Naso che cola e stanchezza: al momento sono questi i sintomi che sembrerebbero associati più di frequente alla variante Omicron del virus SarsCoV2, ma i dati in proposito sono ancora preliminari e molto pochi.
In molti tendono ad associare la nuova variante Covid Omicron a un raffreddore, qualcosa di simile all’influenza stagionale. Almeno per i vaccinati. Seppur più contagiosa della variante Delta (cinque volte di più si stima) Omicron sarebbe meno virulenta. Ma le cose non stanno proprio così.
Abbiamo preso in considerazioni i dati dell’ultima influenza pre pandemia (anno 2019) e abbiamo provato a confrontarli con quelli del Covid, variante Omicron, di queste ultime settimane. Ovviamente è un confronto che ancora non può essere fatto in quanto Omicron è in via di evoluzione e ancora non se ne conoscono bene gli effetti, si hanno solo prime evidenze.
Grazie al Sistema di sorveglianza integrato dell’influenza InfluNet – coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) –per la stagione influenzale 2019-20 è stato possibile delineare bilancio in termini di impatto sulla popolazione italiana.
Dall’inizio della sorveglianza (fissata al 14 ottobre 2019), fino alla settima settimana del 2020, sono stati stimati circa 5.632.000 casi di sindrome simil-influenzale in tutto il Paese.
I dati della sorveglianza delle forme gravi e complicate di influenza confermata in laboratorio in pazienti ricoverati in terapia intensiva mostrano che dall’inizio della sorveglianza erano stati confermati 157 casi gravi di influenza (tra cui 30 decessi). L’età mediana dei casi segnalati è di 61 anni (range 1-91) e il 78% ha più di 50 anni. L’82% dei casi gravi e il 97% dei decessi da influenza confermata segnalati al sistema presentano almeno una patologia cronica preesistente.
Questi dati servono a far capire che Omicron, per quanto sembri configurarsi come variante meno virulenta di Delta, non possa considerarsi come una normale influenza. Stando agli ultimi dati dell’ISS (bollettino del 27 dicembre) i morti in un solo giorno a causa del Covid sono stati 142. Cinque volte di più di quante ne abbia fatti la “normale” influenza nel 2020.
I primi arrivano dalla ricerca britannica pubblicata sul British Medical Journal e condotta dal King’s College di Londra in collaborazione con l’azienda Zoe, impegnata in studi epidemiologici sulla pandemia di Covid-19.
Secondo la ricerca sarebbero cinque i sintomi principali: naso che cola, mal di testa, senso di affaticamento, starnuti e mal di gola. Gli stessi autori dell’articolo rilevano che si tratta solo di prime indicazioni e molto parziali, basate sui casi positivi osservati a Londra, dove la variante Omicron è molto più diffusa che nel resto della Gran Bretagna. Il governo britannico ha poi aggiunto alla lista febbre, tosse e perdita di olfatto e gusto, sebbene questi sintomi siano più associati alla variante Alfa.
Tosse, senso di stanchezza e naso che cola sono, in quest’ordine, i sintomi indicati dai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie degli Stati Uniti (Cdc), secondo i quali la perdita di gusto e olfatto sarebbero meno diffusi.
L’epidemiologa Katherine A. Poehling, consulente dei Cdc, osserva comunque che i sintomi finora individuati si basano sui dati osservati in alcuni casi positivi e non su studi scientifici.
“E’ prematuro parlare di sintomi perché non ci sono ancora dati affidabili pubblicati” anche per il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca. Quello che invece indicano i dati provenienti da Scozia e Nord Europa, prosegue il virologo, è che “i casi provocati dalla variante Omicron sono associati a un’ospedalizzazione decisamente inferiore, stimata due terzi in meno, ma non è chiaro se questo si debba alla copertura vaccinale o a una minore reale virulenza della Omicron”, ha aggiunto riferendosi a caratteristiche del virus come maggiore trasmissibilità, fuga dagli anticorpi neutralizzanti generati dal vaccino e maggiore capacità di replicarsi.
Dario Raffaele