PALERMO – Aumentano i lavoratori domestici in Sicilia. O almeno, aumentano quelli regolarmente registrati. Sono ben 46.537 le famiglie che hanno un domestico in Sicilia nel 2020, con un incremento del 9,1% rispetto al 2019. Si tratta di appena il 4,7% del totale nazionale.
In maniera del tutto inaspettata, secondo i dati messi a disposizione dall’Inps, in Sicilia come in generale al Sud si registra la più bassa incidenza femminile: nell’Isola ci si ferma al 60,3%, e si rimane sotto il 90% anche in Campania, Lazio e Calabria, mentre si supera il 95% di donne in Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta. Se si guarda ai rapporti familiari, in Sicilia sono 2.812 i lavoratori legati da parentele col proprio datore di lavoro.
Buona parte del merito per l’emersione di rapporti di lavoro domestico irregolari va dato al decreto “Rilancio”, emanato durante una delle fasi più dure della pandemia da Covid19, che ha portato all’instaurazione, nel biennio 2020-2021 di circa 125 mila nuovi rapporti di lavoro sul territorio italiano. In Sicilia sono emersi 3.315 lavoratori, di cui il 41,5% di badanti e il 55,9% al di sotto dei 40 anni, per una percentuale, sul totale, di ben l’11,1%.
Aumenti eccezionali sono stati registrati in generale in tutto il Sud Italia e in particolare in Basilicata (+22,2%), Puglia (19,4%), Campania (13,2%). L’età media dei lavoratori domestici è di 48,9 anni, pur registrandosi 1.586 lavoratori sotto i 19 anni di età. In media le ore lavorate sono 26,6, in leggero calo rispetto al 2019 (27,1) e solo nel 38,6% dei casi i lavoratori hanno completato l’anno lavorando quindi più di 50 settimane, perdendo esattamente sette punti percentuali rispetto all’anno precedente (45,6%). I lavoratori più giovani si registrano in Calabria e Sicilia (46,8 anni), mentre in Valle d’Aosta e Trentino si trovano i lavoratori che lavorano più ore a settimana, rispettivamente 36,2 e 33,7. In Sardegna non si superano le 18 ore settimanali (17,2).
D’altra parte, va registrata la sempre maggiore frequenza, nelle case italiane, di una condizione di convivenza tra lavoratori e datori di lavoro domestico. Si tratta, in Italia, di quasi 220 mila rapporti di lavoro, pari a circa un quinto del totale. In termini assoluti, le regioni con più rapporti di lavoro in convivenza sono Lombardia, Emilia Romagna e Toscana, mentre gli incrementi maggiori nel 2020 si sono registrati al Sud.
Tutto ciò si lega indissolubilmente al fatto che, nonostante la continua prevalenza delle colf (52%) sulle badanti, negli ultimi anni stanno aumentando le assunzioni di quest’ultime, a causa, comprensibilmente, dell’elevata presenza di anziani nel nostro Paese, che porta ad aver maggior bisogno di personale addetto all’assistenza, mentre gli anni di crisi economica hanno scoraggiato l’assunzione di personale dedito alle sole pulizie. Il settore è ampio e ha un peso economico non indifferente: secondo il rapporto annuale sul lavoro domestico stilato dall’Osservatorio nazionale Domina, sono quasi 4,5 milioni di persone coinvolte, con un contributo al Pil per oltre 16 miliardi, senza contare che buona parte dei lavoratori rimane nel sommerso, per una percentuale di irregolarità calcolata dall’Istat di circa il 57%.
Il settore è caratterizzato da una forte presenza straniera (68,8% del totale), soprattutto dell’Est Europa, e da una prevalenza femminile (87,6%), nonostante l’aumento della componente maschile e di quella italiana. Considerando la componente irregolare, si stimano 2,3 milioni di datori di lavoro domestico totali. Per la gestione dei lavoratori domestici, le famiglie italiane nel 2020 hanno speso un volume complessivo di 14,9 miliardi.
L’impegno dei datori di lavoro domestico si traduce inevitabilmente in un risparmio per le casse pubbliche, rendendo di fatto le famiglie veri e propri attori di welfare. Il risparmio per lo Stato si può quantificare in 11,6 miliardi (0,7% del Pil), pari a quanto lo Stato dovrebbe spendere se gli anziani accuditi in casa venissero ricoverati in struttura. Tra i datori di lavoro, oltre un terzo si concentra in Lombardia e nel Lazio (complessivamente il 34,7%).