Interrogammo i templi di Selinunte, il loro silenzio aveva più peso di tante parole. Così scriveva Jean Paul Sartre alla vista dei ruderi di quella magnifica colonia greca, ricca e potente, che si affacciava sul Canale di Sicilia, distrutta dai Cartaginesi nel 409 a.c.
Il silenzio che si respira nei mesi meno estivi e pullulanti di turisti è denso, solenne come le colonne doriche del tempio G. E come dice Sartre è un silenzio pesante, che ci racconta più di effluvi retorici. Siamo di fronte ad un mare azzurro, per secoli, millenni, tinto dal rosso del sangue delle guerre e delle migrazioni. Il paesaggio di quei quasi 400 ettari di parco è capace di fare immergere il viaggiatore, come Goethe o Maupassant, nel senso della Storia. Di popoli e di culture, ma anche di colture. Siamo nella terra culla dell’Ulivo portato dai Greci e qui esploso tra colline dolci e fertili. I greci hanno scelto di piantare qui una cultivar che solo da queste parti fa olive di una potenza espressiva, di bellezza e goduria gustativa, fuori misura, o come si dice qui, calibro. La Nocellara del Belice. Una miniera a cielo aperto di olive e olio di un verde brillante inusitato. L’olio per i greci era molto, moltissimo, aveva il senso del sacro, oltre che della più prosaica dieta mediterranea. Il parco archeologico, oggi rinato da sapiente gestione, miracolosa a queste latitudini, è immerso negli ulivi, come un Getsemani più vetusto. Si dovrebbe valorizzare enormemente questo patrimonio di biodiversità tutto siciliano, magari con una Casa dell’olio, una Olioteca, che spieghi, anche gustativamente, cosa è l’olio e la sua antica e profonda cultura. Se poi accompagnato dal pane nero di Castelvetrano si raggiungerebbe la sintesi perfetta. La Sicilia è costituita, una costituzione arcaica e materiale, di grano e olio. C’è un prezioso reperto nel museo del parco che parla di sacrifici da versare come tributo agli dei per le Olimpiadi, e ci sovviene il sacrificio di tanti schiavi moderni, ancora oggi, sacrificati a Doha per il Dio del Calcio.
Selinunte è una Sicilia preservata da scempi e brutture, dal Parco la vista non si offende e tutto esprime Bellezza. Ci vorrebbe un teatro che alle spalle abbia il mare di Sicilia e davanti le colonne doriche con cui riempire di arte questo posto pieno di luce, Son et Lumière, a contrasto del silenzio profondo, per farlo risaltare di più.
Così è se vi pare
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