Ambiente

Siccità, quanti sprechi in Sicilia: i dati impietosi di Legambiente

Negli ultimi anni, la Sicilia ha dovuto affrontare una delle peggiori crisi idriche della sua storia. Una situazione che sembra destinata a peggiorare a causa del cambiamento climatico e delle carenze strutturali. L’Isola ha visto una drastica riduzione delle precipitazioni, come riportato dal servizio agrometeorologico regionale che ha avuto come diretta conseguenza una crisi idrica senza precedenti. Questo fenomeno non solo ha messo in ginocchio il settore dell’agricoltura – come a più riprese raccontato ai nostri microfoni da sindacati e associazioni di categoria – ma anche la qualità della vita dei cittadini. E a poco sono fin qui serviti i 20 milioni di euro stanziati dopo tre mesi da parte della Regione in via emergenziale per gli allevatori: il foraggio serve a poco, gli animali sono stati in buona parte abbattuti.

Dati impietosi per la Sicilia

A pesare non solo i campi aridi ma anche le prospettive future. Stando al report diffuso da Legambiente che prende in considerazione il fenomeno, dalle reti si perde acqua per 43 milioni di italiani. In Sicilia le perdite della rete idrica arrivano a toccare addirittura picchi del 75%. Tradotto: tre quarti della poca acqua già a disposizione, si disperde e viene sprecata. Un lusso che, come racconta il meteo di questa estate, la Sicilia non può più permettersi. Differenza netta anche tra Nord e Sud: le perdite negli acquedotti “si attestano mediamente al 42%” su base nazionale, ma la situazione cambia “tra il Nord Ovest (32%) e il Sud (51%)”. A tal proposito, la crisi idrica sta coinvolgendo tutte le province siciliane, alcune in misura più ingente di altre. A farne le spese sono soprattutto il nisseno e l’ennese, dove l’acqua si intravede col binocolo. Ad Agrigento i cittadini sono scesi in piazza per richiedere il dissalatore, con le campagne ormai aride e il raccolto andato perduto.

Senz’acqua nei rubinetti – o con rifornimenti a giorni alterni – le città e le province di Messina, Trapani. Palermo e le zone interne del catanese e siracusano. Meglio va in provincia di Ragusa, dove tra l’altro è di recente stato scoperto un importante bacino idrico nel sottosuolo del quale la Regione ha deciso di avviare studi per comprendere la possibilità di utilizzo di quell’acqua.
Se il prezioso fluido manca, non è però dovuto solo a una assenza delle piogge che avvicinano la Sicilia alle regioni del Nord Africa a causa del cambiamento climatico. A pesare sono soprattutto le condutture colabrodo e una generale rete vetusta. Dati evidenziati non a caso dall’ultimo report Goletta Verde di Legambiente.

Laghi e dighe senza acqua

Secondo le stime dell’associazione ambientalista, mentre le precipitazioni sull’Isola sono diminuite drasticamente, le temperature medie sono al contempo aumentate. Questo ha portato a una riduzione delle riserve d’acqua e a una maggiore evaporazione, complicando più che in passato la gestione delle risorse idriche da parte del Dipartimento regionale. La scarsità d’acqua è diventata evidente nei laghi e nelle dighe, che sono le principali fonti d’acqua dolce per la Sicilia. Emblematiche le immagini provenienti dal lago di Pergusa e da quelli dell’entroterra palermitano, quasi del tutto prosciugati. Oltre ai problemi legati al clima, come detto, la Sicilia soffre anche di gravi inefficienze nella gestione delle sue infrastrutture idriche. La rete di distribuzione dell’acqua è datata e mal mantenuta, con perdite che in alcune aree raggiungono percentuali preoccupanti.

“Quest’anno, per via della siccità, Goletta dei Laghi in Sicilia non è riuscita a fare i campionamenti per monitorare lo stato di salute delle acque dei laghi Soprano e di Piana degli Albanesi, oltre che di Pergusa”, spiega Legambiente, che sottolinea le criticità delle “opere mai finite come i depuratori e le reti fognarie, le 42 gradi dighe che ancora oggi sono in esercizio limitato, le 81 in fase di esercizio sperimentale con limitazione all’uso e le due in costruzione, senza considerare l’ammodernamento e lo sghiaiamento di quelle esistenti”. Questo non solo riduce la quantità disponibile per i cittadini e per l’agricoltura, ma aumenta anche i costi di gestione del sistema idrico, che nel frattempo lascia però dietro di sé sprechi di denaro pubblico come nel caso della diga incompiuta di Blufi, della quale la Regione è tornata a occuparsi solo di recente. Il governo regionale ha spesso promesso interventi per ammodernare le infrastrutture, ma i risultati sono stati finora insufficienti.

I dissalatori e la crisi dell’agricoltura

L’agricoltura, che rappresenta un settore chiave per l’economia siciliana, è particolarmente colpita dalla crisi idrica. Le colture tradizionali dell’isola, come agrumi, ulivi e viti, richiedono grandi quantità d’acqua, e la riduzione delle risorse idriche ha già causato significativi danni economici, con ripercussioni che saranno visibili sulle tavole e nei portafogli dei siciliani già nel prossimo autunno.
Proprio in campo agricolo, stavolta su base nazionale, sarebbe opportuno cambiare strategia: “In Italia solo il 4% del totale è effettivamente destinato al riutilizzo in agricoltura, a fronte di un potenziale del 23%, secondo Enea”. La realizzazione di dissalatori è ben vista proprio da Legambiente, con la proposta pervenuta dalla Stretto di Messina di predisporne uno per la città dello Stretto e che resterebbe in dotazione alla città al termine dei lavori per il ponte.

Molti sono stati fin qui gli agricoltori costretti a ridurre la produzione o a irrigare i campi con acqua di qualità inferiore, compromettendo la qualità dei prodotti. Un processo, quest’ultimo, autorizzato dalla Regione Sicilia soltanto a fine luglio con la facilitazione burocratica per l’accesso a scopo irriguo di acqua non potabile. La crisi idrica in Sicilia non presenta solo ripercussioni economiche, ma anche ambientali e sociali. La riduzione dei livelli d’acqua nei laghi e nei fiumi ha un impatto devastante sugli ecosistemi locali, mettendo a rischio numerose specie animali e vegetali. La scarsità d’acqua ha portato a un aumento dei costi per i consumatori, con molte famiglie che si trovano in difficoltà nel far fronte alle bollette o costrette, soprattutto nelle aree più isolate, a doversi rifornire attraverso il mercato nero dell’acqua. Affrontare la crisi idrica in Sicilia richiede un approccio coordinato e a lungo termine, che coinvolga sia le istituzioni locali che quelle nazionali. È necessario un investimento significativo nell’ammodernamento delle infrastrutture idriche, per ridurre le perdite e migliorare l’efficienza del sistema. Emblematico il caso di Messina, città che si approvvigiona in primo luogo dalla sorgente di Fiumefreddo.

Impegno collettivo e gestione oculata delle risorse per superare la crisi idrica

Qui AMAM e Comune sono intervenuti nell’ultimo anno con interventi di ammodernamento della rete e con il doppio obiettivo: ridurre le perdite da oltre il 50% al 35% e aumentare l’afflusso idrico verso la città. Se quest’ultimo passaggio si è concluso la scorsa primavera, per completare il primo obiettivo Messina ha usufruito di un finanziamento da oltre 20 milioni di euro provenienti da fondi PNRR. I lavori sono appena cominciati e i 150 km di rete cittadina saranno sostituiti entro l’estate 2026. Ma non basta.
Perché, come dichiarato giovedì mattina in una conferenza congiunta dal deputato regionale di Sud chiama Nord e sindaco di Taormina, Cateno De Luca, e dal primo cittadino di Messina, Federico Basile, per ridurre gli sprechi solo per la città peloritana sono necessari altri 60 milioni di euro. La Regione, per tutta la Sicilia, ne ha però stanziati soltanto 20, con fondi provenienti dal budget FSC smistato dal governo Meloni, con il placet del governo Schifani, in direzione del ponte sullo Stretto.

La crisi idrica in Sicilia rappresenta una delle sfide più urgenti e complesse per l’isola. Tuttavia, con un impegno collettivo e una gestione oculata delle risorse, è ancora possibile invertire la tendenza e garantire un futuro sostenibile per l’Isola, che potrebbe avere le proprie risorse già nel suo sottosuolo. Questo richiederà non solo investimenti e riforme strutturali, che l’opposizione sta chiedendo a gran voce al governo nazionale e a quello locale, ma anche un cambiamento culturale – e non più clientelare – nella gestione dell’acqua. I 220 milioni di euro stanziati dall’Assemblea regionale siciliana in seguito all’approvazione della manovra “ter”, però, non basteranno.