Editoriale

Sanità, liste d’attesa a prenotazioni multiple

Il grande clamore mediatico relativo alle interminabili liste d’attesa viene speculativamente utilizzato per indicare la disfunzione della sanità pubblica, a conduzione pubblica, e di quella a conduzione privata.
La lamentazione continua che sentiamo in tutti i media, riportata da giornalisti poco informati – che non l’hanno bilanciata controllando almeno due fonti diverse -, riguarda la lunghezza del tempo necessario ad eseguire l’esame o la visita richiesta.

L’informazione obiettiva avrebbe dovuto attivare mezzi di ricerca alle fonti, per valutare effettivamente se le prenotazioni siano corrette o false. Ovviamente l’argomento in esame è diverso da regione a regione perché, com’è noto, ciascuna di esse è totalmente autonoma nel gestire la sanità.
In fondo, questo fondamentale servizio, istituito con legge del 1978, è stato un’anticipazione della legge che oggi viene chiamata di autonomia differenziata, contro la quale si sono scagliati i difensori del malcostume e dell’inefficienza.

L’autonomia in materia sanitaria di tutte le regioni e le province a statuto speciale ha portato a una differenza della qualità e della quantità dei servizi sanitari conseguenti, ma questo non è responsabilità del legislatore, bensì delle istituzioni regionali che agiscono con una competenza (o incompetenza) e efficienza (o inefficienza) misurate dai risultati.

Quali sono tali risultati? Uno tra essi è il turismo sanitario, secondo il quale una gran parte dei/delle cittadini/e che hanno bisogno di cure si spostano dal Sud al Nord, ove le strutture sono più efficienti. Di conseguenza esse incassano di più con l’emissione dei Drg, cioè le fatture delle prestazioni.

Torniamo alle liste d’attesa che sono la premessa delle prestazioni. Ci risulta che moltissimi malati non prenotino l’esame o la visita in un solo ospedale, ma in tre, quattro o cinque perché in molte regioni manca il Cup (Centro unico di prenotazioni); in altre regioni vi sono i Cup provinciali.
Tutto ciò comporta che chi ha bisogno di assistenza sanitaria, per assicurarsela, prenota in diversi ospedali della stessa provincia o di un’altra e quando riceve conferma per l’assistenza, non elimina le prenotazioni in altre strutture.

Vi è quindi una moltiplicazione falsa delle prenotazioni, il cui numero non è quello che viene sbandierato da chi protesta inutilmente e strumentalmente, bensì molto inferiore.
Ovviamente al guaio prima enunciato si potrebbe mettere rimedio se il ministero della Salute aprisse una piattaforma nazionale per le prenotazioni, la quale escluderebbe una seconda o terza prenotazione in un qualunque punto assistenziale del Servizio Sanitario Nazionale. Ma su questo punto al Ministero non ci sono notizie e neppure, riduttivamente, nei Centri unici di prenotazione regionali e provinciali.
La conseguenza di quanto disponiamo oggi è che vengono moltiplicate falsamente le prenotazioni e per conseguenza le liste d’attesa, che sono molte di meno di quelle enunciate.
Quando questi Cup nazionali, regionali e provinciali verranno attivati, non costituisce informazione fornita. Appena ne sapremo di più ve ne daremo notizia.

Altra denuncia in materia sanitaria è la carenza di medici. Vi è stata una recente riforma, a nostro avviso stolta, secondo la quale i/le laureati/e possono automaticamente esercitare la professione medica iscrivendosi al relativo albo professionale, ciò solo perché nei sei mesi antecedenti alla laurea hanno fatto un tirocinio presso un altro medico. Riteniamo stolta questa riforma perché è chiaro che un/a giovane medico, pur bravo/a nell’aver appreso la teoria, non ha alcuna esperienza pratica per curare i malati.
Ad ogni modo, la legge dice questo e sta ai malati scegliersi il medico idoneo.

C’è un’altra questione che vogliamo evidenziare e riguarda la perseveranza del Governo nel mantenere il numero chiuso nelle facoltà di medicina delle università pubbliche.
Se da un canto è necessario che molti medici si laureino, dall’altro non si capisce perché l’ingresso non possa essere aperto a tutti i/le giovani che vorrebbero fare i medici. Un’altra stoltezza italiana che non viene corretta.