato del Partito Democratico all’Ars Mario Giambona, che si è espresso sul salario minimo dicendo: “Con questa proposta sul salario minimo il PD ha il merito di presentare temi concreti, come il problema del lavoro e dei lavoratori. Nell’ultimo periodo corrosi dall’aumento dell’inflazione. Il salario minimo è utile solo se potenzia il potere di contrattazione collettiva, ma che non sia assolutamente sostitutivo. I sindacati più importanti risultano i più rappresentativi, ma il problema, pure qui in Sicilia, è la proliferazione delle piccole associazioni sindacali che non rappresentano per nulla i lavoratori. Occorre affiancare le proposte a più attività ispettive, infatti, come PD all’Ars ho, e abbiamo, presentato più interrogazioni sul tema, perché abbiamo la possibilità di potenziare il ruolo e l’attività degli ispettori del lavoro. Il problema del nostro territorio è anche la rappresentanza, ma non aiuta la presenza di contratti farlocchi, c.d. pirata, lavoro nero, datori di lavoro non sempre corretti e un monte ore lavorativo inaccettabile. Vi è chi lavora 12 ore al giorno, non è assolutamente accettabile, occorre lavorare anche su questi aspetti. La soluzione potrebbe essere potenziare l’attività ispettiva, come detto poc’anzi. Quindi va bene il salario minimo, che preciso nuovamente, non sia sostitutivo alla contrattazione, però occorre un confronto continuo tra le varie parti. Un inizio per porre fine al lavoro povero”.
La maggioranza, il centro-destra dunque, si è detta non favorevole al salario minimo legale, e non avrebbe tutti i torti analizzando i fatti. Solo la possibile adozione di un salario minimo legale non risolverebbe per nulla la situazione in Italia, in quanto dalle contrattazioni collettive in atto vi è già un minimo retributivo stabilito, e in alcuni settori ben al di sopra dei 9 euro proposti. Il problema non finirebbe qui.
La trovata di recepire la direttiva e portarla in attuazione con le proposte sul salario minimo potrebbe essere il risultato di un centro-sinistra, in opposizione, pressoché debole, che faticherebbe a recuperare credibilità. Il guaio sarebbe se questo fosse solo un lancio di slogan per acchiappare consensi e farne un’arma politica, non avente il nobile fine di sollevare la situazione lavorativa in Italia. Ma è una congettura, possibile probabilmente, e niente di più. Come emerge anche da alcune dichiarazioni di cui sopra, il problema italiano non è solo il minimo retributivo.
Un Paese dove vi è un forte divario a livello produttivo, tra Nord e Sud, anche se non così alto se si tiene conto del rapporto redditi e prezzi nelle varie regioni. A parità di retribuzione, il potere d’acquisto al Sud è superiore rispetto al Nord (lo fa presente un interessantissimo studio pubblicato sul Regional Economy nel 2022, Produttività, salari e prezzi nelle regioni italiane, del professore di Politica Economica all’università Magna Graecia di Catanzaro Vittorio Daniele).
Uno dei problemi principali del lavoro in Italia è la quantità di tasse a cui sono sottoposte le aziende, che rendono quasi impossibile lo sviluppo delle piccole e medie imprese. Costi sul lavoro ingenti, ai quali si deve una scarsità di assunzioni. Quindi bisognerebbe ridurre anche questi costi – per la maggioranza la soluzione è il taglio del cuneo fiscale -. In fin dei conti, non è il tempo delle chiacchiere, serve una politica che trovi compromessi magari, si confronti, solo nell’esclusivo interesse dei cittadini.