Sicilia

Sicilia fragile, aumentano le diseguaglianze sull’Isola: “Grave carenza di risorse”

Difficile vivere in Sicilia, difficile riuscire ad avere accesso a tutte quelle risorse che permettono ad un giovane di crescere e affermarsi secondo le proprie capacità ed aspirazioni. Un percorso monco in partenza, perché non è permesso ai siciliani di partire con le stesse occasioni che si presentano a chi vive, ad esempio, nel Nord del Paese. Il divario rispetto al resto della penisola è netto, e non tiene conto del grado di urbanizzazione del contesto in cui si vive, ma è omogeneo su tutto il territorio regionale. In pratica non importa che si viva a Palermo o in un paesino sulle Madonie, si sarà comunque svantaggiati. Una condizione di assoluta fragilità che rende difficile ben sperare per il futuro economico e sociale della regione. È quanto viene fuori dal 32° rapporto annuale dell’Istat che esamina, in una visione integrata, i cambiamenti demografici, economici e sociali del Paese in una prospettiva di medio-lungo periodo, mettendo in luce i passi avanti compiuti e le difficoltà, vecchie e nuove, che le sue istituzioni, le imprese e la società civile sono chiamati ad affrontare.

Gli indicatori

Nel rapporto è stato presentato per la prima volta un indicatore multifattoriale che misura i divari territoriali in termini di disponibilità di risorse, misurate attraverso indicatori di contesto familiare, scolastico e del territorio, ed esiti educativi, misurati in riferimento al percorso di istruzione e alle competenze acquisite. Su tutto il territorio regionale l’Istat ha rilevato una grande carenza di risorse rispetto al dato medio nazionale di 100, arrivando ad un indice di +114 (con il segno meno invece si indicano le migliori condizioni rispetto sempre al dato medio, ndr). In Calabria, per esempio, lo svantaggio è più accentuato nelle zone rurali e minimo nelle città, mentre in Campania sono le città che presentano situazioni critiche in termini di risorse. Tra le regioni del Mezzogiorno, spiccano per minori carenze di risorse le città della Basilicata e della Sardegna, senza mostrare alcuna variazione in relazione al grado di urbanizzazione. La distribuzione territoriale dei valori dell’indice riferito ai fattori di rischio per gli esiti educativi presenta una forte variabilità, con una polarizzazione significativa: da un lato, Veneto, Marche e Umbria, dove tutti i Comuni, a prescindere dal grado di urbanizzazione, siano essi città, piccole città e sobborghi, o zone rurali, mostrano un evidente vantaggio rispetto al valore medio nazionale; dall’altro, Sicilia e Sardegna, dove si osserva un forte svantaggio in tutti i tipi di Comuni.

La fragilità

Nel rapporto viene proposto anche un ulteriore indice multidimensionale, chiamato “Fragilità comunale”, che descrive l’esposizione dei territori ai rischi di origine naturale e antropica, nonché alle condizioni di criticità connesse con le caratteristiche demo-sociali della popolazione e del sistema economico-produttivo. Nel 2021, i territori con livelli di fragilità massima o molto alta sono il 16% del totale dei Comuni italiani (poco meno di 1.300), nei quali risiede l’8,7% della popolazione. Nel Mezzogiorno, tuttavia, ricadono in queste classi il 40,2% dei Comuni e il 24,4% della popolazione. In Sicilia, Campania e Calabria si arriva a circa un terzo della popolazione. All’opposto, nelle due classi con fragilità minima o molto bassa, ricadono il 25,1% dei Comuni e il 41,9% della popolazione. Rispetto al 2018, nonostante il permanere di uno squilibrio territoriale molto ampio, il calo della quota di comuni in condizioni più critiche è stato osservato in tutte le regioni del Mezzogiorno, a eccezione dell’Abruzzo.

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