L’ipotesi di passare da una comunicazione giornaliera dei contagi a una settimanale è al vaglio del governo Draghi ed è sintomatico di una volontà precisa: non già quella di far venir meno la trasparenza della situazione pandemica e men che meno di sottrarre dati fondamentali per la ricerca scientifica quanto piuttosto di uscire da una gestione caotica ed emergenziale della pandemia facendo leva sugli strumenti nuovi di cui disponiamo per combattere il virus e cioè i vaccini.
La diffusione del Covid-19 richiede la massima prudenza ma è evidente che non possiamo immaginare di trascinarci ancora i vecchi modelli “organizzativi” messi in piedi durante il primo lockdown. Se il governo Draghi sta pian piano prendendo consapevolezza della necessità di paradigmi nuovi, meno approssimativi e più ragionati, il bombardamento dei media attorno ai temi Covid continua a far danni e a mietere vittime. Le fake news costituiscono una minaccia reale per la società tutta perché, insieme alla colpevole complicità di molti giornali alla disperata ricerca di click (e alla sovraesposizione mediatica di scienziati), permettono alla disinformazione di prendere il sopravvento e di condizionare pesantemente l’opinione pubblica e le scelte dei cittadini su temi fondamentali come quelli legati alla salute.
Dispiace vedere come in Sicilia il dibattito sulla scuola sia degenerato in teatrino. A poche ore dal rientro, previsto per giovedì e stabilito dal governo regionale dopo la task force con il Cts, molti sindaci come schegge impazzite hanno deciso di chiudere le scuole, “sopraffatti” dalle pressioni delle lobby che remano contro l’interesse generale e che dei giovani se ne infischiano. Oltre ad essere pretestuose ed irresponsabili, le resistenze registrate in questi giorni di fatto hanno negato ai giovani il sacrosanto diritto all’istruzione e alla socialità. Le surreali ordinanze sindacali emesse a macchia di leopardo in Sicilia hanno gettato nello sconforto i ragazzi e nel panico le famiglie, costrette a fare i salti mortali per conciliare vita familiare e lavorativa e a rivedere per l’ennesima volta la propria organizzazione. Tutto ciò mentre fuori i ragazzi hanno l’opportunità di incontrarsi liberamente dal momento che centri commerciali, bar e ristoranti sono aperti.
L’altro fronte caldo è quello della sanità, ormai al collasso. File interminabili per i tamponi, saltato il tracciamento dei positivi, Asp in tilt a causa del sovraccarico di lavoro delle ultime settimane.
Risultato? Professionisti, già ridotti al lumicino a causa del personale assente perché positivo o in quarantena, costretti a turni massacranti e vittime di aggressioni da parte di cittadini infuriati. C’è di più. Qualche giorno fa i chirurghi siciliani hanno lanciato l’allarme: “Ormai operiamo solo le urgenze”. Che ne sarà dunque dei malati non Covid?
Roberto Speranza, ministro della Salute, annuncia lo stanziamento di un miliardo per il recupero di interventi, screening e visite rinviati a causa della pressione ospedaliera in seguito al Covid. “Nel decreto agosto 2021 – ha spiegato – abbiamo stanziato mezzo miliardi per il recupero di quelle risorse e anche nell’ultima legge di bilancio un altro mezzo miliardo dedicato a questa finalità. Dobbiamo insistere perché gli investimenti sulla ricerca siano centrali nelle nostre politiche”. La lotta al cancro, ha aggiunto Speranza, è “un tema particolarmente rilevante per il futuro dell’umanità. Nel 2020 sono stati 2,7 milioni i casi diagnosticati di cancro a livello europeo e circa 350mila vengono invece diagnosticati annualmente nel nostro paese. L’Italia sostiene con grandissima convinzione il Piano europeo contro il cancro e sta lavorando incessantemente attorno intorno alle 10 iniziative faro che questo piano dispone”, ha concluso il ministro.
Ma torniamo alla Sicilia. Il direttivo della Ssc (Società Siciliana di Chirurgia), ha fotografato una situazione regionale sanitaria in chiaro affanno: “Capita talvolta già oggi, e capiterà sempre più spesso, che non sia possibile operare neppure i pazienti affetti da neoplasie perché non si dispone di sedute operatorie ordinarie o perché non si ha la disponibilità del posto di terapia intensiva per la sorveglianza del paziente nel postoperatorio”.
Così come nel resto d’Italia, a seconda dei diversi presidi ospedalieri dell’isola, gli scenari sono di posti letto di chirurgia ridotti, infermieri positivi al virus, sottoposti a quarantena o trasferiti in reparti Covid e terapie intensive destinate quasi esclusivamente ai contagiati. Sono passati ormai quasi due anni dalla prima ondata. Purtroppo lo scenario che l’isola aveva evitato nel corso dei primi mesi del 2020, si sta abbattendo in maniera violenta sul sistema sanitario regionale sul sistema sanitario regionale in queste ultime settimane.
“I dati parlano chiaro – afferma il presidente della Società Siciliana di Chirurgia Giuseppe Navarra – attualmente in Sicilia si operano quasi dappertutto solo urgenze e pazienti classificati in classe A. I chirurghi avevano iniziato da qualche mese ad operare pazienti nel corso di sedute operatorie aggiuntive al fine di abbattere le liste di attesa lievitate a causa delle ondate pandemiche, ma i risultati di questo sforzo organizzativo saranno vanificati dallo stop di questi giorni”.
“La situazione difficile, oggi, potrebbe diventare esplosiva qualora la curva pandemica non accennasse ad appiattirsi. Capita talvolta già oggi, e capiterà sempre più spesso – prosegue Navarra – che non sia possibile operare neppure i pazienti affetti da neoplasie perché non si dispone di sedute operatorie ordinarie o perché non si ha la disponibilità del posto di terapia intensiva per la sorveglianza del paziente nel postoperatorio”
Anche i consumi risentono del clima crescente di paura che si respira ormai da tempo. Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi ha inviato una lettera ai ministeri del Lavoro e del Turismo evidenziando che nel 2020 i consumi nella ristorazione sono calati del 37,4%, pari a 32 miliardi di euro rispetto al 20219. A questi si aggiunge il 28% dei consumi perduti nel 2021 rispetto all’anno pre pandemia: altri 24 miliardi, per un totale di 56 miliardi di euro in meno spesi da famiglie e turisti, italiani e stranieri, all’interno dei pubblici esercizi.
Nel 2021 il tema della pandemia ha dominato i social e l’informazione. è quanto emerge da una ricerca SocialCom-Blogmeter pubblicata a dicembre. Nel mese di novembre 2021 sono stati pubblicati oltre 553.875 articoli contenenti le parole Covid, pandemia e Green pass.
Nel report si legge un confronto con altri temi: nello stesso periodo temi come Black Friday (35.545 articoli), Natale (105.110) e Governo (208.066) contano un numero di articoli pubblicati decisamente minore.
Numeri che hanno spinto Walter Quattrociocchi, professore e direttore del Center of Data Science and Complexity for Society presso l’Università Sapienza di Roma a parlare di un “collasso informativo” che ha fatto esplodere la disinformazione.
Nell’era digitale, l’informazione prodotta dai cittadini sui social occupa lo stesso “spazio” di quella prodotta dai professionisti dell’informazione.
La domanda sorge spontanea: come riconoscere l’informazione dalle fake news? Risposta: con il metodo giornalistico, cioè lo spirito critico (chi l’ha detto? è vero?), l’attenta analisi della notizia e della sua attendibilità attraverso la verifica delle fonti (ufficiali).
Facile a dirsi, difficile a farsi. Lo sa bene anche Luca Ferlaino, fondatore SocialCom: “Gli italiani – ha detto – sono stati molto disciplinati, durante i momenti più difficili della pandemia. Ma va detto che è molto difficile spiegare alla gente l’unico vero messaggio che può essere veicolato: il vaccino riduce la possibilità di essere ricoverati in terapia intensiva. Difficile comunicare questa verità. Una verità insicura. Il problema è quindi nostro, dei comunicatori”.
Mea culpa.