L’emergenza pandemica e le sue numerose conseguenze hanno riacceso l’attenzione su temi quali cibo ed alimentazione. Tra le realtà che se ne occupano quotidianamente c’è, senza dubbio, Slow Food, che ha recentemente rinnovato i suoi organi di governo italiani ed ha eletto, nel Consiglio Direttivo Nazionale, la catanese Roberta Billitteri. Il Quotidiano di Sicilia l’ha intervistata per conoscere la sua storia e per approfondire progetti e sfide future dell’associazione fondata da Carlo Petrini.
Come è arrivata a Slow Food Italia? Qual è stato il suo percorso professionale nel settore agroalimentare?
“Dopo una laurea in Scienze Politiche a Catania ed un Master in Affari Internazionali a Milano mi sono occupata di Comunicazione, Fund Raising, Scambi Giovanili e Turismo Responsabile. Ho incontrato Slow Food nel 2009 quando ho scelto di trasferirmi, insieme a mio marito che ne era originario, a Polizzi Generosa, piccolo Comune nel cuore del Parco delle Madonie, per occuparmi di “agri-cultura” e coltivare il Fagiolo Badda che era stato riconosciuto Presidio Slow Food. E in Slow Food ho ritrovato quei valori e quei principi che erano alla base della mia scelta di vita e di lavoro. Ed ho scoperto che erano condivisi: sono entrata dunque a far parte non solo di una Associazione ma anche di una rete di persone e di relazioni, una moltitudine di individui e comunità in tutto il mondo, un movimento… il Movimento del Cibo. Nel 2014 sono diventata Presidente dell’Associazione dei Produttori del Presìdio del Fagiolo Badda. Abbiamo recuperato e deciso di coltivare anche il Peperone di Polizzi Generosa per il quale, nel 2016, abbiamo ottenuto il riconoscimento di Presìdio Slow Food. Dal 2016 un altro importante impegno: avviamo “Il Gusto dei Colori” un piccolo laboratorio di trasformazione di frutta, ortaggi e legumi, per lavorare i Presìdi (ma non solo) in modo artigianale e genuino. Dunque: produttrice, trasformatrice e custode di biodiversità e, dal 4 luglio di quest’anno, membro del Consiglio Direttivo di Slow Food Italia”.
Quali sono i suoi obiettivi personali e quelli dell’associazione da qui al 2025?
“Stiamo attraversando una crisi non soltanto sanitaria ma di dimensioni globali, che si declina in tutte le dimensioni: economica, sociale, climatica, alimentare, culturale e umana. Tutto è interconnesso: perdita di biodiversità, cambiamenti climatici, sistemi di produzione del cibo e sicurezza alimentare, crisi pandemica e non… Siamo consapevoli che è necessario, anzi urgente, un cambiamento di paradigma nel modo di produzione del cibo, di utilizzo del suolo e delle risorse, basato su un ripensamento del rapporto uomo/ambiente. Perché il tema del cibo lega in modo trasversale l’ambiente, l’agricoltura, le attività di trasformazione, la salute, la cultura e l’educazione, la ricerca, il commercio e il turismo. Il cibo è strumento di azione politica. Per queste ragioni, come Slow Food crediamo si debba continuare a lavorare per riaffermarne la centralità. E parafrasando Carlo Petrini, abbiamo il dovere di agire il cambiamento, di esserne interpreti e co- protagonisti. In questo senso, obiettivi personali (come componente del Consiglio Direttivo nazionale) e obiettivi dell’Associazione coincidono perfettamente!”.
Tra i tanti punti toccati nel manifesto presentato al congresso nazionale merita particolare attenzione quello relativo alle mense scolastiche. Come intendete agire per renderle migliori e “più sane”? Quanto sarà importante, in questo processo, il legame con il Made in Italy e quindi con la tutela e la difesa delle varie eccellenze locali?
“Il nostro modello di mensa (non solo scolastica ma anche, ad esempio nelle carceri, negli ospedali, nelle RSA…) esprime un’idea precisa: la mensa è intesa come un diritto e non un servizio, ed è anche strumento di conoscenza e relazione. E’ il luogo dove il “cibo buono, pulito e giusto per tutti” trova una delle sue più naturali espressioni. Ed è anche uno spazio, non solo luogo fisico, dove si impara cos’è la sostenibilità nella produzione alimentare, si pratica l’intercultura e si valorizzano le differenze, a partire dalla biodiversità, sulla base della imprescindibile attenzione ai più deboli”.
Come?
“Attraverso approvvigionamenti più equi e sostenibili grazie alla creazione di sistemi locali del cibo che valorizzano le produzioni locali, sostenibili e accessibili a tutti. Questo significa che le materie, prime o trasformate, ingredienti dei pasti devono consistere in prodotti freschi, provenienti da coltivazioni agro-ecologiche e da allevamenti non intensivi e rispettosi del benessere animale; che vanno sostenute le filiere produttive corte e virtuose nelle quali, i produttori preferibilmente di piccola e media scala, attuano pratiche agro-ecologiche e generano lavoro buono e retribuito dignitosamente”.
Tra gli effetti collaterali della pandemia c’è, certamente, la crisi delle ristorazione: come immaginate di operare per fare rete e sostenere la ripartenza del settore?
“L’Alleanza dei Cuochi di Slow Food è già modello di buone prassi, condivisibili e replicabili. La crisi pandemica e le conseguenti restrizioni hanno sottolineato ancora di più la forza di reti come questa, che hanno come obiettivo principale la valorizzazione del cibo prodotto localmente con la scelta e l’uso di ingredienti la cui produzione ha un minor impatto ambientale. Soltanto attraverso scelte critiche e consapevoli si può fare la differenza: da parte dei cuochi/ristoratori e da parte dei clienti/consumatori. I ristoratori hanno storie, cucine, profili molto differenti fra loro ma possono condividere l’impegno per la tutela della biodiversità agroalimentare, per la salvaguardia dei saperi gastronomici e delle culture locali, il sostegno ai piccoli produttori: attraverso la ricerca e l’utilizzo di materie prime di qualità (locali, sostenibili e di stagione) possono ridurre l’impatto ambientale della propria attività e lo spreco alimentare. Scegliere di proporre cibo buono, pulito e giusto è il miglior strumento per la ripartenza!”.